Incontriamo Adriano Mazzoletti
a Roma, a casa sua. Dopo le presentazioni ci rechiamo
quasi naturalmente nella zona della casa adibita ad archivio sonoro. E' infatti un vero e proprio archivio con migliaia di CD,
cassette, video, molte cose assolutamente uniche e introvabili accumulate
grazie alla lunga attività che Mazzoletti ha sempre
effettuato nelle radio, in televisione, in giro per il mondo. Ma Mazzoletti,
oltre ad essere un famoso giornalista, storico, è anche un batterista
e difatti ci fa ascoltare alcune sue incisioni recenti con giovani musicisti
che ci presenta.
«qui suona Giorgio Cuscito al pianoforte: è un'orchestra che è nata qualche
anno fa, con Fabiano Pellini, Michele Ariodante chitarrista, poi Carducci, io, assieme ad altra gente. Volevamo rifare un po' i vecchi dischi di Jean Goldkette
(Valenciennes, France, 18
marzo 1899 - 24 marzo 1962), siamo un po' tutti ammiratori di Bix Beiderbecke
(Davenport, Iowa, 10 ottobre 1903
- 6 agosto 1931) e di quel genere
musicale. Abbiamo fatto questi
The Ghosts
of The Twenties cioè "I Fantasmi Degli Anni
Venti". Erano divertenti, certo non sono gli
originali. Gli arrangiamenti sono tirati giù dai dischi, però con un certo rifacimento, ci hanno
rimesso le mani, non è insomma un'imitazione: è
divertente. C'è Luca Velotti al clarinetto che ho
fatto entrare con Paolo Conte, perché Paolo mi ha chiesto un clarinettista,
allora gli mandai un nastro con Luca, Giorgio Cuscito, ed io, che suonavo la batteria. Paolo Conte ha
sentito il nastro, gli è piaciuto molto Luca Velotti e da allora sono oramai
cinque o sei anni che suonano insieme. C'è Fabiano che suona bene, è entusiasmante, in
quest'orchestra eravamo in parecchi:
11 musicisti, ma tutti giovanissimi, a
parte me e Pino Clementi sax contralto, gli altri erano ragazzi di venticinque,
ventisei anni, è incredibile come questo jazz degli anni venti possa essere recepito da ragazzi di venticinque anni!
Ascolta, questa orchestra va come un treno! Dunque avevamo due tromboni, uno dei due
tromboni suonava anche la cornetta, poi c'era un cornettista, un contralto, un clarinetto e sax tenore, un baritono,
pianoforte, chitarra, contrabbasso, batteria e un cantante, l'unico problema di
quest'orchestra è che eravamo troppi. Sì, poiché non
riuscivamo a trovare degli ingaggi… Ecco c'era anche Clive Rich, poi Michael Supnick che suona il trombone ed è
americano. Clive riesce a cantare nello stile degli
anni venti, un po' come Chick Bullock
(Butte MT, 16 settembre 1908 -
California, 15 settembre 1981), anche Bing Crosby
(Harry
Lillis Crosby:
Tacoma, WA, 2 maggio 1904 - Madrid, 14 ottobre 1977)
se vogliamo. Il cantante è inglese, l'accento è perfetto, dietro senti
che ci sono dei bei backround. E' il repertorio
di Goldkette, anche di Trumbauer (Frank;
Trombar, Frank; Tram: Carbondale,
IL, 30 maggio 1901 - Kansas City, MO, 11 giugno 1956).
E' il repertorio di
queste orchestre bianche anni venti che erano orchestre semi jazzistiche. Cioè erano orchestre da ballo, che però suonavano con swing
e avevano solisti che prendevano le 32 battute, le 16 battute, e i solisti a quell'epoca erano
Bix Biederbecke, Red Nichols
(Ogden, Utah, 8 maggio 1905 - 18
luglio 1963), Tommy
(Shenandoah, Pennsylvania, 19
novembre 1905 - 26 novembre 1956) e
Jimmy Dorsey (Shenandoah,
Pennsylvania, 29 febbraio 1904 - 12 giugno 1957),
Eddie Lang (Philadelphia,
Pennsylvania, 25 ottobre 1902 - 26 marzo 1933),
Joe Venuti (Philadelphia,
Pennsylvania, 16 settembre 1903 - 14 agosto 1978)...
Poi ti dirò una cosa, feci venire in Italia, per la prima volta,
un trombettista che è anche un eccellente scrittore: Dick
Sudhalter ha scritto due libri importanti, uno intitolato "Bix a man and the legend", è la storia
di Bix Biederbecke, l'altro libro uscito da qualche mese si chiama "Lost Chords": è la storia del jazz bianco in America, che è
stato sempre un po' sottovalutato, molto sottovalutato. Lui suona la tromba molto bene, ha messo su
un'orchestra , dove c'erano: Velotti al clarinetto, Pellini, Rosario Bonacorso
al contrabbasso, insomma ha preso Velotti e
Pellini e se li è portati in America, e si sono fatti un tour … Questo è bravissimo
e Giorgio Cuscito è straordinario, pensa, che ha preso il tenore, ora lo suona
benissimo, ha imparato in quindici giorni. Peccato che la
batteria non è registrata bene.»
Ascoltando questa orchestra mi ha colpito proprio Mazzoletti che alla
batteria "non si risparmia" affatto.
|
Da sinistra a destra:
Ettore Zeppegno (A&R man della RCA),
Sergio Battistelli, Marcello Rosa,
Michael "Peanuts" Hucko e Trummy
Young.
Reunion nel
1959
presso la RCA tra la Roman New Orleans e Peanuts
Hucko per registrare il disco "Jam Session in Rome". In questi e in molti
altri eventi, come la Notte del Jazz, Adriano Mazzoletti ha sempre avuto un
ruolo fondamentale riuscendo a catalizzare sempre l''attenzione dei media e
delle major. |
«Ma sai è
il jazz! Il jazz di quell'epoca è più cuore che
cervello! A volte… Questo è un pezzo famoso di Bing Crosby
(Mississippi Mud
), lo suonava l'orchestra di
Paul Whiteman (Denver,
Colorado, 28 marzo 1890 - 29 dicembre 1967). L'unico difetto che hanno queste
incisioni? Tutti i pezzi sono presi velocemente, gli
originali erano un po' più lenti. Questo l'ha voluto Pellini, per
distinguersi un po' e per dare molto ritmo all'orchestra. Il charleston lo suona abbastanza bene, c'è swing. L'abbiamo fatto in un
giorno, del tipo "Buona la prima". Senza missaggio, presa in diretta, c'era un
microfono panoramico e poi c'era qualche altro microfono…ma senza missaggio,
niente. Devo dire,
risentendo questo disco dopo cinque, sei anni..è buono. E' meglio di quelli che fa adesso
l'orchestra. C'è Michele Ariodante, che è un bravo
chitarrista, ha swing, a lui piacciono molto i chitarristi degli anni venti,
Eddie Lang, Dick McDonough
(1904 - 1938).
Ha
studiato molto le sequenze armoniche di questi musicisti, devo dire che ha il
modo di accompagnare di questi musicisti, che poi il più grande è Eddie Lang, e
da lui poi sono derivati soprattutto Dick McDonough
e Carl Kress (1907
- 1965).»
Gli chiedo se anche Django avesse avuto tali influenze
«Jean
"Django" Reinhardt (Liberchien,
Belgium, 24 gennaio 1910 - 16 maggio 1953)
è stato un genio assoluto e secondo me
è assolutamente impossibile suonare come Django,
perché Django aveva un problema: utilizzava solo tre
dita sulla tastiera, perciò gli ultimi due, il mignolo e l'anulare erano
inutilizzabili, lui utilizzava pollice medio e l'indice, e l'anulare e il
mignolo li utilizzava per fare i "barrè", perché praticamente le dita erano paralizzate, ha avuto un buco
qui nel dorso della mano, un ferro è andato ad incidere il dorso e gli si è
conficcato qui nella mano ed ha perso praticamente l'uso di due dita. Pensa che
ha fatto un sforzo incredibile per rifarsi tutta la
tecnica, quindi suonare alla Django è quasi
impossibile, non ho mai incontrato un musicista, a parte gli zingari francesi
che riescono un pochino ad imitarlo, ma è una pallida cosa in confronto. In
Italia c'è stato uno, non dico che lo imitasse, però era riuscito quasi…si
chiamava Luciano Zuccheri era un chitarrista degli anni
'40, ha fatto un
quintetto negli anni '40 in Italia, con tre chitarre, violino e contrabbasso,
era formidabile, a parte che aveva dei violinisti eccezionali, perché da noi ci
sono stati almeno quattro o cinque violinisti di grande livello. Lui era riuscito (Zuccheri) ad avvicinarsi allo stile di Django, infatti, adesso voglio pubblicare i dischi
di questo Quintetto Ritmico di Milano. Tutti musicisti che sono un po'
dimenticati: cerco di farli conoscere un po' nel
mondo, sai questi musicisti erano solo conosciuti da persone che oramai però
"sono partite",
e quelli che ci sono oggi non li conoscono, allora bisogna farli conoscere.
Pensa a quello che ha fatto la Francia per i propri
jazzisti: hanno fatto un'operazione pazzesca per il jazz francese, hanno
portato alle stelle musicisti di valore, Django, Stephane Grappelli
(Paris,
26 gennaio1908 - 1 dicembre 1997),
Alix Combelle
(Paris, 15 giugno 1912 - Mantes, France, 27 febbraio
1978), ottimo solista di
tenore. Secondo me non sono diversi da lui Cottiglieri, o
Masciolini
(1924 - 1998) anche Andrè Ekyan
(Meudon,
France, 24 Oct 1907 - near Alicante, Spain, 9 Aug 1972)
non è diverso da
Franco Mojoli, però questi musicisti
italiani sono assolutamente dimenticati, sconosciuti al mondo. I francesi continuano a pubblicare i dischi dei loro musicisti, continuano
a parlarne, perché? Perché la critica francese ha
fatto un'operazione di grandissimo rigore, nel senso che ha grandemente aiutato
questi musicisti e li ha valorizzati, forse anche un po' di più di quello che
meritavano, però li ha valorizzati…
Che è successo in Italia? In Italia è
successa una cosa stranissima: nel dopo guerra
è venuta fuori la rivista
Musica Jazz con Arrigo Polillo,
Giancarlo Testoni. Testoni è stato il primo direttore, era una persona molto
intelligente e molto colta, ma il guaio è stato con Arrigo Polillo,
perché hanno cominciato a dare grande spazio ai dilettanti, bruciando e
minimizzando musicisti che avevano cominciato a suonare già negli anni '30, che
nel '45, avevano 40 anni, non è che fossero dei "decrepiti", erano
musicisti che sapevano suonare molto bene,.. Questi critici italiani hanno
scritto tutto su dei dilettanti: facendo addirittura critiche meravigliose su
dei personaggi che erano solo degli appassionati, facevano il farmacista, il
veterinario, il medico etc., o non so gli studenti, poi scomparivano nel giro
di un anno, questo a discapito di tutti gli altri. Allora questo ha causato un
problema nel jazz italiano, cioè hanno distrutto i
professionisti, i veri professionisti quelli che suonavano, e facevano la
professione e che erano in grado di suonare, e bene, nell'orchestra della RAI o
nei Night Club ma che erano anche degli eccellenti jazzisti. Sono stati degli
ignoranti questi critici, e questa ignoranza li ha portati a dire delle cose
sbagliate. Tutta la mia vita l'ho spesa cercando di
recuperare la memoria di questi musicisti, attraverso questa collana dei dischi
della Riviera, attraverso dei libri: verso la fine dell'anno (2001)
uscirà l'ultima, la seconda e ultima edizione del mio "Jazz in
Italia", che va dal 1900, cioè dagli inizi, fino
agli anni '60, poi negli anni '60 comincia un'altra storia chiaramente…
GIANNI BASSO-OSCAR VALDAMBRINI
SESTETTO
(Pescara Jazz Festival - 1972)
E' una vera e propria "All Stars" italiana avvalendosi,
oltre che dei due leaders, della partecipazione di alcuni dei migliori
musicisti italiani. Basso e Valdambrini costituiscono da quasi vent'anni il
binomio più popolare e rispettato del jazz italiano, in cui rappresentano
una specie di istituzione. Il complesso si dedica ad un genere di jazz molto
avanzato, in linea con le attuali tendenze.
Gianni Basso,
sax
Oscar Valdambrini,
tromba
Franco D'Andrea, piano
Dino Piana, trombone
Giovanni Tommaso, contrabbasso
Gegè Munari, batteria |
Per esempio ho letto anni fa su Musica Jazz delle cose
terrificanti: ci
meravigliamo molto di vedere due nostri musicisti come Valdambrini come
Gianni
Basso che suonano nelle orchestre accompagnare i balletti! Ma cosa potevano
fare costoro? Dovevano pure portare dei soldi a casa! Non dimentichiamoci che
questo era fondamentale, perché ad un certo
punto, se Valdambrini e Gianni Basso poi riuscivano
a fare il sestetto italiano, il quintetto
Basso & Valdambrini,
pur suonando le sambe nell'orchestra della RAI per accompagnare Raffaela Carrà o chiunque altro, ma tanto di cappello! Erano dei
musicisti di grandissimo valore. Questa gente (i critici) non ha mai capito
questo, perché, secondo me, erano dei provinciali, con una mentalità ristretta
e questo è stato il dramma! Poi c'è stato un secondo dramma peggiore: è quello
di aver voluto imitare, da parte di qualche dilettante, i musicisti
d'avanguardia americani, di voler fare l'imitazione di musicisti come Ornette
Coleman, Don Cherry, da parte di dilettanti imbroglioni...imbroglioni
e dilettanti, perché non c'è peggio di un dilettante, il dilettante la parola
stessa lo dice: il dilettante deve starsene a casa a suonare per diletto! Mio
nonno suonava il flauto ed era un dilettante, faceva il direttore generale di
banca, dicono che suonasse anche bene perché suonava
in quartetto flauto, pianoforte, violino, violoncello, faceva delle
trascrizioni, ma suonava la domenica a casa per gli amici, non si sarebbero mai
sognati di andare a suonare nei teatri, capito, questa è la differenza! Io non
me lo ricordo perché ero molto piccolo, mi diceva mio padre, mio padre era
anche un pianista, diceva che suonavano bene, cioè
suonavano con cognizione, però nessuno di loro si permetteva di mettere il naso
fuori dalla porta con il flauto in bocca! Questo è il dramma, perché è stato
molto facile imbrogliare. Io ho grande ammirazione
per i professionisti, questi ragazzi che stiamo ascoltando sono professionisti, Pellini fa il musicista, Velotti
fa il musicista, Supnick fa il musicista, sono professionisti, infatti suonano
meglio di qualsiasi dilettante che c'è in giro!
Devo dire che si rimane
senza parole ad ascoltare questa testimonianza soprattutto da uno come
Mazzoletti che ha vissuto pienamente tutto il fenomeno jazzistico italiano. E'
molto meritevole questo lavoro che sta svolgendo con la
Riviera Jazz Records e
con la prossima pubblicazione del libro, uniche documentazioni ufficiali che
rimarranno, in qualche modo, a disposizione del prossimo. Già la prima edizione
ha in qualche modo dato l'opportunità a tanti professionisti italiani di essere
così riconosciuti per quel che avevano fatto.
«Sto facendo questo lavoro e devo dire che quando uscì il primo
libro, che si chiama Jazz in Italia:
Dalle origini al dopoguerra
(Laterza, Roma, 1983), ho ricevuto decine di lettere da parte dei
professionisti: Nino Impallomeni,
Cottiglieri, Ceragioli,
Boneschi, delle lettere straordinarie che dicevano appunto
questo: tu finalmente con questo libro hai dato dignità a noi musicisti, che
per lo stesso fatto che suonavano tutta la vita nelle sale da ballo o qualcuno
di loro anche musica classica perché erano in grado di suonare il classico e
anche molto bene.. cioè ti ringraziamo per questo, ci
hai ridato la dignità che abbiamo perso a causa di persone che non concepivano
il fatto che noi potessimo suonare indifferentemente sia per mangiare e poi
suonare ed essere in grado di fare anche dei dischi di jazz. Hanno fatto
anche dei dischi di grande importanza, mentre invece questi critici non lo
hanno mai capito, a parte alcuni di loro. Livio Cerri sicuramente l'ha capito,
Roberto Nicolosi l'ha capito benissimo perché anche loro erano dei musicisti, il guaio è quando
i critici vogliono scrivere di musica, vogliono essere dei critici e non sanno
niente di musica, io non so leggere una partitura lo dichiaro non ho vergogna
di dirlo, non mi sono mai permesso di fare il critico jazz, semmai faccio il
ricercatore, lo storico, ma non faccio il critico.»
|
Carlo Pagnotta ha
ricevuto il
Dottorato in Musica Honoris Causa
dalle mani di Larry Monroe,
Direttore della Berklee School of Boston che è venuto a Perugia, insieme a
Larry Berthune, preside dei corsi della stessa prestigiosa scuola,
per prendere parte alla cerimonia che si è tenuta presso il comune della
città umbra.
Il Consiglio di Amministrazione della Berklee non è certamente molto prodigo
in fatto di lauree ad honorem e Pagnotta è il primo non americano a ricevere
toga e cappello. A questo punto vorremmo raccontare una storia iniziata a
Perugia nel 1952,
quando Adriano Mazzoletti fondò insieme a Pagnotta ed altri
amici, tra cui Sandro Poccioli, l'Hot
Club. Vennero
organizzati dei concerti (Armstrong, Chet Baker, Bill Coleman, Albert
Nicholas e altri) e fu costituito un quartetto dell'Hot Club Perugia. Anni
dopo, quando Mazzoletti lasciò Perugia per Roma, Pagnotta riuscì a varare la
manifestazione che è diventata, insieme a qualche altra, la più importante
del mondo: Umbria Jazz.
In occasione della consegna della laurea, così importante per lui, ma anche
per il jazz, Pagnotta ha voluto che insieme agli altri, fosse presente quel
suo lontano amico perchè, sono sue parole pronunciate nel corso della
cerimonia "è con Adriano che abbiamo iniziato il jazz a Perugia".
Nella foto, da sinistra a destra:
Larry Monroe, Larry
Bethune, Giovanni Tommaso (dir. UJ Clinics), Adriano
Mazzoletti e Carlo Pagnotta. |
Poi il discorso prosegue su Umberto Cesàri,
grandissimo pianista che decise spesso di contornarsi di dilettanti per non
frenquentare il mondo cosiddetto "ufficiale". Si potrebbe pensare ad un
dilettante di lusso ma in realtà in questo caso si è dinanzi a qualcosa di
veramente geniale.
«Tuo padre (Cesàri) non
era un dilettante, perché tuo padre era un professionista che però non ha mai
fatto il professionista, cioè il professionista lo ha fatto molto poco, perché
lui si era chiuso in se stesso, e secondo me, tuo padre è un caso molto
particolare, tuo padre è stato un genio, però, un genio che non
si è voluto esprimere di fronte al pubblico. Raramente ha
suonato al top delle sue possibilità in pubblico, lo faceva a casa. Io credo che
tuo papà…aveva
evidentemente dei complessi, aveva dei problemi di carattere…traumi legati
probabilmente alla guerra..ma era un grande, aveva un enorme fantasia…Guarda, io ho
conosciuto bene Umberto (Cesari), e l'ho anche frequentato: era un musicista
che frequentavo facilmente…ero molto amico anche di Valdambrini, Trovajoli,
Sergio Conti, Piero Piccioni, Enrico Rava, e
tantissimi altri, però con Umberto c'era una situazione diversa, perché Umberto
stava a casa, tu lo trovavi sempre a casa, allora per me era più facile
perché andavo lì, lo trovavo, si parlava etc., etc., poi sono stato uno, forse
l'unico, negli ultimi anni della sua vita a farlo uscire con la scusa che c'era
Stephane Grappelli per un
concerto, poi Grappelli non venne, il concerto l'ha fatto lo stesso, Cesari l'ho
conosciuto nel
'52, lo feci venire a Perugia a fare il primo concerto, il primo
concerto di jazz che ho organizzato nel '52, avevo 16 anni, a Perugia al centro
Universitario Musicale. Di fronte ad una sala di cinquecento persone c'erano: Umberto Cesari
che aveva 32 anni, era nato
nel
1920
a Chieti, Pepito Pignatelli alla batteria,
Riccardo Laudenzi detto Bicicio al contrabbasso,
Alfio Galigani
al clarinetto che era un musicista di Perugia, e Lilian Terry al suo primo
concerto, alla sua prima apparizione in pubblico. Ho
la registrazione di questo concerto, che però, purtroppo, è su "filo"
e non ho la possibilità di sentirla, perché non ho un registratore a
"filo".
Eccolo qua, questo è il primo concerto che ho organizzato in vita
mia, e guarda caso con Umberto Cesari. Non so cosa ci sia qui dentro, perché
non l'ho più sentito e non ho il registratore, è un filo di metallo, magari si
sarà smagnetizzato, non lo so, però se io riuscissi a trovare,..
facciamo un annuncio su Internet, chiediamo se c'è un lettore a filo per
sentire questo concerto, riversarlo su un disco e magari pubblicarlo, perché,
credo, che qui Umberto suoni benissimo, da quello che mi ricordo, a parte la
ritmica, Pepito non suonava un granché bene, Riccardo
nemmeno lui era alla sua altezza, però, non erano musicisti da buttare via, mi
piacerebbe risentirlo perché sono passati 52 anni.
Filo per registrazioni
magnetiche Ergon licenza Castelli,
Geloso, forse era un
Geloso il registratore, mi fu prestato da qualcuno. Dicevo, l'ho
conosciuto (Cesari) nel '52, mi è sembrata una persona assolutamente
normalissima, arrivò lì con una bellissima ragazza che si chiamava Gaia Germani, in realtà
Giovanna Giardina, e devo
dire che era molto carina. Poi ho frequentato molto (Cesari) quando lavorava
con la Roman New Orleans Jazz Band.
Quello che mi ha sempre
meravigliato in Cesari, che era un musicista di grandissimo e altissimo
livello, persona estremamente gentile, cordiale, è che voleva suonare sempre con
musicisti nettamente inferiori a lui. L'unica volta che credo abbia suonato con
musicisti del suo livello, sono state due: una volta in Sicilia con Stephane Grappelli, però anche lì a parte lui e Grappelli
il resto non è che facesse scintille, c'era Brando Trequattrini alla batteria, ora Brando era un bravo batterista ma non era
eccezionale, poi c'era Toni Albamonte al trombone che
era un trombonista siciliano, ma anche lui non è che fosse…, professionisti
però, sia Brando che Albamonte, però non erano del
livello di Stepfane Grappelli
e Cesari. Grappelli aveva una stima enorme per Umberto, enorme, considerava
Umberto il miglior pianista con il quale avesse mai suonato.
Aveva suonato anche con Oscar Peterson, però diceva che la sensibilità di
Cesari era superiore a tutti. Questo mi diceva Stephane…!
A parte questo fatto, a parte Stephane e a parte il
famoso concerto che gli feci fare alla RAI assieme a
Daniel Humair e Giovanni Tommaso, lui ha sempre
suonato con musicisti…di livello inferiore…., non ho mai capito, forse non
aveva… non lo so, non so come mai lui si "contornava" di musicisti
così inferiori…, ci sono dei musicisti che amano "contornarsi" con
altri minori a loro per emergere, però non era il caso di Umberto, perché lui
non doveva apparire di fronte a nessuno non aveva questo problema, credo che,
probabilmente, lui… non lo so, ci ho pensato moltissimo, ma non ne ho mai capito
la ragione. Anche questo nastro: è un nastro che è stato fatto ufficialmente a
casa sua, perché non ha chiamato un vero batterista e un vero contrabbassista,
non so la ragione! O era molto chiuso, allora si "contornava" solo di persone che sentiva
"molto amiche", con le quali si trovava bene umanamente al di là della
musica, probabilmente è questa la ragione. Lui si trovava con questi. Magari si
trovava molto meno con qualche altro musicista professionista, non lo so…forse si può anche dire un'altra cosa:
Umberto era un professionista, ma poi era il re di coloro che avevano
abbandonato il professionismo per suonare solo per se stessi e per diletto, non
in senso dispregiativo, ma in senso straordinariamente alto, cioè la musica come
diletto, allora lui, probabilmente, aveva nei confronti di colui che lo faceva
per mestiere quasi un senso di rigetto. Mi
ricordo che quando lo chiamai a fare quella trasmissione, lui
non si occupò minimamente del compenso che dovevano dargli! Adesso, non so
quanto ebbe, mi pare un milione, era il '68 un milione
era abbastanza, però lui non mi chiese nulla! L'unico problema che aveva,
prima di tutto non voleva venire, ho dovuto faticare un mese, poi sono riuscito
a convincerlo perché, ed ero in buona fede, gli ho detto che ci doveva essere Stephane,
poi all'ultimo momento due o tre giorni prima Stephane
ha dato forfait, ha avuto un altro impegno, però io non l'ho detto a Umberto, perché ero sicuro che se lo avessi avvertito lui
non sarebbe venuto, così è venuto lo stesso, non so, mi avrà odiato in quel
momento, però il concerto l'ha fatto. Allora, voglio dire, Umberto è stato un
grande, uno dei grandissimi, e se riusciamo a fare un disco che possa rendergli
giustizia, cosa un po' difficile, perché ci vuole ben altro per rendere
giustizia a Umberto Cesari, pensa,
che ho avuto il coraggio anch'io di suonare con lui, pensa un po' che coraggio,
ho anche una fotografia che ci immortala, ti parlo del 1959/60, ero un
ragazzino. Comunque, Cesari è un'altra
cosa, Cesari ha una grande qualità: è un musicista di
jazz, nel senso più assoluto, peccato non abbia avuto questa capacità di
imporsi al livello mondiale. Poi aveva dei problemi diceva delle cose che non
stavano né in cielo né in terra. Ma come se le
inventava queste cose? Perché ad un certo punto mi
dicevo, ma è possibile che Umberto non capisca l'enormità di quello che sta
dicendo? Mi sta prendendo per il culo, me lo sono chiesto molte volte, ma forse
mi sta prendendo per il culo, mi sta prendendo in giro…una volta mi disse: "sai stanotte mi
sono venuti a prendere mi hanno portato con l' aereo in Birmania, mi hanno
paracadutato poi sono venuti a
riprendermi… mi hanno trovato mezz' ora fa!". Ma lo diceva serio!! :-) Cazzo, non sapevo cosa dire! Ma è
possibile?! Dicevo, Umberto, ma che cazzo dici? Poi ho visto che era talmente
convinto,
aveva pure ragione, allora dicevo, raccontami,
raccontami era divertente! :-)
Voglio fare un bel capitolo su Umberto sul mio libro,
voglio dedicargli proprio un bel capitolo.»
|
Nel
1990,
alla presentazione del
1° Concorso Europeo
per giovani talenti del Jazz. Da sinistra: Nunzio Rotondo, Piero
Piccioni, Adriano Mazzoletti, Carlo Loffredo |
Mazzoletti è stato
anche presidente dell'UER (Unione Europea di Radiodiffusione) attraverso
cui ha promosso molti musicisti italiani in contesti internazionali.
«Oggi dopo quaranta, cinquant'anni, grazie alla bontà di molti musicisti, e grazie agli sforzi fatti anche da me
che molti musicisti sono riconosciuti anche all'estero. Io mi sono molto battuto
nell'UER, cioè l'Unione Europea di Radiodiffusione, di cui sono stato presidente per
più di vent'anni, forse
venticinque. Si facevano due o tre concerti all'anno e io mandavo sempre
musicisti italiani, e proprio Trovesi, e lo dice lui stesso, deve tutto a un
paio di cose che gli ho fatto fare io, per quanto riguarda la sua carriera
all'estero, una a Saint Gerold in Austria dove ebbe un successo spaventoso,
e uno a Parigi dove ha suonato in trio con Paolo Damiani e Gianni Cazzola.
Sbaragliò tutti, era un doppio concerto, prima di
lui c'era Anthony Braxton che aveva fatto venire le "palle" lunghe a
tutti i francesi, arrivò Trovesi e fu un successo spaventoso. E devo dire che la bontà di questi musicisti, prima
Pierannunzi, Rava, Fresu, Trovesi, Gaslini,
poi oggi i giovani: Boltro, Di Battista, Giuliani, Bollani
è molto riconoscuita, hanno preso molto piede all'estero, e se lo meritano. Sono musicisti
straordinari, senza togliere nulla a questi "vecchi ragazzi" Trovesi,
Rava, Fresu etc., devo dire che oggi c'è un grande
interesse per i ragazzi giovani, per Di Battista, per Rosario Giuliani,
Bollani, insomma, c'è, lo sento, lo vedo quando giro, viaggio, parlando con dei
colleghi delle varie radio europee, c'è un grandissimo interesse. Se la meritano finalmente, la rivincita. Pensa a
Kramer, adesso per fare un nome, che è stato il più grande
fisarmonicista jazz del mondo, comunque se non il più grande del mondo,
sicuramente il primo, non era nemmeno citato da nessuna parte. Ci vuole una grande fatica, perché prima di tutto, non dimentichiamoci
che in Italia la discografia di questa gente è proprio miserrima, era un
periodo dove non incidevano i dischi, le case discografiche italiane erano
soprattutto delle multinazionali, Columbia, Voce Del Padrone, etc., avevano già
un loro catalogo di jazz, americano o europeo, quindi dicevano: noi il
jazz l'abbiamo, perché dobbiamo far
incidere Mojoli? Chi se ne frega! Anche nel dopo
guerra, non è che le cose siano state molto migliori, dal '45 al '49, '50, '52,
'53 sì...però oramai il jazz degli anni venti era
perduto.»
A questo punto richiamiamo la jam session realizzata da
Aldo Masciolini,
Sergio Battistelli,
Miro Graziani, Riccardo Laudenzi,
ed
Ermanno Angeli al rientro da Roma proprio da una incisione organizzata da
Adriano Mazzoletti.
«Mi ricordo che volevo che venisse
anche Riccardo Laudenzi, ma
non venne a fare l'incisione, non so per quale ragione ma non venne. Ricordo che
chiesi a Sandro Poccioli, che era un mio grande amico di Perugia, lui suonava la
batteria, di far venire Masciolini, lui, Miro
Graziani, Laudenzi e Battistelli ovviamente. Feci venire Masciolini da
Padova, Miro (Graziani), Sandro (Poccioli), Sergio (Battistelli) era già a Roma e questo bassista
da Perugia che si chiamava Ermanno Angeli. Erano
tutti quanti un po' strani. Registrammo "I
cried for you"
in un pomeriggio. Ecco un'altra cosa che non ho capito perché tuo padre quel
giorno a Roma non è venuto
col tenore. Perché, ti dico sinceramente, lo preferisco al tenore che al
clarinetto, al clarinetto è un po' anonimo, al tenore, invece, aveva una
personalità.»
|
18
dicembre 1993
Presentazione del libro "La
città del jazz" di
Nando Giardina.
Da sinistra: Romano Prodi, Nando Giardina, Adriano
Mazzoletti e l'Assessore alla Cultura di Bologna. |
Anche mio padre aveva le sue convinzioni tanto che ricordo nel '58,
rifiutò un cospicuo e importante ingaggio nell'orchestra della RAI, ma non
ricordo chi lo chiamò.
«Era nel '58, con Trovajoli!
Sicuramente, con Trovajoli, perché, ti spiego: Trovajoli
nel '58 fece l'orchestra alla RAI: voleva Masciolini,
perché Armando lo conosceva già da Assisi. Armando frequentava moltissimo
Assisi, lui voleva Masciolini! Fu costretto a prendere Cianfanelli,
perché Masciolini non venne, sono sicurissimo! Se era
nel '58 allora è sicuro, era Trovajoli
che lo voleva, e lui ha rinunciato, così fu costretto a prendere Cianfanelli che era un tenore "vecchio stile", non era un
tenore…peccato, perché avrebbe avuto tutta un'altra vita. Tutti quelli che
hanno suonato con Trovajoli
si sono piazzati…alla grande, hanno fatto dei miliardi, lo sai anche tu, perché
calcola che loro lavoravano quattro ore al giorno alla Rai, dopo le quattro ore
scattavano le seconde e terze prestazioni. Sergio Conti, il batterista, mi ha fatto
vedere la sua busta paga nel
1975 –
otto milioni al mese! I contratti degli orchestrali erano quattro ore, e poi scattava la
terza prestazione, e sai cosa facevano…perché le ore
passavano...Si giocava :-), "e sto pezzo tocca rifarlo non è venuto bene", la seconda, poi
terza…
Mah, chiederò ad
Armando, ma sicuramente è così, perché questo Cianfanelli
nell'orchestra d'Armando non mi ha mai convinto, era
un buon tenore ma negli anni '30, suonava con Barzizza.»
E così continuiamo a trascorrere questa bella giornata in compagnia di
Adriano Mazzoletti e rimaniamo fino a tarda notte ad ascoltare musica, a
parlare, a ricordare. E così si parla di quella volta che "stipati" in una 500,
nel '55, Mazzoletti, Miro Graziani e Sandro Poccioli andarono da Roma a Perugia
per ascoltare Gerry Mulligan, rientrando alle sei di mattina esausti ma
appagati. O di quando Miro (Graziani) per l'emozione prima di un concerto
invece di mettere lo zucchero nel the di Adriano lo mise nel suo whisky,
incazzandosi, ricordiamo anche altri personaggi come Piero Angela e Piero
Piccioni ecc...
Infine, a notte inoltrata, ci salutiamo contenti di essere stati assieme e consapevoli che
bisognerebbe sempre andare avanti, che non si può vivere nel passato, ma non
bisogna dimenticarlo o, peggio, ignorarlo.
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
27/06/2010 | Presentazione del libro di Adriano Mazzoletti "Il Jazz in Italia vol. 2: dallo swing agli anni sessanta": "...due tomi di circa 2500 pagine, 2000 nomi citati e circa 300 pagine di discografia, un'autentica Bibbia del jazz. Gli amanti del jazz come Adriano Mazzoletti sono più unici che rari nel nostro panorama musicale. Un artista, anche più che giornalista, dedito per tutta la sua vita a collezionare, archiviare, studiare, accumulare una quantità impressionante di produzioni musicali, documenti, testimonianze, aneddoti sul jazz italiano dal momento in cui le blue notes hanno cominciato a diffondersi nella penisola al tramonto della seconda guerra mondiale" (F. Ciccarelli e A. Valiante) |
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COMMENTI | Inserito il 13/6/2008 alle 19.15.37 da "bruone" Commento: Buonasera Signor Mazzoletti se vuole riversare i brani musicali registrati su filo,io posseggo un registratore a filo della webster chicago,naturalmente gratis. | | Inserito il 16/9/2008 alle 15.46.12 da "micmac" Commento: Ho la necessità di recuperare una vecchia registrazione sonora (sperando non si sia smagnetizzata nel frattempo) incisa su una bobina a filo con un apparecchio Webster. Come posso fare? Mi trovo a Bologna. Grazie. mm | |
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Data pubblicazione: 10/11/2001
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