Miro Graziani, o zio Miro
come lo chiamava Leonardo Cesari figlio di
Umberto, è il quarto ed ultimo dei quattro ragazzotti assisani: dico
è poiché, se pur morto da oltre vent'anni, in me
rivive attraverso i ricordi che ho di lui.
Era
il più anziano nato infatti ad Assisi nel
1912 ed ivi
morto nel 1980, era anche considerato il più sanguigno ma anche il più saggio.
L'ultimo ricordo che ho di lui risale al
1965: lo rammento tutto indaffarato
nell'allestimento del suo locale, "Il Paradiso", locale oggi purtroppo
terremotato.
Trentasei anni sono passati eppure ho ancora indelebilmente impresse, nella mia mente, queste poche immagini: mio padre,
mia madre, la moglie di Graziani, Miro entusiasta per l'apertura di questo
locale, ed un pittore padovano che spiegava allo stesso Miro i dipinti fatti
nel suo locale: erano Cristi sofferenti, grondanti di sangue, indubbiamente
anticipatori di quello che sarebbe poi successo più avanti, vedi la distruzione
dell'ambiente stesso dovuta al terremoto. Ma al "Paradiso",
negli anni in cui è rimasto aperto, molti avvenimenti si sono succeduti, molte
cose: le serate con gli amici, il mangiare bene, perché lì si mangiava bene, e
poi le serate jazzistiche con i vecchi amici, anche con Armando Trovajoli.
Poi
le cose cambiano, fa parte della vita, si evolvono, si trasformano, non so se
in meglio o in peggio, in ogni caso intraprendono cammini e strade diverse, ma
il ricordo è quello che ci riporta a dei fatti, ad una dimensione che non
esiste più nel presente, ma che esiste per chi a tutt'oggi
la può raccontare e la può descrivere donando così uno spaccato, perché altri
possano portare avanti questa dimensione ai più sconosciuta: per chi non
capisce sarà solo un suo problema…
Ad
aprile di quest'anno sono andato ad Assisi sulla tomba della famiglia di Graziani:
lì c'erano i nomi dei suoi parenti, lì c'era la sua tomba, lì ho deposto tre o
quattro fiori gialli, lì mi sono venuti in mente avvenimenti oramai
sopravanzati e oltrepassati dal tempo, lì ho
comunicato con Miro Graziani. Miro Graziani lo considero uno dei "primi
appostoli del jazz italiano", legatissimo al mondo
musicale prebellico, allorquando le melodie di Gershwin e di Cole Porter
filtravano nell'udire come "lava incandescente". Musicalmente ben preparato
resto affascinato dal pianoforte di Trovajoli, suo grande amico, con il quale
suonò anche, con il suo quartetto, facendo anche parte di una grande orchestra da palcoscenico per uno spettacolo di
Aldo
Fabrizi. Sempre con Trovajoli lavorò nell'anteguerra in un locale di Firenze,
quando la creatività jazzistica poteva avere il sapore di un irredentismo
musicale. Nel dopo guerra, la sua professione era quella di un insegnante
scolastico, fece parte di diverse formazioni musicali, nelle quali ebbe successo come batterista, con uno stile ispirato ad uno
dei massimi esecutori in America: Gene Krupa.
Ma
Miro era pure un buon pianista: ammiratore religioso di Teddy Wilson
(l'ispiratore massimo di Trovajoli), con successo poi volle "addentrarsi"
nell'arte dell'arrangiamento, arte alla quale finì con
dedicare principalmente la sua attività. Chi non ricorda a Perugia la sua Big
Band da lui diretta? Una solida formazione, carica di entusiasmo,
da lui condotta con carattere molto severo ed esigente, tanto da determinare,
con qualche collaboratore, relazioni talvolta anche difficili dato il suo
carattere sanguigno, focoso. Della Big Band Perugina divenne direttore nel
1973, ma non riuscì a dirigere il primo concerto… La seguente citazione è tratta dal libro sulla "Perugia Big Band", libro curato da
Carlo Pagliacci e da Gianfranco Ticchioni di prossima pubblicazione:
"Graziani
era un bravo musicista, generosissimo d'animo, ma anche un tipo sanguigno,
focoso, che si adirava per un nonnulla e pretendeva il massimo da tutti. Dirigeva
la band come un allenatore di boxe, con un asciugamano intorno al collo,
sudando e agitandosi freneticamente proprio perché viveva la musica con una
fortissima partecipazione emotiva….il suo carattere impulsivo e, soprattutto,
l'idea che si era costruito intorno alla band
contribuirono a frenare gli entusiasmi. Il Maestro assisano
infatti sognava che la Perugia Big Band improntasse tutta la sua azione
al professionismo: voleva che si acquistasse un pullman, divise ufficiali,
strumentazioni adeguate e che poi si conducesse proprio la vita dei musicisti,
in giro per l'Italia in lungo e in largo a fare concerti. Questo, però, non era
possibile in considerazione del fatto che ciascun componente
aveva una propria vita professionale da cui ovviamente non poteva né voleva
prescindere… Da una parte, dunque, un'interpretazione dell'attività musicale,
quella di Miro Graziani, quasi fideista, che portava a considerare la band come
un mondo sacro dove le note del pentagramma la facevano da padrone
scandendo ritmi e esigenze di vita. Dall'altra una visione più disintasata, più
laica, potremmo dire, di uomini che hanno la
consapevolezza che il loro avvicinarsi al jazz è frutto non di una passione
giovanile bensì di un maturo sentimento che però non può lasciare spazio ad una
improvvisazione che non sia squisitamente musicale. Semplicemente, la
differenza tra un lavoro ed un hobby. E fu così che,
dopo appena qualche settimana di prove, tra la band e l'ottimo musicista Miro
Graziani le strade si divisero. Senza drammi, tuttavia. Tanto è vero che non fu
un addio definitivo…"
Qualche anno dopo Graziani
tornerà a dirigere la Perugina Big Band incidendo un disco dal titolo "Rapsodia
Americana". Il suo stile di arrangiamento si ispirava
a F. Henderson, pregevoli anche i suoi interventi come pianista solista: sempre
equilibrati e mai ispirati da errata presunzione.
Graziani fu "tentato" spesso
dalla politica, mondo nei quale la sua onestà, e direi
la sua … musicalità morale, finiva regolarmente con l'isolarlo, TANTO ALIENI
DA COMPROMISSIONI ERANO IL SUO LIBERO STILE DI VITA E LA SUA SENSIBILITA'
UMANA.
Questo è l'ultimo articolo
sui jazzisti che ho voluto ricordare. Ringrazio
Riccardo Laudenzi, Carlo Pagliacci
per la stesura della medesima, ringrazio
naturalmente anche tutti gli altri che hanno reso possibile i miei articoli e
le mie interviste, vedi Marcello Rosa,
Adriano Mazzoletti,
Guido Pistocchi,
Carlo Loffredo,
Lino Patruno, etc., un particolare
ringraziamento va a Marco Losavio web master di questo sito: senza di lui
tutte queste cose non sarebbero oggi in internet. Il mio ringraziamento va
altresì a chi mi ha letto nel bene e nel male. L'artefice principale di queste
mie "chiacchierate" è stato mio padre Aldo Masciolini: jazzista dimenticato,
come troppi altri, uomo che molto ha sofferto, ma chi non soffre nella vita,
musicista che per svariati motivi molti altri lavori ha fatto, maestro
elementare, insegnante di scuola guida, operaio etc.,
ora tutto ciò, quale figlio, glielo dovevo, e non solo a lui, mio padre è morto
tre anni e mezzo fa, di fronte alla porta della sua casa, colpito da infarto,
meglio forse, colpito da quel male oscuro che in tutti noi "alberga": la
difficoltà di essere capiti, ascoltati, accettati, amati, difficoltà che forse
io, quale figlio, ho afferrato perfettamente nel brano "Autumn Leaves", orbene
nell'ultima nota di questo pezzo lì ho individuato l'ultima foglia che cade,
forse la morte: no papà non sei morto in quell'ultimo accordo, la foglia sì che
è caduta, è stata indubbiamente l'ultima dell'albero, ma mio caro papà si è posata
al suolo, è entrata nella terra per unirsi ad essa… Grazie a te papà ed a tutti
i tuoi Compagni di Viaggio!
Giovanni
Masciolini – figlio di jazzista
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
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Data pubblicazione: 04/03/2002
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