Lo sviluppo dell'organizzazione concertistica e dei festival jazz dagli anni ottanta
ad oggi
(Prima Parte)
di Alceste Ayroldi
Questo scritto è la relazione tematica presentata al convegno
"Cosa resterà degli anni Ottanta. La popular music e il jazz in Italia tra il
1980 e il 2000", organizzato dal conservatorio Arrigo Boito di Parma e lo Iaspm,
tenutosi a Parma il 13 e 14 febbraio 2015.
Preliminarmente, chiedo venia per tutte le eventuali omissioni.
La domanda che ha guidato queste mie
riflessioni è: il sistema concertistico del jazz si è evoluto con la sua musica
oppure è vero il contrario? Per dare una concreta risposta è necessario fare un
piccolo passo indietro rispetto ai decenni interessati.
Affaire spinoso quello della memoria concertistica e festivaliera
del jazz in Italia, perché la confusione e le gesta leggendarie la fanno da padrone
nel pieno rispetto della regola più appetibile del jazz, l'improvvisazione: il tutto
è perlopiù affidato alla tradizione orale. E' illuminante lo scritto di Gian
Carlo Roncaglia [1]: «E' una storia assieme travagliata e pressoché sconosciuta
quella del jazz in Italia». Non v'è aggettivo migliore per definire una partenza
sì sofferta, ma anche gloriosa delle rassegne e dei festival di jazz dello Stivale.
E Vincenzo Martorella rincara la dose nella sua appendice alla Nuova storia
del jazz di Alyn Shipton: «Che il jazz italiano abbia avuto una vita ricca,
stratificata e a tratti formidabile, siamo noi italiani i primi a ignorarlo.»;
e ancora: «A sfogliare le più importanti storie del jazz pubblicate nel mondo…(omissis)
di jazz tricolore se ne trova davvero poco, praticamente nulla» [2]
Le
prime tappe, d'obbligo sono Umbria e Abruzzo, lì dove troneggiano - ora con le ciocche
bianche – Perugia e Pescara. Da entrambe non si può prescindere. La vita di Umbria
Jazz prende forma nelle mani appassionate di Carlo Pagnotta, che dal
1973 a oggi (fatta eccezione per il
1977, anno sabatico di UJ) ha forgiato un festival
capace di mettere l'Italia sotto i riflettori del mondo jazzistico; capace di creare
un evento atteso e, ora, modaiolo. Gli esordi dipinsero l'allora itinerante kermesse
umbra come la Woodstock jazz italiana: carovane d'auto, sacchi a pelo, hippies casarecci
e anche episodi di teppismo che spalmarono un po' di antipatie sia sul jazz, che
sulla manifestazione. Arrigo Polillo scriveva sulle pagine di Musica Jazz:
«Se avete vent'anni, se vi diverte dormire in tenda o infilati in un sacco a
pelo non importa dove, se vi piace la toeletta su una panchina in un giardino pubblico,
e soprattutto se non vi importa del jazz, andate pure a Umbria Jazz i prossimi anni,
ammesso che la manifestazione venga ripetuta» [3]. La preconizzazione del padre
della critica jazzistica si è avverata al contrario.
Dall'altra parte, sulle coste dell'Adriatico alla fine degli
anni Settanta (dal 1969, ben prima dell'avventura umbra)
si aggiudicava la maglia rosa del primo festival jazz italiano Pescara Jazz. Anche
a Pescara si presero del tempo, ben cinque anni: dal 1976
al 1981.
Insomma, in Italia circolava roba da leccarsi le orecchie! E finalmente, visto che
Musica Jazz per anni fu costretta a recensire festival europei, ma non italiani,
perché solo alla fine degli anni Sessanta (inizio anni Settanta) oltre a Pescara
e Perugia si aprirono le porte del jazz a Bologna, nell'Arena (tempio dell'Opera)
di Verona, Milano, Roma, Macerata, Bergamo, Genova, La Spezia, Palermo, Ravenna;
addirittura aprì le sue solide porte la Certosa di Pavia e fu profanata dal linguaggio
musicale afroamericano anche l'austero teatro Alla Scala di Milano. Poi, una mano
d'aiuto a sdoganare il jazz nella nostra penisola arriva dai Festival dell'Unità,
all'epoca meno trash e più culturalmente impegnati, mercé i tempi e soprattutto
gli uomini. Negli anni Settanta inizia a formarsi il pericoloso assioma: la musica
è di tutti, quindi è gratuita. Un corollario dell'esproprio proletario che ha fatto
la differenza, spingendo le attività jazzistiche festivaliere a chiedere contributi
pubblici a destra e a manca.
Questo il preludio agli anni Ottanta, ancora influenzati dalla passione; la stessa
passione che anima il proliferare di cantine dove si suona jazz, la nascita dei
piccoli club fucine di sperimentazioni; laboratori che plasmano i jazzisti italiani
e che sviluppano anche una coscienza socio-culturale-artistica, che ha dovuto fare
i conti con il tempo, qui non sempre galantuomo.
La mappa geofisica festivaliera del jazz si allarga, e si va progressivamente organizzando,
dalle Alpi alla Trinacria, investendo ogni luogo, ma con la caratteristica della
stagionalità. Per dirla con Filippo Bianchi «al pari delle ciliegie e
dei cocomeri» [4]. Nasce Clusone, che ha girato la boa delle trentaquattro edizioni
e aprì nel 1980 sfoggiando l'Art Blakey Jazz Messengers.
Ivrea battezza l'Eurojazz Festival, oggi Open Jazz Festival, con la competente passione
del compianto Sergio Ramella al quale spetta anche il merito di aver creato
il JVC Newport Jazz Festival di Torino (che da New York fu esportato in Europa,
coinvolgendo anche Londra, Parigi, L'Aia). C'è Ancona Jazz che organizzava concerti
sparsi per la città e nel tempo già dal 1974, per poi
strutturarsi dal 1979.
Da Nord a Sud con Roccella Jonica e i suoi Rumori Mediterranei, che ha alle spalle
trentaquattro edizioni ricche di musica e, da qualche tempo, di polemiche e porte
sbattute; e che sembra aver fatto scivolare nella cassapanca dei ricordi tutta la
sua storia, appellandosi alla sola memoria a breve termine.
In Puglia c'è Noci con l'Europa Jazz Festival, manifestazione fondata da Vittorino
Curci, che suonò la diana dei laboratori di jazz, della ricerca musicale e delle
sperimentazioni, grazie anche alla presenza di Evan Parker e del suo immenso
bagaglio di stratificazioni musicali. Un festival che si è perso tra le affollate
strade dei finanziamenti degli enti territoriali, fatti a pezzi dai tagli e dalle
richieste di accesso da parte di manifestazioni di vario genere che attingono a
un pozzo che il fondo ce l'ha ed è già raschiato. Capitolazione, regione e obiettivi
condivisi dal Ceglie Jazz Open Festival ideato da Pierpaolo Faggiano, giornalista
prematuramente e drammaticamente scomparso nel 2011
a soli quarantuno anni. Noci, però, sembra voler provare ancora a percorrere la
strada segnata dal suo ierofante (la rassegna è oggi denominata Contrattempi); mentre
a Ceglie le maglie si sono allargate e nel palinsesto furoreggia di tutto.
Dal tacco alla corona d'Italia, nel 1982 apre i battenti
il Bolzano Jazz Festival, che da qualche anno a questa parte ha assunto nome e vesti
del Süd Tirol Jazz Festival Alto Adige.
In quegli anni si affaccia alla ribalta la Toscana con il longevo Grey Cat tra Follonica
e dintorni, che nell'estate del 2014, sotto la direzione
di Stefano «Cocco» Cantini ha festeggiato trentaquattro edizioni. Dalla Maremma
a Pistoia che si immerge nel blues, che oggi ha ceduto il passo al più redditizio
rock-pop. Scivolando giù in fondo agli Appennini si approda a Catania dove dal
1983, dopo l'apertura affidata all'Arkestra di Sun
Ra sono passati ai piedi dell'Etna
McCoy Tyner,
Dizzy Gillespie,
Wayne
Shorter,
Jaco Pastorius e ancora oggi l'attività è intensa.
L'evoluzione si avverte ed è rapida, così come il prosperare di rassegne e festival
che invadono il territorio. Gli anni Ottanta segnano la svolta «aristogattiana»:
tutti quanti voglio fare jazz. Sori in Liguria suona l'adunata per gli amanti del
jazz tradizionale (oggi ha perso questa specificità). A Milano si fanno esplorazioni
anche in termini d'orario (la domenica mattina il sipario del teatro Manzoni si
apre alle 11) con la fortunata rassegna Aperitivo Concerto, che continua da trent'anni
a offrire progetti di qualità e, spesso, esclusivi.
Nella Ciociaria, ad Atina è da ventinove estati che si ascolta jazz, grazie all'idea
del coraggioso fondatore Vittorio Fortuna. Anche la Romagna, a parte la veterana
Ravenna, si ritaglia il suo spazio jazzistico con Lugo Musica Estate da ventinove
anni e con Jazz in'It a Vignola. Lo scenario si dipana anche sull'altra grande isola
italiana: la Sardegna che vara per mano di
Paolo Fresu
Time in Jazz a Berchidda nel 1988 e, l'anno dopo, Nuoro
con seminari di vaglia e altrettanti spettacoli di qualità. Sempre nel
1988 il Veneto battezza la sua rassegna che porta il
jazz a spasso per l'intera regione e che coinvolge anche la didattica e le arti
visive e che, nel tempo, è arrivata a una destagionalizzazione e a un progressivo
ampliamento (allontanamento dal jazz?) dell'offerta. La coda degli anni Ottanta
fa vibrare le corde degli organizzatori di festival e rassegne di jazz, ancora in
mano agli appassionati. E così a Lucca nel 1987 nasce
il Barga Jazz, che ha fruttato nel tempo anche un ambito contest. Tra i Sassi di
Matera nel 1989 prende forma Gezziamoci.
Il giro di boa del decennio si porta appresso un incremento di attività festivaliere
ben accette da amministrazioni comunali, provinciali e regionali che allargano le
borse concedendo buoni finanziamenti e opportunità. La gratuità di molti eventi
fa sì che il pubblico affluisca numeroso, a volte attento, altre distratto: al fianco
degli appassionati si trovano anche gli avventori dell'ultim'ora, passati di lì
per caso.
Il fine giustifica i mezzi e, per buona fortuna del jazz, le attività prolificano
in ogni dove; così nelle brulle e poco battute terre dell'Appennino Dauno nel
1991 nasce l'Orsara Jazz Festival, con i fratelli
Michele e Lucio Ferrara a tirare le fila, che dal
2004 ha istituito anche i Summer Camp. Dall'altro capo
dell'Italia nello stesso anno sorge l'associazione Euritmica che ordisce la rassegna
Udin & Jazz. In Toscana
Daniele Malvisi
e Gianmarco Scaglia, con un gruppo di amici, impastano di jazz l'area del
Valdarno con un festival-rassegna dalla doppia veste stagionale: estiva e invernale.
Le prime luci degli anni Novanta illuminano anche Iseo, festival diretto dal musicologo
Maurizio Franco, che ha sempre avuto un occhio attento nei confronti dei jazzisti
italiani, proponendo progetti di prestigio immortalati anche su disco. Nel maggio
del 1992 Lester Bowie con il Brass Fantasy inaugurava
a Firenze Tradizione in Movimento, organizzato da Musicus Concentus, che oggi si
ritaglia un ricco spazio tra jazz e nuove musiche, affidandosi alla direzione artistica
di Fernando Fanutti e Giuseppe Vigna. L'alba degli anni Novanta vede
in campo anche il Fano Jazz by the Sea che nel 2014
ha festeggiato la ventiduesima edizione con la direzione artistica di Adriano
Pedini.
[1] Gian Carlo Roncaglia, Il jazz e il suo mondo, Einaudi,
1998, capitolo XXXIII, pag. 457
[2] Vincenzo Martorella, Il saltarello del cannibale. Temi, paradossi, lampi di
genio e storia all'incontrario di un secolo di jazz italiano; in Nuova Storia del
Jazz di Alyn Shipton, Einaudi 2011
[3] Arrigo Polillo, Musica Jazz n.10, ottobre 1976
[4] Filippo Bianchi, Pan n.2 giugno 2014, pagg. 3 e 4
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
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Data pubblicazione: 19/06/2016
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