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Paolo Botti Quartet with Betty Gilmore
Slight Imperfection
Caligola (2012)
1. Ain’t Misbehavin’ (Waller/Brooks/Razaf)
2. The Pilgrim (Botti)
3. The Storm (Botti/Gilmore) –
4. St. James Infirmary (Primrose)
5. Dobrodosli(Botti) –
6. In Terra (Botti)
7. Mixolydian Dance (Botti)
8. Makeba (Botti/Gilmore)
9. Careless Love (trad.)
10. Notturno –(Botti)
11. Wild Man Blues (Morton/Armstrong)
Paolo Botti - viola, banjo, chitarra, dobro, tromba, armonica), Dimitri Grechi Espinoza - sax contralto), Tito Mangialajo Rantzer - contrabbasso), Filippo Monico - batteria), Betty Gilmore - voce), Emanuele Parrini - violino in 5
Paolo Botti ritorna, dopo il bellissimo e fortunato omaggio ad Albert
Ayler, sulle strade fangose della musica afroamericana delle origini. Non più
in solitario, stavolta, ma insieme al suo quartetto e con la "guida" di Betty
Gilmore, vocalist che conosce molto bene il paesaggio emotivo del Grande Delta.
Si può dire senza remore che il violista romano ha fatto centro ancora una volta.
Slight Imperfection è un percorso musicale di grande presa, che alterna riletture
di classici (Ain't misbehavin e Wild Man Blues proposti dalla sola
viola ad esempio) ad appassionanti originals. Fra questi citeremo Notturno,
intriso di quella tristezza un po' indolente tipica del primo jazz, ma anche
la splendida Mysolidian Dance o il trascinante Dobro Dosli.
Dischi come questo riportano l'ascoltatore ad una verità fondamentale: nel buon
jazz rifarsi alla tradizione vuol dire sempre, in qualche maniera, tradirla. Il
drumming di Filippo Monico in questo disco non ricalca certo fedelmente quello
dei primi batteristi jazz ma è perfettamente funzionale al progetto di rilettura
creativa e poetica della musica afro-americana arcaica. E lo stesso si deve dire
del contrabbasso di Tito Mangialajo Rantzer, del sax di Dimitri Grechi
Espinoza e del vasto, desueto e inconsueto magazzino sonoro di Botti.
Quello che conta è alla fine è che su questo disco aleggia lo spirito del blues;
ovvero quella malinconia ruvida e carnale, quel senso di sradicamento che, nato
dalle comunità nere degli ex schiavi, è trasmigrato nella sensibilità collettiva
di milioni e milioni di persone in tutto il mondo. Quel feeling scabro e ferito
che permette alla Gilmore di interpretare monumenti della tradizione afroamericana
come Saint James Infirmary o Careless love, ma anche di raccontare
la grande tempesta di New Orleans o di celebrare Miriam Makeba.
"L'avanguardia sta nei sentimenti, non nelle forme", ebbe a dire
Massimo
Urbani. Lo stesso si può dire per la tradizione. Da notare anche il
titolo, (mutuato da un verso della Gilmore contenuto nell'ottava traccia), omaggio
allo spirito "grezzo e materico" (per usare le parole dello stesso Botti) di quell'arte
imperfetta che è il jazz.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/09/2013
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