Intervista a Viviana Maxia: ricordo di
Roberto Aymerich novembre 2011 di Daniela Floris e Daniela Crevena
Daniela Floris e Daniela Crevena incontrano Viviana Maxia per ricordare il fotografo
Roberto Aymerich: un pomeriggio di racconti, parole ed immagini. Jazzitalia da ora
in avanti dovrà rinunciare al prezioso aiuto di Roberto Aymerich, che da
Cagliari ogni anno mandava le sue foto che parlavano degli eventi dell'European
Jazz Festival e di tutto il jazz che va in scena in Sardegna. Roberto combatteva
con una malattia insidiosa degli occhi, il glaucoma, che ha preso via via il sopravvento,
togliendogli non solo gradualmente la vista ma purtroppo anche la forza di lottare
e la speranza di guarire: per un fotografo perdere la vista è naturalmente l' evento
più angosciante e definitivo che possa capitare. Viviana Maxia, che è tra
le poche donne in Italia a scrivere di Jazz, è stata la sua compagna amatissima
negli ultimi due anni di vita, e con lei ricostruiamo il lavoro, le passioni, la
figura così particolare di questo fotografo appassionato di musica, e che ha dato
agli articoli di Viviana (lei stessa collaboratrice di Jazzitalia) colori ed immagini.
Viviana, come vi siete conosciuti tu e Roberto?
Nel modo più tradizionale possibile: ad una festa di compleanno. Ad aprile ci siamo
conosciuti, a giugno eravamo insieme e insieme abbiamo trascorso l'edizione di "Time
in Jazz" di quell'anno (2008)
come nasce la passione di Roberto per la fotografia, in
particolare per la fotografia Jazz?
Roberto si occupava di fotografia da quando aveva diciotto anni, ma si è avvicinato
al Jazz folgorato da un concerto di
Paolo Fresu.
E' dopo quel concerto che non ha più lasciato la musica, ed è questa passione comune
che ci ha uniti anche professionalmente: io scrivevo e lui dava colore e vista alle
mie parole.... la nostra collaborazione cominciava già durante i concerti: lui mi
mostrava le sue foto e da subito mi chiedeva un parere su quali potessero andare
e quali no, su quali mi colpissero o meno. Aveva una particolarità legata proprio
alla sua malattia, che negli stadi iniziali gli aveva dato il dono di avere una
specie di "mirino naturale" che gli permetteva di "centrare" perfettamente l' immagine.
Purtroppo questa caratteristica è stata quella che gli ha fatto trascurare il progredire
del glaucoma, che poi ha preso il sopravvento facendogli perdere la vista in modo
significativo.
Viviana, io e Daniela Crevena sappiamo bene cosa significhi
lavorare in tandem con parole ed immagini, è una collaborazione che si basa su emozioni
comuni vissute durante i concerti a cui si cerca di dare una forma in un certo senso
"decrittando" ciò che si percepisce per renderlo comprensibile a chi legge e guarda.
Ci vuole feeling però tra fotografo e giornalista. Era così anche per voi?
E' stato così fin dal primo momento in effetti, dalla prima collaborazione, a
Berchidda2008. Articolo di Viviana Maxia, foto di
Roberto Aymerich. Al Jazz Expo
del 2008 invece organizzammo una mostra "Scatti
di jazz" con le sue foto, della quale il progetto era cominciato nel
2006. Vivevamo la musica, ne sentivamo con entusiasmo
ogni particolare momento, ci lavoravamo con passione, eravamo empatici.
Fotografare la musica. E' il connubio di due sensi,
la vista e l' udito. I fotografi che decidono di dedicarsi alla musica hanno certamente
una sensibilità particolare, se sono davvero intenzionati a tradurre i suoni in
immagini... in più il jazz è una musica in cui l' aspetto estemporaneo dell'improvvisazione
fa la differenza. Bisogna cogliere l' attimo, a meno che non si decida di fare solo
dei "ritratti" come mille altri. Come era Roberto in questo senso? Che tipo di sensibilità
e di carattere aveva? Che tipo di foto amava fare?
Roberto, che inizialmente era fotografo di moda, aveva la particolarità di riuscire
a legare il soggetto al paesaggio circostante. Aveva una passione per gli sfondi,
che amava utilizzare in modo creativo perchè colpissero emotivamente chi guardava,
era il suo modo di tradurre la musica in colore, secondo la sensazione che lui ne
aveva avuto. Non amava infatti le foto in bianco e nero. Trasformava il musicista
in colore. Era un uomo di poche parole e non aveva contatti, se non raramente, con
gli artisti, ma allo stesso tempo era molto gentile ed affabile con tutti. Io di
carattere sono molto estroversa ed è per questo che lui mandava me in avanscoperta,
mi faceva tenere i contatti con i personaggi che fotografava. Era esattamente il
contrario del "fotografo d'assalto" anche perchè aveva amore e cura dei soggetti
che voleva ritrarre. E con i colleghi fotografi amava lo scambio, chiedeva continuamente
pareri. Non era in competizione con gli altri, gli era difficile accettare lavori
su commissione perchè aveva bisogno di fotografare solo ciò che veramente lo potesse
davvero ispirare. Era certamente schivo, ma non chiuso in se stesso: amava molto
stare in compagnia ed era sempre circondato di amici. Purtroppo è stata la malattia
nello stadio più avanzato, dopo cinque interventi non riusciti, che lo ha fatto
progressivamente chiudere al mondo esterno, ed interiorizzare sempre di più il suo
problema, tanto che neanche io il giorno della sua scomparsa avrei mai immaginato
che avesse voluto andarsene.
Quindi chi lo conosceva lo ricorda come un tipo certamente
inusuale ma gentile, sorridente e ben disposto anche se di poche parole....
Certamente si, e ti dirò che lui di per sé era in realtà un "leader", gli piaceva
molto organizzare eventi, feste tra amici, magari, e poi starsene lì un po' in disparte
a godersene il risultato. Amava la perfezione, l'armonia. Solo negli ultimi 4 o
5 mesi ha cominciato a tirarsi fuori dal mondo, quando la paura di rimanere privo
della vista lo aveva sopraffatto. E' entrato in una specie di notte, hai presente
quando nella notte tutto ti sembra più orribile, ed ha avuto una specie di black
out, che lo ha portato via. Non ha avuto la pazienza e la forza di aspettare i risultati
dell' ultimo intervento, si è sentito catapultato in un mondo senza luci e colori
che non era il suo, ed in fondo lui che parlava poco per una forma quasi di pudore
di se stesso, ha estremizzato un lato del suo carattere.
Cosa ha lasciato in te questo sodalizio durato quasi
tre anni con quest'uomo così profondo e particolare?
Sono stati tre anni serratissimi, in cui davvero abbiamo vissuto in simbiosi,
li percepisco come una fetta di vita molto più ampia che di soli tre anni. Ci univa
un affetto profondo di uno verso l'altra e la passione profondissima per la musica.
Comincio solo ora ad uscire dall'angoscia (Roberto se ne è voluto andare a luglio)
e mi piace ricordarlo come era prima di entrare nella depressione che lo ha vinto.
E credo che tutti gli amici lo ricordino così, anche attraverso le sue foto, colorate
ed intense.
In effetti durante questa chiacchierata Viviana ci ha sorriso molto e ci è parsa
nonostante il dolore immenso con il quale è costretta a fare i conti ogni giorno,
serena nell'atto di raccontare, ed ogni volta che ha nominato Roberto gli occhi
le si sono illuminati e le si è aperto il sorriso. Ci è sembrato un modo bellissimo
di ricordarlo. E per chi, come noi, non ha avuto la fortuna di conoscere Aymerich
di persona, speriamo che queste parole, e le immagini scelte da Viviana e Daniela
Crevena possano parlare di lui e della sua passione per il Jazz.
Vorrei ringraziare personalmente Viviana Maxia, per aver accettato di ricordare
Roberto. Il suo contributo a Jazzitalia è stato significativo e le molte email che
ci siamo scambiati rimangono a testimonianza di quel garbo e di quella disponibilità
che lo hanno sempre contraddistinto. Con profondo rispetto per il dolore che ha
colpito tutti coloro che lo hanno amato, abbiamo voluto dedicargli questa pagina
nella speranza di un conforto difficile ma possibile. Ciao Roberto, che tu possa
riposare in pace.
- Marco Losavio