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Massimo Barbiero With Rossella Cangini
Denique Caelum
Splasc(H) Records 2010
1. La giostra (L'Ospedale)
2. Dentro un cerchio (Il Giornale)
3. Ifigenia (La Mescita)
4. Occhi ciechi (La Casa)
5. Liturgia (Il Rifugio)
6. Distese (La Taverna)
7. Amras (Le Strade)
8. Molly Bloom (La Spiaggia)
9. Lo stagno (Il Bagno)
10. Leopold Bloom (La Colazione)
11. Antropologia (Il Funerale)
12. Marmaduke (Il Bordello)
13. Z (Le Rocce
14. Denique Caelum (La Torre)
15. Dedalus Crimson King (Il Letto)
Massimo Barbiero
- drums, bass kalimba, log drum, udu drum, giant wood block,
gongs, steel drums, comet bell e percussion
Rossella Cangini - vocal
E' jazz?.... Si chiede
Massimo Barbiero,
nelle note di copertina. "Non lo so, per me il jazz è ricerca, viaggio quindi,
….prima, durante …dopo". In realtà come spesso capita con i dischi del percussionista
di Ivrea le categorie interpretative tradizionali sono sempre più sfuggenti ed inadeguate.
Barbiero è fondamentalmente un musicista che non teme di aprire nuove porte e di
percorrere nuove ed insidiose strade, che cerca non solo un suo linguaggio artistico
originale, ma insegue un suo sogno di comunicazione poetica. Ogni suo disco ha una
sua peculiare esigenza artistica ed espressiva. Qui la meta è molto ambiziosa: inseguire
una sonorità fuori dal tempo e dalla storia, ispirandosi dichiaratamente all' Ulisse
di Joyce, citato nei titoli dei 15 brani, ma assumendo anche come "guida"
il senso di vuoto, straniamento, perdita proprio dell' espressività blues
ed utilizzando testi di un poeta sperimentale come Edoardo Sanguinetti, recentemente
scomparso.
Voci e percussioni, gli strumenti musicali più immediati ed ancestrali,
senza supporti elettronici, sono i bagagli che i due interpreti ed autori di questo
progetto utilizzano per questo viaggio.
Si potrebbe dire che, paradossalmente, la parte melodica
è svolta dal set percussivo di
Massimo Barbiero.
I suoi tamburi fanno echeggiare memorie d'Africa e sonorità arcaiche e suggeriscono
racconti senza tempo. Rossella Cangini usa spesso la voce quasi come pura
fonte sonora, come se cercasse nel suono stesso i significati delle parole che usa.
I suoi vocalizzi sono spesso quasi infantili e/o grotteschi; talora il canto cerca
la sua strada fra testi pieni di allitterazioni.
Non è un disco di presa immediata. C'è ritualità in questa musica, c'è sogno, c'è
assenza e talora asprezza, scontrosità. Ma alla fine, ascolto dopo ascolto, le quindici
tracce (quasi tutte giustamente molto brevi) restituiscono un canto sommesso ed
emozionante, un percorso emotivo assolutamente non riconducibile a nessun genere
o linguaggio musicale.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 12/06/2010
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