Roberto G. Colombo
Django oltre il mito - la via non americana al Jazz
Erga Edizioni 2007 15 Euro
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Ci sono "libri che quando li hai finiti di leggere, tutto quel che segue
vorresti è che l'autore fosse un tuo amico e poterlo chiamare al telefono tutte
le volte che ti gira." Finito di leggere "Django oltre il mito" di
Roberto G. Colombo, mi è
venuta in mente questa frase tratta da "Il giovane Holden" di Salinger. Perchè
questa monografia di Django è veramente appassionante. E ti verrebbe voglia di discuterne
con l' autore. E, in certi momenti, anche di litigarci.
In poche parole. Non c' è una pagina di questo libro che non sia interessante.
Anche, a volte, in negativo. "Django oltre il mito" pone una serie lunghissima
di questioni importanti per chi, a qualsiasi titolo, addetto ai lavori o appassionato,
si muove nel mondo del jazz. Questioni che attengono l'essenza ed il futuro di questa
musica. Ci sono anche interessanti appunti sul ruolo della critica; tanto più interessanti
considerato che la rete apre spazi grandi in questi tempi ai critici dilettanti...
Nello specifico il libro si compone, grosso modo, di due sezioni. Una
di carattere estetico filosofico, che tenta di sintetizzare domande risposte su
temi molto profondi: cos' è l' arte, cosa e è il jazz, perché l'arte, perché il
jazz. La seconda è un lungo excursus storico- critico su Django e il suo mito, un
tentativo di analizzare la figura del grande gitano con strumenti di analisi scientifica,
lontano dall'idolatria (anzi Djangolatria) che circonda il personaggio.
Sulla prima parte si appuntano alcune mie perplessità. Si tratta in buona
sostanza di un saggio accademico, scritto in linguaggio accademico per un pubblico
di specialisti accademici. Colombo
suggerisce addirittura che le due sezioni del libro possano essere indipendenti.
Che una possa essere letta senza l'altra. Il che, francamente, mi appare un po'
bizzarro. La domanda che pongo invece è questa. Non è proprio possibile affrontare
temi così complessi in linguaggio non accademico? E' ancora, la divulgazione nella
cultura italiana è una bestemmia? Sono personalmente legato a modelli di comunicazione
storico filosofica propri della cultura anglo sassoni e credo che certi temi possano
essere trattati, senza essere annacquati né banalizzati, con tecniche
di scrittura più chiare, più eleganti anche.
La seconda parte disegna, utilizzando a piene mani ma con acume critico,
la vastissima bibliografia esistente, la figura di Django. Il suo essere o meno
inscrivibile nella storia del jazz (Colombo
giustamente propende per il sì), la sua tecnica chitarristica anche in funzione
della sua oramai leggendaria menomazione alla mano sinistra, il suo rapporto contrastato
con il bop e con i nuovi strumenti elettrificati, la sua passione per la musica
classica e contemporanea (Debussy e Ravel in primis). Ne emerge la figura straordinaria
di un musicista che dalla sua realtà etnica apre il suo linguaggio al jazz e ne
prefigura sviluppi futuri. Django è in anticipo sui suoi tempi, suona musica
del suo popolo ma sente il jazz intorno a lui e quello che verrà. Ha una sua libertà
che sarà la stessa, qualche anno dopo di Trane e Ornette. Rompe la
gabbia dei generi, il grande gitano, e prefigura il musicista totale teorizzato
da Gaslini, fa presentire sintesi più che contaminazioni di linguaggi musicali.
Il problema Django è il problema di cosa sia e dove vada oggi la musica improvvisata.
L' opera di Colombo è
quindi importante, direi necessaria, per chi si ponga questi interrogativi.
Scopo del libro era quello di superare la lettura mitologica dell'autore
di "Nuages". Per quegli strani scherzi del destino che i marxisti chiamano
"astuzie della storia" e altri filosofi "eterogenesi dei fini" il mito di Django
esce rafforzato dalla sua lettura critica. I djangolatri come me hanno ora
anche motivazioni storico-scientifiche per praticare più consapevolmente il loro
culto.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 30/11/2007
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