|
Massimo Barbiero - Claudio Cojaniz
Danza Pagana
Splasc(h) (2013)
1. Febe
2. Improvisation 1
3. Improvisation 2
4. Crono
5. Heilig, Heilig, Heilig dalla Deutsche Messe di F. Schubert
6. Oceano
7. Improvisation 3
8. Crepuscule with Nellie
9. Denique Caleum
10. Improvisation for Dance A) specchi B) riflessi C) cristalli
Massimo Barbiero - batteria e percussioni Claudio Cojaniz - piano Giulia Ceolin - danza
Recording on marzo 19 live (Teatro Bertagnolio - Chiaverano) al 33° Open Jazz Festival d'Ivrea
Uno dei pregi maggiori di Claudio Cojaniz e Massimo Barbiero è che difficilmente
ripropongono formule collaudate. Sono entrambi inesauribili sperimentatori di nuove
situazioni. Sono curiosi, aperti, affamati e la loro frastagliata discografia lo
testimonia. E' vero, il percussionista di Ivrea lavora da decenni con due gruppi
molto caratterizzati come Odwalla ed Enten Eller, ma è anche vero
che ogni incisione di questi due ensemble è un capitolo a parte di una storia variegata
ed inquieta.
I due si sono rincontrati a marzo in un teatro (la loro ultima esperienza era stata
il magnifico Marmaduke, insieme a Maurizio Brunod ed al violinista Alexander
Balanescu): il live che ne è scaturito è intriso di memorie, di echi, di sogni,
come si addice al carattere e alla sensibilità dei due musicisti. D'altronde, come
ha scritto Cojaniz "tutta l'arte è ricordare…è la memoria dell'impossibile, fra
un passato ed un futuro fortemente ipotetici."
E' su questo terreno condiviso che si snoda il disco. Il pianista friulano fa echeggiare
sia l'Africa di Abdullah Ibrahim ("Improvisation n.1") sia una più
personale e sognata ("Improvisation n.3"); canta una mesta melodia sacra di Schubert
nella quinta traccia; rende omaggio all'amato Monk nell'ottavo brano, ma lo cita
anche altrove (in "Denique Caelum" affiorano elementi melodici di "Ruby My Dear");
evoca un suo oriente moresco (in "Nausicaa").
Massimo Barbiero
interagisce con grande discrezione e sensibilità, inseguendo al contempo un suo
sogno ritmico e timbrico difficilmente riconducibile a modelli, jazzistici e non,
predefiniti. I suoi tamburi, hanno, come al solito, una grande capacità di "narrazione".
Il loro canto, nelle sequenze solistiche, soli disegna scenari scuri, caldi, screziati
talora dai suoni naufraghi dei gong e delle altre percussioni.
Il disco non permette, ed è un peccato, di cogliere la presenza di un'altra protagonista
della serata: la danzatrice Giulia Ceolin. Deve essere stata una presenza
importante, dal momento che l'improvvisazione finale, quella dedicata alla danza,
è il pezzo più bello e più ricco di una suite, già fino ad allora molto emozionante.
Un bel disco, la cui cifra poetica sembra essere quella di una raffinata malinconia.
Keith
Jarrett, ha detto una volta che l'arte l' arte sta oggi morendo e la
comunicazione dei sentimenti rischia di morire con essa. E' probabile che
Massimo Barbiero
e Claudio Cojaniz siano sulla stessa lunghezza d'onda del grande pianista
americano. Per fortuna, come lui e molti altri, fanno però il possibile per tenere
accesa la fiamma.
Marco Buttafuoco per Jazitalia
Inserisci un commento
Questa pagina è stata visitata 638 volte
Data pubblicazione: 23/12/2013
|
|