Forma e Poesia nel Jazz 2011
XIV Edizione
Piccole interviste visionarie Il sorriso di Cafiso, i riflessi di Rubino Cagliari 22 marzo 2011, Teatro Massimo
di Viviana Maxia
Sembra un caso - e infatti lo è - se la rassegna di jazz italiano Forma e Poesia
nel Jazz prende il via proprio nel giorno dei festeggiamenti in onore del 150° anniversario
dell'Unità d'Italia.
L'inaugurazione ufficiale si è svolta nel foyer del Teatro
Massimo con una mostra fotografica che ricorda Roberto Aymerich, scomparso
la scorsa estate, stimato e rimpianto collaboratore di Jazzitalia, del quale si
è già detto in un'intervista
curata da Daniela Floris e Daniela Crevena.
Al Teatro Massimo, il secondo appuntamento musicale della XIV edizione di "Forma
e Poesia nel Jazz", vede come protagonisti
Francesco
Cafiso e
Dino Rubino.
Cinquant'anni in due, e a vederli sembra anche meno. Nel foyer del teatro le persone
degustano i buoni vini rossi da pre concerto, mentre i nostri musicisti sono preda
di una tv locale che li trattiene da circa una mezz'ora. L'intervento provvidenziale
di Riccardo Sgualdini, addetto stampa della rassegna, riesce a "liberare"
almeno Francesco Cafiso che con un sorriso spalancato da esuberante ventunenne
e una stretta di mano vigorosa alla Salvo Montalbano, mi accoglie con un sicilianissimo
" piacere, Francesco". Da questo saluto si sprigiona tutto il calore della sua Terra.
Caro Francesco, non voglio annoiarti con le solite domande
del successo raggiunto in età adolescenziale, di Wynton Marsalis, di Obama.
Di questo è stato detto tutto o quasi. Sono invece curiosa di sapere se nella tua
infanzia e nella tua adolescenza ti è mancata in qualche modo la normalità del ragazzo
comune, il tempo del gioco, dell'essere spensierato
Assolutamente no. A me non è mancato niente, ho fatto tutto quello che desideravo
fare, ma sono nato con la musica dentro e qualunque cosa io abbia fatto, oltre la
musica e il jazz, l'ho fatto con la sensazione e l'istinto che qualsiasi cosa non
prescindesse da quest'ultima. Tra l'altro ho vissuto in un ambiente familiare sereno
cha ha accettato questo "dono", se così si può chiamare, assecondando la mia passione
innata senza mai cercare di soffocarmi, come spesso capita.
Anche sulla tua precocissima carriera è stato detto molto,
ma mi piacerebbe sapere che tracce ha lasciato dentro un ragazzo di quindici anni
l'essere trasportato in un mondo molto più grande di lui, dentro lo star system,
a contatto con musicisti i cui nomi sono oramai divenuti Mito.
Come ti ho detto prima, forse a causa della giovane età che preserva e rende a volte
incosciente di ciò che succede intorno, ho vissuto le mie esperienze con la massima
naturalezza, come se non ci fosse nulla di strano – e leggendogli gli occhi limpidi
e ridenti mentre parla, non si fatica a credere che sia cosi – Ma molto devo alla
mia famiglia, specialmente a mio padre che mi ha sempre supportato nelle mie scelte
e dal quale mi sono sentito, mi sento, protetto.
Bene, parliamo ora di musica, di jazz: fa parte del tuo
corredo genetico e suoni forse da quando hai i primi ricordi, ma ti è mai capitato,
come invece è successo ad altri jazzisti, di avere bisogno di una pausa da essa,
almeno ogni tanto?
No, proprio no. Tutto quello che faccio, lo faccio con la musica che mi suona dentro,
che mi accompagna in ogni ora, giorno. Non riesco a staccarmi da lei e sinceramente
non vedo neppure perché dovrei farlo almeno per ora (e viene da pensare che, nella
freschezza soleggiata dei suoi ventuno'anni, possa anche permettersi di avere infinite
riserve di energia musicale ancora per molto, molto tempo).
Un'ultima domanda. Ho sentito il CD Travel Dialogues, con
Dino Rubino e ti
devo dire che è stato forse al secondo ascolto che ho percepito la vostra fusione
perfetta che va al di là degli accordi e dei rimandi da jam session, perfino nelle
pause avete una synchro complice e perfetta. Nella vostra musica insieme esiste
un ingrediente in più. Se non sono indiscreta mi diresti cos'è?
Rispondo con una sola parola: siamo amici, ma amici amici, da sempre (e sorride,
come d'altronde ha sorriso per tutto il tempo).
Durante la chiacchierata con
Francesco
Cafiso, anche
Dino Rubino,
eclettico polistrumentista e compagno di musica e d'amicizia di Francesco, gentilmente
si avvicina e si rende disponibile a scambiare qualche impressione. Sì, impressione
è la parola giusta, perché, a differenza di Francesco, la cui solarità esprime certezze,
lo sguardo di Rubino è più introverso, forse più tormentato. Infatti, dalle parole
che ci scambiamo emerge una maturità di vedute musicali e di vita forse più spiccata
dei suoi 29 anni, appena.
A lui chiedo subito:
Dino, il pianoforte e la tromba sono strumenti profondamente
differenti per concezione musicale: uno copre più registri, dal "solo" al "tappeto"
d'accompagnamento; l'altra è più intimista, individuale, quasi "egocentrica", direi.
Potrebbe essere un aspetto che rispecchia anche il tuo modo di pensare, in bilico
tra collaborazione e individualità?
Forse. Per me il pianoforte è stato il primo strumento a cui mi sono dedicato, che
ho studiato anche in modo "classico" al Conservatorio di Catania fin da quando avevo
undici anni. Ma qualche anno dopo, pur continuando lo studio del pianoforte, ho
iniziato da autodidatta a suonare la tromba affascinato dal suono intrinsecamente
jazz dello strumento. Ho subito "sentito" un forte feeling con questo strumento
ed allora ho deciso di prendere delle lezioni per avere un'impostazione più corretta.
Scelta errata, alla fine, perché dopo le prime lezioni mi sono reso conto che il
suono che scaturiva non era più il "mio", non mi rispecchiava. Allora ho avuto una
forte crisi ed ho abbandonato la tromba per molti anni e mi sono dedicato al perfezionamento
dello studio del pianoforte.
Un rapporto difficile con lo strumento quindi, che ricorda
per certi versi il rapporto contradditorio di Rava con la sua tromba.
Sì e no. Difficile perché probabilmente, come è capitato a me a quattordici anni,
quando ti abitui al "tuo" personale suono e poi lo strumento te ne restituisce un
altro, non lo riconosci e ti vengono molti dubbi sul proseguire. E' divenuto poi
meno difficile perché, una volta sedimentate le conoscenze tecniche per un lungo
periodo di sei anni, nel 2007 ho ripreso la tromba e ho ritrovato, riconosciuto
finalmente il mio stile e le mie note. Da allora continuo ad alternare il piano
e la tromba, ma non durante lo stesso concerto, per i motivi di cui si diceva prima
rispetto al coinvolgimento emotivo differente che i due strumenti mi scatenano.
Dalla chiacchierata con Francesco (Cafiso), mi è sembrato
molto chiaro che la vostra collaborazione è, oltre che un connubio musicale di suoni
e pause perfettamente incastrati, anche una questione di profonda amicizia e corrispondenza.
E' così?
Eh sì. Figurati che a 16 anni suonavo in un'orchestra ed ero il "piccolo" del gruppo;
quando improvvisamente arriva questo bambino di otto anni con un sassofono più grande
di lui e mi ruba il primato (sorride divertito). Da allora siamo diventati profondamente
amici ed abbiamo diviso moltissime delle nostre esperienze musicali in varie formazioni,
ma è senz'altro il duo la formula in cui uno dialoga e risponde musicalmente all'altro
nel modo più intimo.
Ma ora deve fuggire: tra poco inizia il concerto.
Successivamente, dall'ascolto del concerto e dopo questo scambio di parole, è evidente
che la gioiosa esuberanza del sax alto di
Francesco
Cafiso e il piano ricco di note riflesse che sconfinano nel classico,
quasi intimista, di
Dino Rubino
sono perfettamente complementari, tra dialoghi, contrappunti e pause. Chi ascolta
si rende conto che emerge prepotente, oltre alla diversa, singolare, capacità tecnica
e stilistica dei due giovani jazzisti, il loro estremo piacere di suonare insieme,
da amici.