Quattro chiacchiere con...Luca Bragalini
dicembre 2013
A cura di Alceste Ayroldi
Luca Bragalini
è un nome ben noto per jazzisti e jazzofili: musicologo, saggista e didatta di vaglia,
è anche un ricercatore senza confini; tant'è che ha scoperto opere inedite di Duke
Ellington, Chet
Baker e Luciano Chailly. Il suo ultimo lavoro editoriale è "Storie poco
standard. Le avventure di 12 grandi canzoni tra Broadway e jazz", edito dall'EDT
(pagine 197, euro 12, 50).
Un percorso avvincente che lega dodici
immarcescibili standards, in verità tredici, giacché a sorpresa il lettore troverà
anche una bonus-track, a sottolineare l'andamento spiccatamente musicale che il
libro tiene, anche nella prosa elastica e vigorosa di Bragalini. Vi sono ampie impronte di musicologia afroamericana,
ma anche tante storie, di quelle
che appassionano e lasciano capire come, giusto per fare degli esempi, siano sbocciati
"Georgia On My Mind", "My Favorite Things", "Little Girl Blue",
"Autumn Leaves". Le vicende fanno coppia con l'evoluzione musicale e con
la collocazione temporale mettendo l'accento sui profili umani dei grandi compositori,
sia in gloria che in disgrazia. Ci si accorge, inoltre, di quanto la musica sia
sempre e solo una, al di là delle scatole volute dai catalogatori, perché di plagi
– se così si vogliono definire – ce ne sono a bizzeffe, senza mai copiare in modo
smaccato: frutto dell'evoluzione e del rispetto per chi ha preceduto.
Un libro che non ha un target. O, meglio, l'identikit sarebbe:
ama leggere, ama la musica e ama le storie.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Luca
Bragalini.
Come è nata l'idea di scriverne un libro?
E' da anni che ho "in repertorio" conferenze monograficamente dedicate a singole
composizioni. Una di queste conferenze colpì Luciano Vanni, Direttore di Jazzit,
che mi propose di scrivere dei saggi per la sua rivista. Poi ho deciso, dopo un
intenso lavoro di editing e aggiungendo nuovi capitoli, di trasformare quel lavoro
in un libro. La sfida è stata quella di scrivere un libro leggero e profondo al
contempo, fatto di saggi brevi, una sorta di distillato. Che poi, in quanto distillato,
sia una strizzabudelle da pochi spiccioli o una libagione di maggior pregio non
sta a me dirlo.
Di standards ce ne sono a bizzeffe, perché hai scelto proprio
questi dodici? Cosa hanno più di altri?
Perchè quei 12 mi hanno permesso di raccontare 12 storie differenti. Dodici
song come 12 spioncini dai quali veder passare in parata George Bernard Shaw
e Janis Joplin, Walt Disney e Jacques Prévert, protohippie
degli anni Quaranta e osservanti ebrei russi, i giganti del jazz e le star del pop.
Il libro parte dalla musica ma spesso prende altre traiettorie.
Una domanda oziosa: perché proprio dodici e non, faccio
per dire, undici o tredici?
In realtà sono 13...perchè benchè il sottotitolo reciti "le avventure di
12 grandi canzoni..." io ho aggiunto una Bonus Track, ossia una grande, superba,
fragilissima canzone che al contrario delle altre 12 non è diventata uno standard.
E in quel capitolo indago le ragioni di quella mancata nomina a classico.
Come hai operato per il reperimento delle fonti, soprattutto
per quanto riguarda le storie connesse a ogni singolo brano?
Leggendo un sacco di libri! D'altra parte è il mio mestiere. E come spesso accade
i testi non direttamente di argomento musicologico mi hanno condotto verso sentieri
inediti di ricerca.
Ti sarebbe piaciuto intervistare qualcuno in particolare
degli autori di cui parli? Se sì, perché proprio lui e cosa gli avresti voluto chiedere?
Irving Berlin. Perchè è un genio che raramente ha rilasciato interviste.
Ostinato e caparbio come sono (alcuni miei collaboratori, con loquela più colorita
e forse più calzante, direbbero rompicoglioni) forse sarei riuscito a strappargli
qualcosa di significativo.
Di tanto in tanto, nella narrativa, fa capolino qualche
brano musicale che ha "rubato" a chi lo ha preceduto.
In tutta la storia della musica c'è questa idea di "prendere a prestito" e talvolta
senza neppure restituire! Nel mio libro in più di una occasione affiora il tema
del plagio.
In Autumn Leaves riveli che Joseph Kosma ha attinto
dal sacco di Cajkovskij: è una tua "scoperta"?
No, in ambiente musicologico è un dato che si conosceva. Ma nel capitolo su
Autumn Leaves io disseppellisco altre cose...
Sarebbe stato bello allegare al libro anche un cd con i
dodici brani: non è stato possibile, oppure è stata una tua scelta?
Non è stato necessario. I 39 titoli delle versioni irrinunciabili (riportate
in discografia) sono gratuitamente disponibili su
Spotify. Il cd
avrebbe fatto lievitare il prezzo del libro che invece così è piuttosto contenuto.
Vorrei fare un gioco, se possibile: prendiamo dodici versioni
"alternative", differenti rispetto agli originali dei brani in questione. Quali
avresti scelto?
Sarò ancora più irrispettoso ed estremo: queste interpretazioni addirittura superano
l'originale:
- "Liza", Art Tatum (1934)
- "Georgia on My Mind", Ray Charles (1960)
- "Little Girl Blue",
Nina Simone
(1957)
- "How Long Has This Been Going On", Ray Charles (1973)
Il resto il lettore interessato lo troverà nel libro al paragrafo "Suggerimenti
per l'ascolto: il percorso A".
Narri le avvincenti storie che si legano ad ogni brano.
A tuo avviso, qual è la più stravagante circostanza in cui è nato uno standard?
Beh, ci sono diverse origini bizzarre. Nel libro scoprirete che "Nature Boy"
ha le sue radici tra la Germania del tardo Ottocento, i protohippie californiani
degli anni quaranta, la musica del teatro Yiddish degli anni Trenta (e non si fa
mancare neppure un pizzico della filosofia indiana di Yogananda...). "Autumn
Leaves", prima di finire nei jazzclub statunitensi, ha origine da un balletto
tra Francia e Ungheria. "Liza" devi i suoi natali al minstrel show...insomma
di principi bislacchi e imprevedibili ve ne sono tanti tra le mie 12 storie!
Dei brani dell'ultimo quinquennio, a tuo avviso ci potrebbero
essere degli standards del futuro? Se sì, quali?
Non credo, perlomeno dal mondo del pop non credo. Non si tratta del valore intrinseco
della musica ma delle condizioni culturali che sono profondamente cambiate.
Secondo te, chi è il più grande compositore?
Domanda delle 100 pistole! Permettimi almeno due nomi: Berlin per la melodia,
Gershwin per il suo stile, che è tra i più inconfondibili del Novecento.
E il più grande paroliere?
Ancora la deroga a due: Ira Gershiwn e Lorenz Hart, due funamboli
della parola; leggerissimi e vertiginosamente profondi.
Pensi già al numero 2 di "Storie poco standard"?
Non credo. A meno che con questo libro non faccia un sacco di soldi. Nel caso avrei
pronta una enciclopedia di 26 volumi.
E a una versione più vicina ai giorni nostri?
L'aspetto sorprendente degli standard è che essi sono già vicini ai nostri giorni:
risuonano dagli spot televisivi, sono reinterpretati da pop star e jazzmen del momento,
insomma sono dei classici, quindi appartengono tanto al passato quanto al presente
e molto probabilmente rimarranno al loro posto anche nel futuro.
Tu svolgi un'intensa attività didattica: cosa ne pensano
e cosa ne sanno i giovani del passato del jazz?
Gli allievi sono molto interessati al passato, e questo interesse è vibrante sia
tra gli iscritti del conservatorio sia tra i curiosi che frequentano le mie conferenze
divulgative. Il jazzman più amato alla fine dei miei corsi è
Louis Armstrong.
A parte ciò, quali sono i tuoi prossimi obiettivi da storico
e musicologo? A cos'altro stai lavorando?
Il prossimo lavoro sarà su Ellington, o più precisamente sulle opere
sinfoniche di Ellington. E' da molti anni che lavoro su questo tema; le mie ricerche
mi hanno condotto al ritrovamento dell'ultima opera sinfonica di Elington; ne ho
curato la world premiere che sarà acclusa in CD al mio libro. Il testo sarà pubblicato
da EDT e sarà disponibile in libreria da marzo 2015.
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
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Data pubblicazione: 01/12/2013
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