Happy Birthday Django!
23 gennaio 2010
Marco Losavio
"Il jazz è americano, ma la
musica non ha patria. E il jazz è musica. Noi suoniamo un tipo di jazz
che è in stretti rapporti con la cultura europea, ma è sempre jazz.
Perchè il jazz ha regole espressive da cui non si può derogare".
Django Reinhardt
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16 maggio 1953, è tarda sera, Il treno che da Parigi
va verso Fontainbleu-Avon, come ogni sera, procede nel silenzio di quei pochi passeggeri
che lo frequentano a quell'ora. Un attimo, più breve di ogni sua nota, più maledetto
di ogni sua smorfia e la leggenda del più grande chitarrista di tutti i tempi conosce
così il suo epilogo. Un'emorragia cerebrale, un medico che tarda ad arrivare, e
non rimane che quel suono, quel "rumore melodico" che sapeva stregare e che
ha invaso il pianeta diventando un "tipo di jazz". Oggi, 23 gennaio
2010, ricorre il centenario dalla nascita di
Jean Baptiste Reinhardt, quella "specie" di chitarrista che tutto il mondo
conosce come: Django. E suonare a-la-Django, è un modo per identificare inequivocabilmente
uno stile.
Esistono molti articoli, vari libri, su Django Reinhardt e c'è da
premettere che sono davvero poche le testimonianze documentate pertanto in questi
casi, il passo dalla storia alla leggenda rischia di essere breve e improvvido.
Noi vogliamo quindi cercare di ricordare semplicemente la sua vita artistica ripercorrendo
le fasi più significative di un'esistenza vissuta in modo fugace ma che ha saputo
lasciare il segno. Un jazzista geniale e analfabeta appartenente a quella ridottissima
schiera di cui fanno parte nomi come Erroll Garner, Ella Fitzgerald, Bix Beiderbecke,
Sidney Bechet. La sua cultura musicale derivava da tutto ciò che era possibile acquisire
attraverso l'oralità, tipica del popolo zigano.
Reinhardt
nasce in Belgio a Liberchies,
Pont-à-Celles, il 23 gennaio 1910. Il suo soprannome,
Django, deriva dal rumeno "sveglio". Ed era sicuramente sveglio Django che
inizia a suonare il banjo a 6 corde sin da bambino per poi incidere un disco nel
1928. Ha 18 anni ed una sera, rientrando nella
sua roulotte, urta accidentalmente una candela. All'interno c'era probabilmente
molto materiale infiammabile perche' la giovane moglie, Florine "Bella" Mayer,
per guadagnare qualche soldo, confezionava fiori composti da carta e cellophane.
In un attimo, la roulotte diventa una palla di fuoco, Django rimane prigioniero
dentro, immerso dalle fiamme. Alcuni vicini riescono ad estrarlo ma ha ustioni
su più della metà del corpo. La gamba e' compromessa, così come l'anulare e il
mignolo della mano sinistra. I medici vorrebbero amputargli la gamba paralizzata ma Django
rifiuta e va via sostenendosi per più di un anno con un bastone. Non avrebbe
più suonato la chitarra si diceva, ma un giorno suo fratello Joseph, chitarrista,
per stimolargli un recupero certamente anche psicologico, gli regala una nuova chitarra.
E' fu così che Django decise di tirar fuori la parte forte del suo carattere: ricomincia
a suonare "inventandosi" nuove diteggiature, soffrendo ma ponendosi nuovi limiti,
nuovi traguardi. Con l'indice e il medio scorre la tastiera aumentando velocità
e precisione con continui ed estenuanti esercizi, con l'anulare e il mignolo, parzialmente
paralizzati, diventa precursore dell'uso delle ottave (poi divenute il "marchio
di fabbrica" di Wes Montgomery) e prende dei semibarre' che arricchiscono gli accordi di none e tredicesime
e sui quali la portentosa mano destra esegue dei "rullii" secchi ed energici similari
proprio a quelli di un rullante di batteria. Il pollice, si "affaccia" spesso dall'alto
del manico per contribuire prendendo i bassi.
Dopo
alcuni anni che Django si esercita e progredisce sempre più, nel
1934 avviene l'incontro più importante della sua
carriera. Parigino, violinista, musicalmente colto, Stephane Grappelli coglie
l'idea di Django e insieme costituiscono l'epico Quintette du Hot Club de France
nel quale figuravano anche il fratello Joseph, il chitarrista Roger Chaput
e il bassista Louis Vola. Nessuna percussione. L'uso delle tre chitarre acustiche
suonate in quel modo avrebbe reso la batteria persino ridondante. Il ritmo c'era ed era
sempre estremamente incalzante. La chitarra ritmica sostituiva di fatto il rullante
e il contrabbasso la cassa.
Siamo
negli anni trenta, in cui dilagano le orchestre e i combo con gli strumenti a fiato.
Ance ed ottoni diventano protagonisti indiscussi della musica americana (per non
parlare del piano) quindi questa di Django non può che rivelarsi una vera e propria
innovazione che avrà poi, di fatto, un seguito senza precedenti. Attrice di rilievo
e sicuramente non secondaria, era la sua chitarra. Django utilizza una Selmer
Maccaferri, prima chitarra acustica ad avere la spalla mancante, un'anima di ferro nel
manico, la bocca ovale e...un suono un po' "nasale" ma potentissimo - dato
che non venivano utilizzati amplificatori - asciutto ma capace di poter mantenere
il suo sustain a lungo. Sono chitarre che si suonano con plettri molto duri
e corde spesse (012).
La musica di Django si divulga rapidamente anche perchè suona molti classici
dei songbook americani, ma vi sono anche episodi come il Concerto per due violini
in Rem di Bach, oltre a sue composizioni che figurano comunque in modo
minore. Musicisti come Coleman Hawkins, Benny Carter, Stuff Smith,
Eddie South, Rex Stewart suonano con Django anche se non si possono
considerare quegli incontri artisticamente determinanti. Di fatto, erano comunque
inizi, tentativi di ampliare la propria cultura, e se avessero insistito qualcosa sarebbe nata ma nella mente di Django
la musica scorreva con altra dinamica, velocità, intensità e, forse, come anche
i suoi interessi hanno dimostrato, solo i boppers avrebbero potuto catturare e far
evolvere il linguaggio da ambo le parti. Era nota infatti l'attenzione che Django riponeva
in Parker e Gillespie.
Arriva la prima guerra mondiale, e il quintet di Django e Grappelli e' in
tour in Inghilterra. Grappelli decide di non rientrare mentre Django torna in Francia
sfidando (forse inconsapevolmente) il suo destino perchè il nazismo imperversò anche
nel popolo manouche. Django si salva pare per la particolare simpatia di
un ufficiale dell'aviazione tedesca appassionato di jazz, il quale impazzisce per
la sua musica. Ma l'aspetto più interessante e' che in questo periodo Django,
senza Grappelli, crea vari altri combo caratterizzati dai fiati. Il violino di
Grappelli e' sostituito dal clarinetto suonato da Alix Combelle,
sostituito poi da Hubert Rostaing e poi anche da Alex Lluis.
Inoltre Django suona spesso con orchestre e combo diversi dal suo usuale
Quintette come Noel Chiboust et son Grand Orchestre, Django Reinhardt
et son Grand Orchestre de danse...La liberazione da parte americana fa
incontrare Django con musicisti provenienti dalla Glenn Miller Orchestra e la "European
Division Band of the Air Transport Command", diretta da Jack Platt, diventa la
Django's American Swing Band.
Django con Duke Ellington e in camerino con alcuni componenti
della Duke Ellington Orchestra
Hubert Rostaing & Django Reinhardt
La guerra non porta quindi nessuna particolare nuova esperienza musicale
nella vita di Django che reincontra il fido Grappelli in Inghilterra subito dopo,
nel 1946. Incuriosito dalla musica americana
(e viceversa), Django si reca in autunno negli USA invitato da Duke Ellington
che vuole inserirlo nei concerti della sua Orchestra. Un traguardo, si
penserà, un apice di carriera, ma per Django si rivela una forzatura dalla quale
di fatto finisce col fuggire. Ellington gli riserva solo pochi spazi e spesso verso il finale
dei suoi concerti. Django si deve accontentare di fare l'ospite e si deve anche adattare ad una chitarra
elettrica amplificata non avendo a disposizione la sua Selmer
Maccaferri. Quindi il suono e le dinamiche erano ben lontane dal suo stile e
dalle sue abitudini e, per giunta, pare che una
volta la chitarra fosse talmente scordata che Django impiegò più di 5 minuti per
accordarla (si deve anche sottolineare che Django non conosceva la musica pertanto
semplici operazioni come accordare la chitarra le aveva sempre delegate al fratello
Joseph il quale era solito accompagnarlo, ma in quell'occasione Django era solo).
A New York Django cerca di contattare Gillespie e Parker ma sono in tour pertanto
decide di interrompere questa sua avventura rientrando in Francia:
oramai ha deciso che la sua musica e' solo la Sua musica. Le influenze con il
resto possono aspettare momenti più naturali. Suona continuamente anche
se è noto il suo carattere molto particolare che lo porta anche a non
presentarsi ad alcuni concerti. Nell'ambiente, è considerato inaffidabile al
punto che i musicisti spesso lo andavano a prelevare direttamente e con largo
anticipo...
Django con Paul Whiteman
Nel 1949 Django viene in Italia insieme
a Grappelli e chiede la collaborazione di una ritmica locale. Fu così che tre sconosciuti
musicisti italiani, Gianni Safred al piano, Carlo Pecori al contrabbasso
e Aurelio De Carolis alla batteria hanno la enorme e impagabile fortuna di
accompagnare questi due grandissimi musicisti in varie sedute e concerti durante
i quali furono registrati vari brani alcuni dei quali inseriti in
un epico album, Djangology. Non sono le migliori
incisioni di Django, ma rappresentano senza dubbio un'importanza storica elevatissima
dato che sono state le ultime registrazioni di Django con Grappelli. Inoltre, si
possono ascoltare anche piano e batteria.
I Got Rhythm
Roma, Gennaio-Febbraio 1949
Django Reinhardt & Stephane Grappelli
Gianni Safred - piano, Carlo Pecori - contrabbasso, Aurelio De Carolis - batteria.
Successivamente, nel 1951, Django si ritira
nei pressi di Fontainbleu continuando a suonare soprattutto nei club di Parigi per
approdare, finalmente e naturalmente, alla chitarra elettrica. Ecco che allora in
Django cominciano a confluire influenze attribuibili alla musica bebop creando
una nuova risultante che purtroppo non si può realizzare oltre un certo iniziale
approccio.
E siamo al 16 maggio 1953...solo 43 anni
di vita. Il grandissimo Django che tanto avrebbe potuto ancora dare, si spegne per
sempre. Ha lasciato un seguito spaventoso che pochissimi nella storia della musica
possono vantare. Pletore di chitarristi suonano a-la-Django e non c'è chitarrista
jazz che non possa riconoscere in Django Reinhardt uno dei padri assoluti
della chitarra jazz. E non solo, dato che il famoso e bellissimo standard "Django"
è il tributo che un pianista come John Lewis (Modern Jazz Quartet) ha scritto
in memoria del chitarrista.
Un secolo! Oggi, è il suo compleanno, ascoltiamo un po' della sua musica,
suoniamo un po' a-la-Django...ne sarà sicuramente contento. Happy Birthday
Django!
"Django
Reinhardt: dalla chitarra gitana al jazz" - Maurizio Franco (Sinfonica Jazz)
"Django il gigante del jazz tzigano" - François Billard - Alain Antonietto (Arcana
Libri srl)
"Django oltre il mito: la via non americana al jazz" - Roberto Colombo (Erga Edizioni)
"Il Jazz in Italia" - Adriano Mazzoletti (EDT)
"Il Jazz: i dischi, i musicisti, gli stili" - Marcello Piras (Editori Riuniti Multimedia)
"I segreti del jazz" - Stefano Zenni (Stampa Alternativa)
Django Reinhardt 1934-1953 "Chronological Classics" (16 CDs) - (Classics Records)
Sito Djangopedia:
http://djangopedia.com/wiki/index.php?title=Main_Page
Django con Edith Piaf
27/06/2010 | Presentazione del libro di Adriano Mazzoletti "Il Jazz in Italia vol. 2: dallo swing agli anni sessanta": "...due tomi di circa 2500 pagine, 2000 nomi citati e circa 300 pagine di discografia, un'autentica Bibbia del jazz. Gli amanti del jazz come Adriano Mazzoletti sono più unici che rari nel nostro panorama musicale. Un artista, anche più che giornalista, dedito per tutta la sua vita a collezionare, archiviare, studiare, accumulare una quantità impressionante di produzioni musicali, documenti, testimonianze, aneddoti sul jazz italiano dal momento in cui le blue notes hanno cominciato a diffondersi nella penisola al tramonto della seconda guerra mondiale" (F. Ciccarelli e A. Valiante) |
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COMMENTI | Inserito il 30/1/2010 alle 16.26.28 da "fragen2007" Commento: Davvero un grande e speciale tributo alla memoria e all' approfondimento della figura dell'Artista Django, reso in un toccante ed appassionato articolo , e tramite un apprezzabile commento storico e tecnico-musicale che ci restituisce intatta la sua geniale unicità fra i protagonisti del jazz mondiale di tutto il novecento. Un saluto a tutti i lettori . Francesco Genco-Gioia del Colle (Ba) | |
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Data pubblicazione: 23/01/2010
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