Beat Onto Jazz Festival 2003
Intervista a Renato SELLANI
Bitonto, 6 agosto 2003
di Marco Losavio
Incontriamo Renato Sellani in un bar della Villa Comunale
attiguo al palco in cui ci sarà il concerto del
Renato Sellani - Max De Aloe Quartet
nell'ambito del
BeatOnto Jazz festival 2003. Sellani è un musicista che si rivelerà
un'inesauribile fonte di esperienze, saggezza, molto attento alla qualità e al
quale, in fondo, non ci sono vere e proprie domande da porre, piuttosto bisogna
ascoltarlo nei suoi racconti di una vita vissuta al fianco di grandi
protagonisti, come lui stesso è.
Trasmissione radiofonica del
1950 RAI via Asiago, con: Jula de Palma alla voce Renato
Sellani al piano Franco Chiari al vibrafono Sergio Coppotelli alla
chitarra Carletto Loffredo al
basso
| JI: Le riporto una frase di Salvatore Bonafede: "Sellani è il papà del jazz italiano". Allora mi viene da chiederle, chi sono i figli?
RS:
Bè, innanzitutto io mi auguro di non essere il papà, semmai lo zio. Il papà è troppo importante. Uno zio che ha un po' influenzato qualche giovane che voleva suonare questo tipo di musica, anche se pochissimo perchè io innanzitutto non ho mai seguito certe mode musicali. Mi sono costruito da solo ascoltando ma mai copiando. Ho avuto una grande lezione da Lee Konitz che la prima volta che venne in Italia scelse me come pianista e mi disse:
"è preferibile che ti dicano che tu suoni male piuttosto che suoni come un altro", perchè ciò vorrebbe dire che non
si ha personalità. Così io ho cercato di suonare male!!
JI:
Bè, è riuscito molto bene a suonare male...! Facciamo qualche passo indietro nel tempo: la Taverna Messicana. Ci racconti qualcosa...
RS: Nel '58 sono venuto a Milano per la prima volta, invitato da Franco Cerri in questo posto "terribile", pieno di topi, però era uno dei rari locali
in cui si potesse suonare jazz. Lì venivano tutti gli americani di passaggio
tanto che riuscii ad accompagnare Billie Holiday! Dopo Franco Cerri, la stagione successiva, il famoso sestetto
Basso-Valdambrini, mi scelsero al posto di Enrico Intra e lì sono stato con loro alcuni anni, siamo andati in America insieme, abbiamo fatto un sacco di belle cose. E lì ho incominciato ad essere un semi-professionista perchè prima ero praticamente un dilettante. Poi siamo arrivati negli anni '60, arrivò
Chet Baker, anche lui scelse me come pianista con cui abbiamo fatto un disco, una tournèe. Poi i vari
Gerry Mulligan, Buddy Colette, clarinettista bravissimo, Lars Gullin
(Gunnar Victor Gullin: Visby, Sweden, 4 mag 1928 - Vissefjarda, Sweden 17 mag 1976), uno dei baritonisti più importanti per quell'epoca tanto che su
Downbeat lo inserivano sempre prima di Mulligan nei referendum. Lars è morto giovane, poverino. Ho a casa un suo brano che scrisse dedicandomelo. Infatti c'è scritto "per Renato" e l'ho inciso ultimamente in un disco che ho fatto con Gianni Basso per le musiche di
Lars Gullin e dovremmo andare a Stoccolma per una sua commemorazione. Dopo venne quella bravissima cantante, tra le più brave cantanti bianche, che si chiamava
Hellen Merril. Poi, tra le altre cantanti, pesa che sono riuscito ad insegnare
Volare ad Ella Fitzgerald. Quando sentì questo brano, le piacque molto e volle che le scrivessi la melodia e gli accordi e il testo italiano, che si fece tradurre in inglese, e non credo che sia riuscita ad inciderla. Poi ho esperienza con
Sarah Vaughan...tante altre. Ne ho fatte di tutti i colori perchè poi ho fatto anche una vita teatrale. Ho scritto tantissime musiche per commedie ed ho fatto anche l'attore! Perchè quel grande attore che si chiamava
Tino Buazzelli, fu il primo attore e regista che volle che io suonassi in palcoscenico e traducessi musicalmente tutto.
Nella famosa opera di Brecht, "Puntila e il suo servo Matti", regia di
Aldo Trionfo, su tre ore e mezza di spettacolo suonavo tre ore in palcoscenico però...mi pagavano! Erano i primi soldi della mia vita. Questo negli anni settanta. Avevo composto musica per tutto lo spettacolo tranne un
brano, per rispetto all'autore, che era Paul Dessau. La vedova di Brecht ci chiese di rispettare almeno un brano di Dessau, per il resto feci tutto io e suonare tre ore era dura. Abbiamo fatto tre stagioni, c'era anche
Corrado Pani, bravi. Buazzelli era però straordinario pensa che Vittorio Gassman, ai suoi funerali mi disse: "è morto il più grande attore italiano" e lui che si considerava ed era considerato il numero uno, ha riconosciuto che Buazzelli era il più bravo di tutti perchè sapeva fare tutto quello che gli dicevano di fare. Sapeva fare il vecchio, il bambino, il drammatico, il comico, tutto alla perfezione. Grande esperienza. Poi ho fatto anche l'attore: secondo protagonista in un giallo in televisione con
Paolo Ferrari. Era un giallo a Montecarlo. Lì suonavo anche dal vivo perchè il regista voleva un pianista che facesse anche l'attore e mi disse: "tu non devi recitare, parla come parli". Ero considerato il presunto assassino,
tanto che dopo la prima puntata, mia madre disse a mio padre: "ma l'abbiamo educato così bene, ora andrà in prigione...". Tre quarti della mia vita l'ho anche passata seguendo tutti gli sport tranne qualcuno più noioso come il golf o l'hockey su prato. La
Domenica Sportiva fu ideata da me e dal povero Barenson che era un giornalista sportivo. Ero a Roma e gli suggerii di fare una trasmissione sportiva che poi divenne "La domenica sportiva".
Sandro Ciotti, mio grande amico, mi diceva: "io ti voglio in cabina perchè tu capisci più di tutti questi colleghi che non capiscono nulla!". L'allenatore del vecchio Milan,
Nereo Rocco, mi voleva sempre vicino. Io seguivo sempre il Milan in tutte le coppe internazionali. Mi manca di magiare il fuoco poi ho fatto tutto!
Però la musica per me è rimasta un hobby non una vera professione perchè la musica mi stanca. Siccome cerco di farla in un modo piuttosto precisa secondo il mio carattere che è troppo sensibile. Io ho una sensibilità molto elevata, sento a distanza l'umore della platea. A parte che ho l'orecchio assoluto per cui un minimo di vibrazione inesatta non mi fa suonar bene. Basta che ci siano quattro persone che abbiano
in testa delle cose negative nei miei confronti che già mi fan suonare male e allora la musica mi produce anche una certa tristezza. Poi c'è la mia più grande virtù: la pigrizia! Mi ricordo che quando non c'era la possibilità di viaggiare in aereo mi facevo, ad esempio, Milano
- Brindisi in macchina o in treno...quando si è giovani andava anche bene ma ora...Poi, sinceramente...preferivo andare a vedere una partita a San Siro che fare un concerto...Ho avuto anche esperienze negative che poi porto sul pianoforte, diventa un frutto di tanti colori. Io non ho mai studiato piano, penso che sia un dono di natura il mio. Mi hanno fatto studiare la teoria ma sullo strumento non ho mai avuto neanche cinque minuti di lezione. Io vado nei conservatori a fare un concerto e loro non ci credono che non abbia studiato tra l'altro non ho mai avuto un pianoforte in vita mia. Poi, l'idea di passare 7/8 ore al giorno a studiare, come fanno i veri musicisti, e sottolineo veri, non mi ha mai allettato. Se mi viene in mente di comporre una cosa al momento, come mi è capitato oggi, allora la scrivo ma l'idea di studiare un pezzo...dopo averlo visto un po', basta, chiudo e vado via. Non ho il pianoforte ma ho una tastiera regalatami dalla Yamaha, che però non amo molto perchè non mi piacciono le cose elettroniche. Pensa, se un giorno dovesse venire un black out non si suonerebbe più! Una volta con
Mina, con cui siamo amici fraterni, alla Bussola, mentre si suonava venne giù un temporale e saltò via la corrente.
Come salviamo la serata? Il proprietario fece fare un megafono col cartone e Mina disse: "Renato, tu suona il pianoforte e salviamo la serata!". E
così fu.
JI:
Mi viene in mente un altro pianista italiano che ha avuto un'indole molto forte, un istinto musicale talmente accentuato al punto da arrivare ad isolarsi...sto parlando di
Umberto Cesàri
RS: Ah, io da lui ho appreso, non dico tutto, ma tante cose perchè fui ospite suo per un periodo quando facevo finta di fare l'università a Roma. Umberto s'è però rovinato con le sue mani...amava le macchine...Aveva un suo stile preciso, ma non una sua spiccata personalità. Suonava molto ascoltando
Teddy Wilson e Art Tatum. Aveva una facilità di suonare stupenda, un tocco bellissimo, una fluidità! Avendoci vissuto molto al suo fianco ho potuto osservare attentamente quest'uomo. Ho dormito nella sua stanza ed ogni tanto aveva di queste sue allucinazioni...alcune volte se doveva suonare in un locale e non ne aveva voglia, il che capitava abbastanza frequentemente, mi diceva: "Vai tu Renato.". Diventai un po' il suo vice...lui si nascondeva. Non partecipava a nessuna situazione musicale romana dove magari c'erano altri personaggi come
Trovajoli...
JI:
Il jazz in Italia, secondo lei ha avuto una mutazione a partire dagli anni '50 poi i '60 e i '70.
RS: C'e' stata una specie di "fermo pesca" negli anni '70 e poi ci si è risbloccati. Adesso ci sono centinaia di bravissimi giovani che suonano benissimo. Ma dove suonano? Mancano gli spazi. Con l'avvento del consumismo esasperato, che peggiorerà sempre, o fanno un jazz di grande rumore del tipo "chi fa più note è bravo" o non vanno avanti. E' difficile essere semplici! Hanno paura di non stupire e i critici cadono in questo tranello. Chi ascolta dovrebbe avere una conoscenza di quanto si è fatto. Il jazz è una lingua che va parlata e ascoltata, non si può dire d'impatto "no, questa cosa non mi piace".
JI:
Parliamo un po' di Gorni Kramer...
RS: E' stato uno dei miei maestri. A lui piaceva molto come suonavo però non leggevo a prima vista pertanto quando sbagliavo qualcosa urlava! Però mi voleva molto bene e nei viaggi mi voleva al suo fianco, voleva che dormissi nella sua stanza perchè aveva paura di dormire da solo. Devo però ringraziare, oltre a Kramer, anche un altro musicista:
Oscar Valdambrini. Anche lui si arrabbiava molto perchè non studiavo!
JI:
Ho notato la sua frequenza nel suonare in duo, una predilezione particolare. Si notano collaborazioni con
Irio De Paula, Enrico Rava, Lee Konitz, Phil Woods...
RS: Adesso con
Konitz dovrebbe uscire un terzo disco, poi con
Irio un altro e ad ottobre usciranno sei dischi miei. Poi a novembre ne farò altri tre. Ho fatto più dischi in vita mia che giocare a biliardo. Ah, a proposito, dimenticavo il biliardo. Ho fatto anche quello. In tante ore della mia vita ho giocato a biliardo, un mio grande hobby. Ritengo il gioco del biliardo come la musica perchè bisogna cercare di evitare le difficoltà, aggirarle, smussare gli angoli...Ne ho fatte veramente tante. Una volta ho ricevuto un premio in Val Gardena consegnatomi dal presidente
Pertini che era un uomo simpaticissimo. Era il premio "I discreti" e per la musica scelsero me. Mi guardava sempre e andammo al pranzo, con gli alpini, un pranzo luculliano e mi volle vicino. A Maccanico che avrebbe dovuto sedersi con lui disse: "mi lasci stare perchè io voglio stare con questo signore chè mi desta curiosità!". E mi disse: "Lei mi deve spiegare così pallido, magro, in agosto, che musica fa!". Dico: "faccio purtroppo una musica non troppo commerciale...", e lui, "lo si capisce, però cerchi di magiare per favore!". Chiamò il comandante degli alpini e disse: "Dia da mangiare a questo sparuto artista!". E alla fine disse: "non dica niente a nessuno però io le do' il mio indirizzo di casa a Roma chè mia moglie cucina benissimo.". Ed una volta ero a Roma per la televisione, ho telefonato, mi ha risposto la moglie che disse: "so già tutto, mio marito è a casa all'una e mezzo. L'aspettiamo.". Sono andato a casa sua, su Fontana di Trevi ed ho passato una bellissima giornata. Grande presidente, il migliore che abbiamo avuto, lui andava in mezzo alla gente, dava la mano...
JI:
Lei ha fatto anche un tributo a Bruno Martino...
RS:
Bruno Martino l'ho conosciuto a Roma. Suonava jazz benissimo, aveva capito tutto del jazz. Infatti tutti i suoi pezzi sembrano facili ma hanno una matrice jazzisitica. Ci siamo frequentati come due fratelli tanto che la settimana prima che morisse gli dissi: "ti dispiace se faccio un disco col mio trio sui tuoi brani?". E lui, "A
Renà ma vaff...., so' canzonette le mie...", e gli dissi, "vabbè, io cerco di vestirtele in modo particolare e poi mi dirai". Dopo tre o quattro giorni mi telefona la moglie e mi dice: "Renato è morto!". E mi gelò. Stasera suonerò
Estate da solo ma lo faccio con una tristezza addosso che nessuno potrà capire. Per me è quasi come se fosse una marcia funebre. Per me Bruno era veramente un fratello. Sento ancora la sua voce: "A Renà...". Suonavamo spesso nello stesso locale, lui faceva musica da ballo e io poi facevo jazz. Ogni tanto mi si avvicinava e diceva: "A Renà, stasera sì che ne ho voglia..." e si suonava insieme. Che musicalità!
Però devo dire che nonostante la sua notorietà non viveva molto bene, se non avesse fatto
Estate, ha continuamente avuto difficoltà per guadagnarsi da vivere.
Adesso non è che sia migliorata la situazione, la radio e la televisione non danno una mano a questa musica. Io, una volta, sette/otto anni fa, facevo parte di una trasmissione e dopo un paio di stagioni l'hanno eliminata perchè non faceva ascolto. Allora siamo nella situazione in cui tutto ciò che porta soldi va bene, se è una trasmissione culturale che interessa a pochi non va bene. Sono stato a Londra, nella BBC, e mi hanno spiegato come la televisione di stato deve rispettare anche l'uno per mille degli abbonati trasmettendo anche solo per quella nicchia di ascoltatori. Purtroppo nelle trasmissioni con grande ascolto non c'è spazio, non pensano che potrebbero invitare qualcuno a cui dare un breve spazio in modo da far arrivare questa musica. Poi ogni due minuti c'è la pubblicità anche nella televisione di stato. Se ripassiamo allo sport mi viene da pensare che fanno vedere le cose più importanti ma non fanno vedere ad esempio Wimbledon, il torneo
di tennis più importante al mondo. La Formula 1 però la fanno perchè c'è business, invece l'atletica leggera? Niente. Quindi la musica che non porta soldi non interessa nessuno. Centinaia e centinaia di giovani bravissimi che escono dal Conservatorio dove vanno a suonare?
JI:
e sulla didattica? Un giovane che voglia fare jazz in Italia...
RS: Io non insegno perchè la mia coscienza mi proibisce di truffare qualcuno. Il jazz non si insegna, ripeto, è una lingua che va parlata con gli stessi che parlano la tua stessa lingua. Tutto il resto che è teoria, lettura, armonia, composizione ecc...lo fanno in qualsiasi Conservatorio. Non c'è motivo di aprire una scuola di jazz per dire che su Fa maggiore la dominante è Do 7. Questo la sanno tutti.
Dizzy Gillespie mi diceva che per suonare jazz ci vogliono tre cose: lo studio, chiaramente, swing e cuore. Se mancano queste cose, non suonare jazz, suona musica contemporanea qualsiasi...il
jazz il piedino un po' te lo deve far muovere...
JI:
Quindi come vede quei tentativi di fusione tra jazz e musica folkloristica del luogo, come si può vedere nel
Nord Europa, nei Balcani ma anche a volte qui da noi in Italia...secondo lei è
una plausibile evoluzione del jazz stesso?
RS: No, sono...esperimenti, fatti bene, per carità.
Stravinsky diceva, e mi disse anche personalmente quando l'ho conosciuto, che c'erano due tipi di musica, quella buona e quella brutta. Ma non si possono etichettare certe cose. Come quando i critici indicarono certo jazz come "cool jazz". Era un'uscita giornalistica.
Tristano aveva un grande cuore, Konitz sembra freddo ma io ci ho fatto tanti dischi e fa delle ballad incredibili.
JI:
Allora dove sta andando il jazz?
RS: Per me spero che torni un po' indietro...
JI:
e si fermi a....?
RS: Senza limiti perchè si possono anche rifare i temi degli anni
'30 con un certo spirito ed una ricerca armonica che diventa anche ricerca moderna. Tutti mi dicono "che bello questo pezzo, hai ritirato fuori questo vecchio pezzo ma lo hai armonizzato molto modernamente...". Quello è un fatto di gusto molto personale. Che poi nel mondo dell'arte, la pittura, la scultura, è la stessa cosa. Ci interessa l'avanguardia ma facciamo la fila per andare a vedere Leonardo o Raffaello. O nella musica classica andiamo a sentire Bach, che poi è un avanguardista. Quindi, ripeto, la mia esperienza mi detta queste considerazioni...Spero che sia
aprano delle porte in più in modo che questi giovani, che suonano bene, abbiano un'entrata un po' più consistente senza dover aspettare poi chissà che cosa.
JI:
Ci faccia qualche nome di questi giovani...
RS: A parte il fatto che
gli sono molto amico, direi Stefano Bollani, tra l'altro ci premiano entrambi in Versilia, io come papà e lui come mio figlio. Poi c'è un altro pianista molto bravo che mi stima molto, dice che sono il suo idolo...ed è
Danilo Rea il quale sostiene che ascoltarmi lo emoziona. Anche se però non è più giovane così come Dado Moroni che è molto bravo. Poi c'è Andrea Pozza, bravo, e all'ultima edizione del premio Massimo Urbani ho conosciuto un certo Claudio Filippini, molto bravo.
JI:
Ma allora devo pensare che gli italiani non hanno molto cuore e swing! Cosa hanno di meno gli italiani rispetto agli americani...
RS: No, non direi...purtroppo però è una questione di radici. Noi abbiamo un handicap ad esempio nel canto: la lingua. L'inglese è molto più swingoso. Prendi
Frank Sinatra che non veniva neanche considerato un cantante jazz eppure si faceva fare degli arrangiamenti incredibili da delle orchestre di grandissimo valore. Io ho conosciuto
Al Viola ed era bellissimo il modo in cui divideva il tempo, creava swing. Oggi ci sono molti cantanti jazz in Italia ma sono tutti troppo ansiosi di fare lo
scat ma..."esponi una melodia bella come si deve e già io ti capisco che sei brava...". C'è una cantante molto brava, che è venuta a Perugia, ha fatto
My Funny Valentine e dopo due misure non c'era più niente di My Funny Valentine. Io mi arrabbio quando una bella melodia non viene rispettata. Quando sono in trio eseguo spesso una delle più belle ballad mai composte,
My Foolish Heart...
JI:
c'è una grandissima versione di Chet Baker...
RS:...e proprio lui mi diceva: "perchè voi italiani non amate le ballad?
Solo tu le fai bene...". Lì oltre al cuore ci vuole capacità di trattamento della melodia. Uno dei pianisti che esponeva bene la melodia è
Oscar Peterson, poi improvvisava come un matto, ma la melodia la esponeva sempre, con un gran gusto.
E di gran gusto è stato il
concerto a cui abbiamo assistito. Renato Sellani, insieme a
Max De Aloe e ai fedeli Riccardo
Fioravanti e Stefano Bagnoli,
ho offerto due ore di musica intensa, molto piacevole, di gran gusto, appunto.
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
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Data pubblicazione: 21/10/2003
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