Intervista a Massimo Barbiero
di Marco Buttafuoco
photo by Luca D'Agostino
La ricerca continua, sofferta, è il cammino
su cui, da più di vent' anni, si muove il percussionista e compositore piemontese
Massimo Barbiero.
In meno di un anno sono usciti quattro dischi a suo nome e due libri, uno dedicato
a lui l' altro al suo storico ensemble percussivo "Odwalla". Del primo dei
cd (Atlantide, inciso con il ventennale quartetto
di Enter Eller) e di
Massimo Barbiero
–Enten Eller e Odwalla a cura di G Michelone, ne avevamo già parlato nel novembre
dello scorso anno. Parliamo ora dei tre lavori usciti a raffica nei primi sei mesi
del 2009 ed un secondo volumetto, "Odwalla-
The world of percussion and dance" edito da Tipografie Gianotti (ma la produzione
è della UFIP) con foto, di pregio, di Luca D'agostino e testi di Alberto
Bazzurro, Guido Michelone, Guido Festinese.
Questa intervista è cominciata la sera del 30 giugno,
poche ore dopo la notizia della morte di Pina Bausch. Prima di entrare in
argomento
Massimo Barbiero ed io ci siamo soffermati a parlare della grande artista
tedesca, del suo linguaggio innovativo, del suo portare in scena esperienze e linguaggi
diversi: danze di estrazioni disparate, teatro, materiali musicali eterogenei. E'
stato un ottimo anche se un po' malinconico modo di iniziare la nostra conversazione.
"Oggi sembra sempre più difficile fare qualcosa di nuovo. In qualche maniera
la coperta sembra sempre troppo corta. Questi tre dischi hanno avuto numerose ed
ottime recensioni. La stampa specializzata ne ha evidenziato la ricerca lirica e
timbrica, la tensione innovativa e la comunicatività delle proposte. Sta di fatto
che proposte di questo genere non trovano il minimo spazio nelle rassegne estive.
Il mondo della nostra musica sembra rinchiuso in sé stesso, incapace di osare. Stessi
nomi nei cartelloni, stesse stanche riproposte. Siamo sempre lì. Sembra che il pendolo
sia rimasto ad oscillare fra mainstream e free jazz, come se nuove strade fossero
impraticabili. Se sei troppo lirico tradisci lo Spirito del jazz, se sei troppo
sperimentale lo tradisci ugualmente. Come se esistesse poi uno spirito, un feticcio,
della musica, da adorare e celebrare. Ci stiamo appiattendo, questo è il dato su
cui riflettere. Sembra si voglia rassicurare l' ascoltatore proponendogli continuamente
cose già sentite, che non mostrino nuovi, insicuri orizzonti. Fenomeni come quello
di Allevi nascono proprio in questo contesto. Ma a ben vedere anche nel territorio
a della musica improvvisata si cammina su questi sentieri angusti. Pensa solo a
chi ha vinto i referendum di Musica Jazz quest' anno. C'è pigrizia mentale, fra
i musicisti come fra i critici. Mi chiedo se un personaggio come la Bausch troverebbe
spazio nell' Italia di oggi."
Parliamo
di questi tre dischi. Tutti e tre sono marcati a fuoco da un lirismo piuttosto acceso,
da una specie di scontrosa cantabilità. Sembri meno sperimentale, però, in questi
lavori, rispetto a certe tue esperienze precedenti. Mi riferisco in particolare
agli album di Enten Eller con Tim Berne. Quello spirito sembra rimasto
solo in alcune tracce di Marmaduke.
Siamo al solito equivoco di cui dicevo prima. Vuoi comunicare qualcosa, vuoi
raccontare qualcosa e qualcuno ti viene a a dire che hai perso la grinta, la carica
innovativa, che non graffi. Tutti luoghi comuni. Faccio solo un esempio il primo
pezzo di Medusa è scritto in un 19-4. Un tempo assolutamente inusuale, pazzesco
da tenere. Questo non toglie che il brano possa piacere e parlare alla sensibilità
di tanta gente. Ho molti riscontri in proposito Non solo non trovo contraddizione
fra questi due aspetti del mio modo di fare musica. Immodestamente ritengo che la
scrittura di Odwalla sia riuscitissima proprio perchè riesce a far convivere
ricerca e voglia, ripeto voglia, di parlare al pubblico, di condividere emozioni
con gli ascoltatori. Più riascolto questo disco e più mi convinco di aver ben lavorato
e di essere sulla strada giusta. A parte il fatto che non mi sembra di poter definire
la ricerca di Enten Eller, nemmeno ai tempi di Tim Berne, priva di
lirismo. In "Melquiades" proponemmo brani come "Mostar" o " Per Emaunuela
" che sono pieni di cantabilità, di melodia.
Parliamo allora di questo lavoro. Perché Balanescu?
Perché questo quartetto tanto insolito non solo dal punto di vista dell' organico
strumentale?
Mi interessava lavorare con un musicista di un altra frontiera, quella fra la
musica classica e la tradizione popolare europea. Sono stato a lungo incerto fra
Balanescu ed Iva Bittova. Volevo in altre parole mettere insieme modi
diversi di intendere l'improvvisazione. Devo dire che raramente un' incisone è stata
tanto fluida e "facile ". Avevamo prenotato lo studio per due giorni, prevedendo
una omogeneizzazione più problematica. Nel pomeriggio del primo giorno, riascoltando
quello che avevamo suonato, ci siamo resi conto che avevamo già "detto" tutto. Che
non c'era bisogno di rivedere alcunché. Che l' unico problema era scegliere fra
la grande quantità di musica che avevamo prodotto in modo da dare dimensioni normali
al disco. Basti pensare che la seconda traccia "Dago suite" è stata riversata sul
disco così come era uscita dai nostri strumenti, non abbiamo toccato niente. E non
avevamo nemmeno una nota scritta quando l'abbiamo cominciata. Anche qui ci sono
sequenze molto libere, ma anche brani molto, molto lirici. Vorrei si potesse dire
che c' è molto lirismo nell' improvvisazione più radicale e molta libertà nelle
melodie più leggibili. Era quello lo spirito che ci animava in sala. Ti racconto
un piccolo episodio. Solo alla fine, riascoltando i nastri, ci siamo accorti che
nella penultima traccia Claudio aveva inserito un frammento di "Luci della ribalta
di Chaplin". Era tanto naturale in quel momento che è sfuggito a tutti. Era funzionale
all' atmosfera che stavamo creando in sala di incisione. Non era accordato, ma funzionava
perfettamente
Anche Odwalla ha aggiunto nuovi colori, Kora, tabla,
gamelan, Steel drums, al suo già vasto set percussivo. Colori d' Africa e morbidezze
d' Oriente. Che ruolo ha ancora il jazz nella tua musica? Ti consideri un jazzman
?
Se il jazz è passione di libertà e di improvvisazione, ne troviamo quanto se
ne vuole in queste mie proposte. Se il jazz è stare sulla scia dei grandi americani
del passato allora non sono un jazzman.Nè voglio esserlo. A dire la verità sono
anche un po' annoiato dalla figura dell' artista bohemien, dalla parodia del suonatore
di jazz degli anni 50 che molti musicisti di casa nostra tengono viva in maniera
un po' pittoresca. Non sono disponibile ad andare in giro per club a suonare standard.
La mia cultura non è quella dell' artista disordinato e stralunato. Io vengo dalla
fabbrica, sono stato anche nel consiglio sindacale dell' Olivetti. Parto dalla base
concreta che è la mia scuola di musica di Ivrea e su quella base cerco di costruire
la mia vita di tutti i giorni. Essere artista non è vivere alla giornata. Caso mai
è essere soli. E' molto diverso. Io ho ascoltato i Genesis quanto il be –bop e amo
tutte e due quelle esperienze artistiche. Amo anche Edgard Varese, la musica per
percussioni di Xenakis, e Stravinsky e la musica africana e il free jazz. L' Art
Ensemble in particolare. Ti puoi mettere ad ascoltare i miei dischi e poi scrivere
di tutte queste influenze., e trovarne chissà quante altre. Citerei anche i Double
Image. Ma il problema è altrove. E' capire se uno riesce non dico a trovare, ma
perlomeno a cercare, una sua strada. Io non sono cresciuto in un ghetto nero degli
Usa, ma in una piccola città del Piemonte. Sono un qurantaseienne europeo che ha
incontrato la musica afro americana e la ama. Ma non è la musica delle mie radici
profonde. Ma torniamo alla domanda. La kora in realtà, in " Veleno" non diffonde
solo profumi d' oriente. Canta, racconta, una semplice ballad.
Il
primo ad uscire di questi tre dischi è stato Nausicaa, un insolito solo di batteria,
anche questo, a suo modo, molto lirico e "cantabile"
Era da tanto che meditavo sulla possibilità di un esperienza di questo genere.
Pensavo ad un progetto dedicato alla danza.. E' un rapporto quello fra musica e
danza improvvisate che mi affascina. Avevamo già fatto degli esperimenti con
Odwalla, incontrando reazioni contrastanti da parte del pubblico. Per varie
circostanze biografiche questo disco si è risolto invece in un colloquio con me
stesso, inciso l' antivigilia dello scorso Natale e mixato nei giorni immediatamente
successivi. Un' esperienza di grande concentrazione e solitudine in un periodo dell'
anno molto particolare come quello delle feste In poche parole: è stato una sfida
ed una necessità interiore. Cercavo il rapporto fra il suono primordiale dei legni,
delle pelli e dei metalli con quello altrettanto basilare del silenzio. La prima
musica fu percussiva. I primi strumenti riconosciuti sono degli xilofoni di pietra.
Non è una ricerca nuova, ovviamente, Odwalla stesso è un progetto in tal senso.
Ma in solitudine il silenzio si ascolta meglio, Non c'è stata composizione. Mi sono
messo davanti ai mie strumenti con qualche idea in mente e ho seguito una strada
che quando sono entrato in studio non conoscevo ancora.
Cosa farò adesso. Ti rispondo con una frase, una massima Yoruba, che ho voluto
mettere sul penultimo disco di Odwalla ("Live at Musica sulle bocche" ndr). Dice:
"Non lasciamo che il mondo giri troppo in fretta: quel che può essere discusso
con maturo senno lo decidiamo in un impeto d'ira". Devo, in altre parole elaborare
tutto il grande lavoro di questi mesi che sono stati intensi e importanti anche
da un punto di vista personale, oltre che artistico. E,come dice Jarret, ogni improvvisazione
è sofferenza. So solo che non ho espresso per intero le potenzialità della mia musica
e dei gruppi che la suonano e che ho ancora molto da cercare e da scoprire.
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COMMENTI | Inserito il 12/1/2010 alle 20.19.26 da "gianfranco.piluso" Commento: Grande Massimo, conosciuto subito dopo aver organizzato il I° Bidi Jazz Festival. | |
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Data pubblicazione: 24/10/2009
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