Ogni tanto si aprono dei nuovi spiragli che non si muovono esclusivamente
in quel mainstream che caratterizza, fin troppo, diverse produzioni del globo. C'è
chi ha esercitato la propria mente e l'ha ben nutrita andando a caccia di saporite
armonie e vivendo il jazz, anzi la musica, in modo completo, assoluto. Giulio
Visibelli c'è pienamente riuscito. La sua caccia è andata a buon fine. Ha trovato
la "sua" Via Maestra, il suo suono, le sue giuste armonie. Da circa trenta
anni naviga nel mare magnum del jazz con deciso successo – sottovoce - e con esperienze
molteplici, da ogni punto di vista. Dalla Civica di Enrico Intra alla
Montecarlo Orchestra, passando per Mal Waldron, Sergio Caputo
e Giorgio
Gaslini.
L'inquietudine anima questo lavoro. La giusta e
sincera inquietudine che dovrebbe animare ogni Artista. Non v'è alcun copiato, non
v'è traccia di deja ecoute. Si ascoltano note di un musicista tout court
che palesa una vis architettonica di spessore.
L'empatia con gli altri musicisti è ben evidente.
Ambrosetti
troneggia nei dialoghi più arditi e ben sguazza in armonie tutt'altro che obsolete.
Così come la chitarra e le amenità elettroniche di Cecchetto, ineluttabile
realtà – infervorante - del panorama jazzistico italiano. Compatta, solida e lucida
la ritmica composta da Marco Micheli al contrabbasso e
Mauro Beggio
alla batteria.
Il gusto ricercato e l'inventiva di Visibelli si ascoltano subito. Numeri
Primi è un assaggio delle strutture – vigorose ed a tratti sbilenche – che attraversano
il suo lavoro.
La ricerca del suono e la perfetta intonazione della tromba di
Ambrosetti
(Franco's Mood) aprono, ed accompagnano ad Emi,
alla sua ricchezza narrativa, alla sua morbosa dolcezza.
L'incursione di Micheli in Soprasotto,
alla stregua della precedente overture di
Ambrosetti,
lancia Al: un passaggio nell'underground newyorchese,
anche per la personale declinazione delle sonorità di Cecchetto.
La narrazione di Visibelli non è univoca. Mai. Il fiatista senese
non soliloquia, anzi.
E lo dimostra il fatto che il ponte verso il canto strumentale di
Treccafè è, questa volta, affidato ai tamburi di
Beggio
(Mauro's Heads). Treccafè merita un attento
ascolto sia per la struttura, sempre sinceramente sbilenca ed al contempo dannatamente
musicale, sia per i soli sia di Visibelli, questa volta al soprano, che di
Ambrosetti.
Tocca alle diavolerie elettroniche di Cecchetto, con
Electrob, scoprire le tessiture "post" fantasiose
di Visibelli elegiacamente descritte in Stock,
tributo ai Stockhausen, padre e figlio.
Poi, Giuljan, breve accenno alle minimalistiche
sonorità di Garbarek, che – come da sequenza, introduce l'imprevedibile
Pedali.
Un velato tocco metheniano di Cecchetto è lo start up per l'ultimo
brano, Via Maestra. Quello più classico, più
morbido, dalle sapienti coloriture, dalle venature filmiche. Mai scontato, però.
Un messaggio, forse.
Sicuramente Visibelli non è scontato. E non da nulla per scontato.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 13/07/2008
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