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Dimitri Grechi Espinoza, Tito Mngialajo Rantzer
When We Forgot The Melody
Rudi Records (2011)
1. When we forgot the melody
2. 2nd time we forgot the melody
3. 3th time we forgot the melody
4. 4th time we forgot the melody
5. 5th time we forgot the melody
6. 6th time we forgot the melody
7. 7th time we forgot the melody
8. 8th time we forgot the melody
9. 9th time we forgot the melody
Dimitri Grechi Espinoza - alto sax
Tito Mangialajo Rantzer - doublebass
Dimitri Grechi Espinoza è noto come leader del gruppo "Dinamitri jazz folklore",
un ensemble che spinge molto verso un jazz di pura matrice afroamericana, la "Great
Black Music" sbandierata dall'Art Ensemble Of Chicago per intenderci. Mangialajo
Rantzer è, allo stesso modo, bassista favorito dei musicisti italiani più indirizzati
rispetto alla progettualità e alla ricerca, quali Giovanni Falzone o
Antonio Zambrini.
L'incontro su Cd dei due artisti avviene attraverso nove brani originali dal titolo
emblematico di "When we forgot the melody". C'è una qualche provocazione
o perlomeno una contraddizione esibita in questa scelta. La melodia, infatti, aleggia
o compare a tutti gli effetti dentro il disco. Non è assolutamente bandita o dimenticata,
semmai è recuperata nei meandri della memoria come un residuo che non si può resettare.
Il duo marcia dritto in direzione di un jazz-jazz, dopo aver attraversato,
nelle rispettive esperienze, pure territori di confine o appena oltre lo stesso
limite. E' un jazz con ascendenze cool, rivisto con uno spirito contemporaneo
o meglio con la volontà di ritornare a determinati climi per assaporarli, riappropriandosene.
Il sax di Grechi Espinoza ha un suono caldo, il suo fraseggio è stretto, bene articolato
con sequenze di note puntate e distinte, l'uso di cliché - ma personalizzati- per
un omaggio più o meno dichiarato, in linea diretta o obliqua, a
Lee Konitz e a quel tipo di stile, ma non solo.
Mangialajo accompagna il partner con un timbro secco e deciso del suo contrabbasso,
attento a seguire le direzioni suggerite o rese esplicite dal collega in un dialogo
sempre incisivo e fruttuoso.
Alla prova dei fatti si ascolta un jazz al naturale, quasi biologico, privo di additivi
e contaminazioni. Un'operazione di riciclaggio attivo di materiali magari giacenti
fra i ricordi dei due protagonisti, ma vivi e pulsanti, privi di ogni "odore" di
muffa o di stantio.
Fra i vari pezzi si raccomanda all'ascolto il quarto tempo che si apre con un
solo di atmosfera ellingtoniana da parte dal sax alto, a cui si intreccia un basso
prima contrastante e nervoso, poi discorsivo, ritmico e swingante. Anche il sesto
ha parecchi motivi di interesse. Qui iniziano in coppia con un dialogo serrato,
fra note aeree e controllate astrazioni di Grechi Espinoza e ritorni sul pezzo,
mentre Mangialajo concretizza un accompagnamento quanto mai realistico e di base.
Nel n.7 il musicista livornese parte con accenni atonali e passaggi avanguardistici
per confluire in una ballad della "più bella acqua", dove il dialogo fra i due strumenti
non può non rammentare lo storico connubio Konitz-Mitchell.
In conclusione un disco da sentire rinunciando ad aspettative nei confronti di
un jazz avanzato, proiettato verso il futuro. Qui i due musicisti hanno lasciato
perdere i tentativi di rimodernare, di attualizzare o di trasgredire. Si sono limitati,
come opzione di fondo, a improvvisare senza sovrastrutture mentali o di metodo.
Si sono dedicati, in fin dei conti, ad una collaborazione quali buoni jazzisti,
divertendosi sicuramente nell'operazione e riuscendo, però, a convincere, oltre
il piacere del divertimento superficiale fine a sé stesso. C'è della profondità,
dello spessore, infatti, nella musica di questo duo. Basta ascoltare con attenzione
il disco per accorgersene.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 17/03/2012
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