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Dino Betti van der Noot
Où sont les notes d’antan?
Stradivarius (2017)
1. Où sont les notes d'antan?
2. That Muddy Mirror
3. Velvet Is The Sound Of Drums
4. The Paths Of Wind
5. Threading The Dark Eyed Night
Giampiero Lo Bello, Alberto Mandarini, Marco Mariotti, Paolo De Ceglie - tromba Luca Begonia, Stefano Calcagno, Enrico Allavena, Gianfranco Marchesi - trombone Sandro Cerino - flauto Andrea Ciceri, Giulio Visibelli, Rudi Manzoli, Gilberto Tarocco - sassofoni Luca Gusella - vibrafono Emanuele Parrini - violino Niccolò Cattaneo - Filippo Rinaldo - pianoforte Vincenzo Zitello - arpa Gianluca Alberti - chitarra Stefano Bertoli - Tiziano Tononi - batteria
Qualcuno disse che lo strumento di Duke Ellington non fosse il
piano, bensì l'orchestra. Eliminiamo le farisaiche attenuazioni e giustificazioni:
lo strumento di Dino Betti van der Noot è l'orchestra. Insieme a penna e
carta pentagrammata, sulla quale scrive melodie, armonie, soluzioni ritmiche di
alto profilo e di grande profondità.
Quasi con cadenza annuale, il compositore milanese ci regala una perla, di quelle
da tenere da conto quando si vuole fare pace con la buona musica.
Dino Betti ha l'innata – e inusuale, visti i tempi – capacità di scrivere musica
fresca e nuova, travolgente ed emozionante, senza fare appello a ideologiche soluzioni,
a matematiche innovazioni o a monotone – trite e ritrite – simulazioni di orgasmo
free jazz. La sua musica scorre e scorrazza tra quella delle grandi orchestre degli
anni Trenta, quelle che incrociavano lame ottoni e ance in singolar tenzoni, le
orchestre moderne e le orchestre post-moderne.
E' capace di sintetizzare tutta la storia del jazz in cinque episodi musicali, che
descriverli abbruttirebbe il significato stesso della musica che vi circola dentro.
L'autore ha una rara capacità narrativa che traspare fin dalle prime note del brano
eponimo. I fondamenti della classica contemporanea più lussureggiante si dimenano
in ogni anfratto di questo lavoro. L'ironia giocosa che si ascolta nel dinoccolato
incedere dell'overture di "That Muddy Mirror", sarebbe stata la gioia di
molti registi (quelli bravi) che ora non ci sono più. Ma i passaggi non sono mai
scontati, perché ora arriva l'arpa o un fragore lontano di piatti che scandisce
la metrica ed esalta il fascino della composizione. E anche lì dove l'apertura possa
lasciar presagire qualche insolita invenzione per il cingolare dell'idiofono o per
la cadenza dei tamburi, poi arriva il sincronismo sinfonico ad ammaliare tutto e
tutti ("Velvet Is The Sound Of The Drum").
Cinque suite che sembrano raccontare cinque continenti, cinque culture. Con anche
passaggi fusion-funk-simil free con occhiatacce di blues ("The Paths Of The Wind").
" Threading The Dark Eyed Night", rigogliosa con le sue movenze sghembe e
i suoi passaggi epici, chiude un disco da standing ovation.
Consigliato a chi non vuole annoiarsi e a chi sta ancora a contare i peli per
capire se è jazz o non è jazz.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 18/12/2017
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