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Odwalla e Baba Sissoko
Ancestral Ritual
Autoprodotto (2017)
1. Il cappellaio matto
2. Cerbero
3. Per Emanuela
4. La bella e la bestia
5. Cristiana
6. Cumana
Massimo Barbiero - marimba, vibes, gongs, percussions Matteo Cigna - vibes, marimba, dounum Stefano Bertoli - drums Alex Quagliotti - drums, percussions Doudù Kwateh - percussions, halaam, djmbè Bakary Doussu Tourè - Djmbè Andrea Stracuzzi - percussions
Special Guest:
Baba Sissoko - tama', voice Gaia Mattiuzzi - voice and sampler
Il nuovo disco di Odwalla è inciso ancora una volta dal vivo,
al teatro Giacosa di Ivrea, durante il 37° Open Papyrus jazz festival. Come al solito
alla formazione consueta si affiancano gli ospiti, in questo caso Gaia Mattiuzzi
e Baba Sissokò. La cantante ha già collaborato in passato con la band, mentre per
il percussionista del Mali questo è un debutto assoluto sul palco con Odwalla. Il
repertorio scelto verte su una serie di brani già ascoltati in precedenti occasioni,
ma la presenza delle guest star e l'intenzione di interpretare determinati pezzi
secondo angoli di prospettiva ogni volta diversi evita, comunque, il pericolo di
cadere nel clichè, nella ripetizione.
Cosa portano i due convenuti al "rito ancestrale"?
Sissoko infonde indubbiamente nel sound di Odwalla una ventata di sana e autentica
passione africana. Vale a dire che le composizioni di
Massimo Barbiero
non assumono soltanto un'aria maggiormente primordiale e selvaggia, ma si rivestono
pure di una potente carica emozionale. Lo specialista del tamà non si limita, infatti,
a declamare versi, a cantare, a percuotere il suo strumento. Di fatto lo storico
collaboratore dell'AEOC esprime con tutto sè stesso, corpo e anima, un grande feeling
verso una musica imparentata, sì, con quella del continente nero, ma nobilitata,
contaminata da retaggi classico-contemporanei e progressive rock. Non si tratta,
perciò, per lui, di un ipotetico ritorno a casa fra suoni domestici e familiari.
E' semmai una sorta di proiezione nel futuro in tempo reale di un consistente bagaglio
di vita, di cultura e di tradizioni.
Gaia Mattiuzzi, invece modula la sua voce ben caratterizzata nell' area di ricerca
espressiva, sopra o accanto agli altri strumenti, evoca melodie, suggerisce passaggi
intensi o disegna traiettorie zigzaganti su una base solidamente articolata. E'
una sorta di scheggia impazzita, cioè, ingabbiata all'interno di un tessuto connettivo
saldamente tenuto insieme dallo zoccolo duro dell'orchestra.
Rispetto ad altre registrazioni, poi, il duo Barbiero-Cigna srotola i motivi in
maniera ancor più asciutta ed essenziale, valorizzando al massimo, per contro, la
sarabanda percussiva che si materializza dietro di loro. In questo modo i temi acquistano
sembianze austere e sobrie, senza nulla perdere, però, del loro fascino.
Fa eccezione una versione soffice e rallentata di "Cristiana" aperta da un dialogo
da brividi fra uno strumento africano a corde e la voce della Mattiuzzi. Quando
entrano in scena, vibrafono e marimba espongono il motivo in modo dolce e malinconico.
La coppia ai metallofoni, in questo caso, richiama alla memoria il timbro e il fraseggio
di due carillon caricati con un minimo di distanza temporale fra uno e l'altro.
E' il momento più sentimentale di un disco peraltro ricco di altre sfumature e di
ineffabili significati.
Massimo Barbiero
con questo album, ancora una volta, arriva a celebrare una sorta di cerimonia ancestrale
e modernissima, per mezzo di composizioni che nascono e si dipanano con l'intento
preciso di unire mondi, lontani solo geograficamente. E' un messaggio sociale e
politico ben marcato, contenuto nella concezione del bandleader eporediese, servito
egregiamente da una musica piena di riferimenti, colta, ma riconoscibile e capace
letteralmente di trascinare un uditorio trasversale, di spettatori preparati o nuovi
dell'esperienza.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 07/01/2018
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