Quattro chiacchiere con…Dino Rubino
ottobre 2012
di Alceste Ayroldi
foto di
Carmine
Picardi
Dino Rubino, la sua vita musicale sembra
legata ad una altalena tra pianoforte e tromba: come mai questa indecisione?
Non saprei dare una risposta esatta a questa domanda. L'unica cosa di cui sono certo
è che ad un certo punto mi sono ritrovato in questa situazione senza volerlo. Viceversa
poi, c'è voluto un bel po' di fegato per decidere di portare avanti entrambi gli
strumenti. E' come se questi strumenti, diversissimi tra loro, si fossero sempre
intrecciati ed interscambiati nel corso della mia vita. Oggi a 31 anni sono sicuro
di aver fatto la scelta giusta e ciò mi fa sentire molto appagato.
Nel 2001, proprio in tal senso, la sua biografia parla
di "un periodo di crisi" che le fa abbandonare la tromba…
E' stato proprio in quell'anno che presi la decisione di mollare la tromba. Due
anni prima avevo iniziato a studiare con un trombettista classico il quale mi fece
cambiare impostazione facendomi rincominciare praticamente da zero. Seguirono due
anni molto frustranti: al termine di ogni concerto non ero mai felice perché non
riuscivo più a suonare nulla di quello che mi suonava in testa. Così nel
2001, al termine di un altro "disastroso" concerto
tenutosi a Piazza Armerina, durante il tragitto di ritorno presi la decisione di
mollare la tromba e riprendere il piano. Nel giro di una settimana comunicai questa
decisione a parenti, amici e musicisti. Nei due anni successivi non feci nemmeno
un concerto.
Oggi, invece, si alterna felicemente
tra l'uno e l'altro strumento. Ve ne è uno che preferisce?
Sono due strumenti talmente diversi tra loro che mi consentono di far uscire moltissimi
aspetti del mio mondo interiore, anche se alla fine penso che siano le due facce
della stessa medaglia. Quindi non c'è uno strumento che preferisco di più rispetto
ad un altro, semmai penso la musica in modo diverso a seconda dello strumento che
suono.
La sua è una formazione classica, come è arrivato al jazz:
chi l'ha folgorata?
Nel 1994 mio padre, grande appassionato di jazz
e batterista dilettante, portò me e mio fratello a Perugia per vedere qualche concerto
all'interno della rassegna "Umbria Jazz". Lì, in un piccolissimo club, a pochi metri
di distanza vidi suonare per la prima volta Tom Harrell. Fu un emozione
così intensa che una settimana dopo, una volta rientrato a casa, presi la decisione
di abbandonare il Conservatorio, ero al III anno di pianoforte, e iniziare lo studio
della tromba e del jazz.
Invece, chi è stato il suo mentore?
L' anno successivo frequentai i seminari di
Siena Jazz
e li conobbi
Enrico Rava. Ebbi la possibilità di suonare nella sua classe di musica
d'insieme per quindici giorni e fu un' esperienza importantissima per la mia formazione
musicale. Penso che tutti i musicisti da giovani abbiano avuto dei punti di riferimento;
Enrico è stato uno dei miei idoli ed ho imparato tanto da lui, soprattutto dal vederlo
e sentirlo suonare. Ha fatto tanto per me e gli sono veramente grato.
Di lei si parla, già da qualche anno, in termini più che
entusiastici e, come spesso accade in queste occasioni, di un enfant prodige. Indossa
ancora questi abiti o ritiene che siano tempi passati?
Non mi sono mai sentito un enfant prodige e soprattutto non credo a questo
mito, questa definizione. Ho visto e so di ragazzi talentuosissimi che hanno iniziato
a suonare da giovanissimi e si sono persi strada facendo; viceversa altri musicisti
hanno raggiunto una loro dimensione e maturità artistica col tempo pur non avendo
mostrato grandi doti da piccoli. Quello che ho capito crescendo è che per fare un
buon artista solo il talento non basta. Di contro senza quello non si va da nessuna
parte.
C'è qualche giornalista, qualche critico che la ritiene
parecchio acerbo. Eppure, nonostante sia ancora giovane, di mestiere ne ha un po'
alle spalle. Cosa risponde a codesti?
Beh, c'è anche qualche giornalista che ritiene
Giovanni
Allevi un genio. Sinceramente accetto qualsiasi critica con molta serenità:
se sono costruttive mi fermo e ci rifletto altrimenti vado avanti per la mia strada.
A proposito di mestiere, tante collaborazioni con prestigiosi
musicisti: quale ricorda con maggiore piacere e quale (potrebbero coincidere) l'ha
particolarmente arricchita?
Due ricordi: il primo a due grandissimi musicisti che non sono più con noi, con
cui ho avuto la grande fortuna di collaborare sin da giovanissimo:
Enzo Randisi
e Gianni Basso. Il secondo va ai due musicisti che mi hanno più influenzato
artisticamente e con il quale, anche con loro, ho avuto ed ho tutt'ora la fortuna
di condividere il palco molto spesso:
Enrico Rava
e Paolo Fresu.
E c'è qualcuno con cui vorrebbe collaborare a tutti i costi?
Mi piacerebbe collaborare con
Charlie Haden…ma anche con Norah Jones.
Alcuni suoi colleghi si dedicano anche ad altre musiche,
come dire, più remunerative del jazz. Se ne avesse modo e occasione lo farebbe anche
lei?
Dipende da tante cose. Se è un buon compromesso, in cui avrei comunque modo di esprimere
la mia musicalità credo che accetterei senza nessun problema. Se viceversa dovessero
chiedermi di "prostituirmi" solo per stare davanti una telecamera me ne starei volentieri
a casa. E' solo questione di trovare il giusto compromesso con il giusto equilibrio
nel momento giusto.
Parliamo di Zenzi, il suo primo album da leader. In primo
luogo, come mai un tributo a Miriam Makeba?
Circa due anni fa invitarono me, Stefano e Paolino a suonare all'interno di un festival
dedicato all'Africa. Così una sera parlando con Stefano mi disse: "che ne dici di
mettere su un progetto dedicato alla Makeba"? Appena rientrato a casa inizia a documentarmi,
comprai dei libri (tra cui una splendida autobiografia) ed ascoltai un po' della
sua musica. Dopo quindici giorni non avevo più nessun dubbio: Miriam Makeba
era entrata nel mio cuore. Così inizia a comporre la musica per quel progetto e
sei mesi dopo entrammo in studio per registrare.
Poi, perché ha scelto la formula del trio e perché proprio
Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli?
Dal 2009 al 2011
siamo stati la ritmica di uno dei gruppi di
Francesco
Cafiso chiamato "4OUT". Lì ebbi modo di conoscere meglio Stefano e Paolino.
Nel 2010 Stefano mi disse che c'era la possibilità
di fare un po' di concerti con questo trio in qualche jazz club così accettai. Al
termine di quei concerti sentii chiaramente che ero pronto per formare un gruppo
mio.
La sua linea compositiva è, per così
dire, molto italiana, molto legata alla melodia. Quanto c'è di improvvisazione e
quanto è invece scritto?
In realtà il mio modo di comporre dipende molto dal tipo di progetto che ho in mente.
Diciamo che prima delineo il percorso, che sarebbe il progetto, poi i particolari,
ovvero le composizioni. In genere mi piace cercare sempre una melodia, qualcosa
che rimanga in testa. Non so perché ma ascoltare musica di cui alla fine non ricordo
nemmeno un tema mi annoia. Ecco perché non mi piace tutta o gran parte della nuova
musica che va di moda in questo momento a New York.
Una casa discografica, la Tuk Records, che è dominio di
un suo "rivale":
Paolo Fresu, mica poco. Che, però, è anche il suo migliore sostenitore.
Cosa vorrebbe dire a Fresu?
Paolo per me significa tanto, come musicista, come trombettista ma ancor di più
come persona. Posso dire con molta sincerità che è un punto di riferimento, e mi
piacerebbe sottolineare che non ne ho molti, anzi… Essere appoggiato e sostenuto
da Paolo è una cosa di cui vado fiero, una gioia grande e per questo vorrei ringraziarlo,
perché penso che la gratitudine verso chi ti fa del bene è una cosa importante:
grazie Paolo!
Un lavoro discografico ricco di colori e timbri. E' solo
il pensiero a Miriam Makeba o fanno parte del suo dna musicale?
Per realizzare questo lavoro abbiamo usato delle percussioni particolari, e tanti
colori timbrici che dentro di me evocavano la mia Sicilia e l'Africa, terre che
hanno in comune molto di più che la vicinanza geografica. Ho voluto usare molti
colori per omaggiare Miriam rispettando sempre la mia natura, quindi ho usato molti
colori per entrambi i motivi.
In verità, questo lavoro non è proprio il suo primo disco
da leader, perché preceduto da Mi sono innamorato di te, pubblicato dalla Venus
e licenziato in Giappone. Una scelta di mercato quella di escludere l'Italia?
Anche quello un caso. Nel 2008 registrai un
disco con
Francesco Cafiso per la Venus e così il produttore, due mesi dopo,
decise di produrmi un disco. Scelsi la formazione in due giorni e andammo in studio
senza mai aver suonato insieme. In realtà non considero quel disco il mio vero esordio
discografico da leader ma in ogni caso è stata un' esperienza.
A tal proposito, quanto è difficile
fare il jazzista in Italia?
Purtroppo oggi in Italia non si investe sulla cultura, non si investe sui giovani
ma si fanno operazioni di mercato perché tutto gira attorno ai soldi e per questo,
per un giovane emergente è davvero difficile creare uno spazio per potere esprimere
la propria fantasia. Parole come bilancio, profitto, vendita, entrate, sono queste
che comandano il mondo della cultura, e l'arte vera con queste parole non è andata
quasi mai d'accordo. Chi organizza un festival pensa solo a vendere più biglietti
possibile, chi è produttore televisivo pensa solo ad alzare lo share, tutto il resto
non conta nulla. Penso che la piu' grossa rovina dell'arte, ed in genere della società
odierna, sia questa: il denaro.
Secondo lei è così importante farsi vedere in Tv affinché
i concerti siano pieni di gente?
Non è fondamentale, vedi Fresu o Rava i quali concerti sono sempre sold out,
ma sicuramente la televisione da una popolarità incredibile, vedi Bollani, e aiuta
senz'altro a riempire i teatri.
Quali sono i suoi progetti futuri? E i progetti di questo
trio?
Ho appena finito di registrare due bellissimi dischi, uno con
Giuseppe
Mirabella l'altro con Rino Cirinnà. Nel
2013 registrerò un altro album per l'etichetta di Paolo ma per il
momento preferisco non anticipare nulla riguardo il progetto e la formazione. Per
quanto riguarda il trio siamo ancora in crescita per cui mi auguro di fare ancora
un bel po' di strada insieme.
La sua attuale playlist: che musica ascolta in questo periodo?
Per motivi personali è da circa un mese che mi trovo in Portogallo; qui ho scoperto
il Fado e me ne sono innamorato. Tutti i pomeriggi vado in un piccolo posticino
al centro di Coimbra, una delle capitali del Fado, ad ascoltare questa splendida
musica…per cui nessuna playlist, musica dal vivo!
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Data pubblicazione: 22/12/2012
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