Bye Bye Luciano
Fineschi
Ricordando uno dei maggiori esponenti dello swing italiano scomparso nella
notte del Fuoco.
di Olga Chieffi
Foto tratte dalla serata "Ma cos'è
questo Jazz!" tenutasi presso il Teatro Augusteo di Salerno nel 1982
Quando un musicista di jazz muore, la stampa, in genere non dedica all'avvenimento
largo spazio. Non perché – come ebbe ad osservare Sinè, il disegnatore satirico
francese – degli artisti si deve scrivere quando sono vivi e non imbalsamati, ma
in quanto il jazz manca oggettivamente di un chiaro riconoscimento per collocarsi
nell'ambito ordinario della cultura ufficiale e, per soprammisura, anche di una
salda connessione sul piano produttivo delle attività popolarmondane.
Nella
notte del fuoco, il 17 gennaio,
Luciano Fineschi, se ne è andato. Figlio d'arte da parte di madre, un'artista
del circo rumeno, del padre Armando pioniere dell'avanspettacolo in Italia
insieme alla Osiris e a Donati, nonchè nipote di Carlo Campanini,
insuperabile spalla di Walter Chiari, fu avviato proprio dal comico allo
studio del pianoforte. Campanini aveva acquistato un pianoforte per suo figlio,
allo scopo di avviarlo alla musica, ma il ragazzo, pur avendo un'ottima insegnante,
non faceva progressi. Un giorno, rincasando, Carlo ascoltò un pianoforte che suonava,
finalmente soddisfacentemente, era suo nipote Luciano, che aveva fatto tesoro
delle lezioni della maestra, unicamente assistendovi. Di lì gli studi pianistici,
il turbine del jazz, che attirò a sé quel musicista che cercava una propria via
verso nuove concezioni ritmiche.
Il
suo amore per Armstrong
lo convinse ad acquistare un vecchio trombone e caricatolo sulla canna di una bicicletta,
andò ad accogliere Louis all'aeroporto, il quale lo invitò la sera stessa per una
jam. Luciano non aveva mai suonato il trombone prima di allora, solo pianoforte
e vibrafono, ma divenne prestissimo uno dei più apprezzati trombonisti italiani.
L'amicizia con
Armstrong divenne inscindibile, fu lui a battezzare, nel
1949, la celeberrima
Roman New Orleans Jazz Band dell'amico Luciano, che schierava Giovanni Borghi,
Marcello Riccio, Ivan Vandor, Giorgio Zinzi, Bruno Perris,
Pino Liberati e Peppino d'Intino, fu Louis a battezzare la figlia
di Luciano Bessie, in onore dell'imperatrice del blues Bessie Smith.
Lasciamo al grande Enzo Golino descrivere Luciano Fineschi:"Ascoltare
Luciano Fineschi quando suona, al centro del suo complesso, è una girandola di sorprese,
per le mille vesti di esecutore con le quali si presenta. Arrangiatore della musica
che suona, se la canta pure con quella sua voce particolarissima che, per chissà
quale diavoleria, riesce a sentimentalizzarvi sulle note struggenti di uno slow
o di un blues e subito vi immette nelle gambe il fremito ed il formicolio del vecchio
dixieland….".
Era il novembre del 1956 quando Luciano
dopo una lunga assenza dalle scene musicali italiane, ritornò a suonare in una jam
session, organizzata dal Circolo Napoletano del Jazz, preparando la più corposa
esibizione per la rassegna "Storia antologica del jazz". Luciano inaugurò
la rassegna, che ebbe quale preludio una conferenza dal titolo "Le origini del
Jazz" di un giovanissimo Roberto Leydi, presentando un programma incentrato
sui blues e gli spirituals, sostenendo con la sua orchestra due voci eccezionali
Lilian Terry e Carol Danell. Luciano trattò la serata in modo
mirabile sia dal punto di vista storiografico che musicale, spaziando da
Saint James Infirmary,
un cavallo di battaglia del suo collega Jack Teagarden a
Saint Louis Blues, da
Nobody knows a
Mood Indigo, presentando
un particolare e personalissimo arrangiamento dell'Amen e inaugurando un felicissimo
periodo napoletano che lo salutò protagonista assoluto al fianco di Gloria Christian,
sino al 1959.
Salto a piè pari il Fineschi più noto, quello televisivo, alla guida
dell'orchestra della Rai e co-conduttore di trasmissioni a fianco di Silvan,
Pippo Baudo, delle partecipazioni a diversi film, per trasferirmi a Salerno,
nel 1982, al teatro Augusteo, con la sua ultima
big band, l'Orchestra Time, con cui presentò "Ma che cos'è questo jazz?",
una lungo e comunicativo viaggio attraverso la musica che più ha amato, capace di
raggrumare un sempre più intenso cumulo di elementi logici e armonici originali,
inventando, risolvendo ed esprimendo concetti melodici e ritmici nuovi, tali da
costituire una forma musicale "che ha da essere", sorprendente, vitale, permeata
di tensioni, "dissolvimento" e bellezza, tanto da poter andare a contaminare le
più amate melodie di Bach, Mozart, Dvoràk e Strauss. Con quello spettacolo Luciano
dimostrò che quella musica immediata, dolorosa e dileggiata al primo sentire era
emozione, vertigine, eros e pulsioni, musica autentica, sofferta come gli incroci
delle strade smarrite, universale, vincente, fino alla fine dei tempi, che va vissuta
e suonata agli estremi, senza via intermedie, come ha suonato e vissuto lui.
Un'amicizia tra
le note: Luciano e Tonino
Il ricordo del maestro
Antonio Florio sax di Fineschi dal 1974
di Olga Chieffi
O.C.:
Maestro, come conobbe
Luciano Fineschi e come nacque la vostra collaborazione?
A.F.:
Ci conoscemmo a Campobasso. Luciano
Fineschi formò un'orchestra, I Seniores, di cui guidavo la sezione dei sassofoni.
Fineschi proponeva uno spettacolo che prevedeva una prima parte dedicata al jazz
dell'era swing e una seconda in cui le star erano Rita Pavone e
Teddy Reno.
La nostra immediata intesa nacque nel momento in cui concepì all'istante e
"dettò" la sigla dello spettacolo agli strumentisti, praticamente un dettato
melodico, che risultò essere stato scritto esattamente solo da me. Di lì la
lunga amicizia che si è interrotta la scorsa notte, quando in sogno mi è
sembrato di aver percepito qualcosa.
O.C.: L'orchestra con
Rita Pavone quanto è durata?
A.F.: Solo un anno e mezzo.
In quel periodo Luciano è stato ospite a casa mia. Giravamo l'Italia su di
un pullman che guidavo personalmente, poiché non si fidava dell'autista che aveva
ingaggiato. Poi ci siamo persi di vista, fino al 1982.
O.C.: Come vi siete rincontrati?
A.F.: Lessi su di un giornale
che Luciano suonava in un noto locale napoletano. Lo raggiunsi e gli proposi di
formare una big band. Accettò immediatamente. Ai tavoli di quel ristorante nacque
il nome della formazione, l'Orchestra Time, e dello spettacolo "Ma cos'è questo
jazz?".
Terminato
il contratto partenopeo, Luciano si stabilì di nuovo a casa mia. Formammo una cooperativa
di musicisti "Salerno e musica", completamente snobbata dalle istituzioni, che evidentemente
non conoscevano i valori musicali in campo, né l'altezza culturale dell'operazione.
L'amministrazione provinciale ci offrì 500.000 lire che Fineschi rifiutò.
Facemmo tutto con le nostre forze: una big band deve anche apparire, quindi smoking,
leggii, scenografia, regia, tutto il necessario per evocare le orchestre della swing
era. Il debutto ufficiale fu al teatro Augusteo, in un concerto patrocinato interamente
dall'E.P.T. Il programma era una cavalcata nella storia del jazz in tutti i suoi
aspetti, dalle origini, con il ragtime, il blues, sino alle grandi orchestre bianche
e nere, con un omaggio all'impareggiabile Duke Ellington, con il quale Luciano
si era anche esibito, per poi aprire un vero e proprio dialogo con il mondo classico,
con arrangiamenti jazzati della Toccata e Fuga in re minore di J.S.Bach,
la sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvoràk, la sinfonia n°40 di
Mozart, l'Also Sprach Zarathustra di Richard Strauss.
O.C.: Avete suonato ancora
insieme dopo quella sera?
A.F.: Le belle cose terminano
presto: dopo una breve tournèe l'orchestra si sciolse e io persi di nuovo i contatti
con Luciano, fino al 1994, quando mi telefonò
e formammo un duo con cui ci esibimmo sino al 1996
nell'intero Centro Sud, alla pagoda dell'albergo Ferretti a Diamante, al Circolo
Canottieri Irno, a Cava, in costiera.
O.C.: Come componeva
Luciano Fineschi?
A.F.: Fineschi non
aveva nessun titolo musicale, nessun diploma, ma era un vero musicista. Componeva,
arrangiava senza mai toccare il pianoforte e non ha mai commesso un solo errore
su di una partitura, aveva tutto dentro, come i grandissimi. Ricordo che si era
bloccato nell'arrangiamento dell'Also Sprach Zarathustra, non riusciva a trovare
un'idea "buona" per riprendere il tema. Mentre eravamo tranquilli a tavola, si alzò
di scatto e con un grugnito esclamò "Ho trovato l'accordo!", e lo scrisse. Era un
accordo indefinibile che caratterizzò l'intera partitura. Questo aneddoto sta a
significare che lui pensava continuamente alla musica, anche quando dormiva.
O.C.: Cosa le ha insegnato
Luciano?
A.F.: Per me è stato un
secondo padre. Se a mio padre Franco devo tutto strumentalmente a Luciano devo buona
parte del mio sapere in qualità di arrangiatore. Lui non era in grado, però, di
impartirti alcuna lezione, dovevi essere in grado di rubargli qualche segreto, qualche
idea, come ha sempre fatto lui con gli altri.
O.C.: E l'uomo Luciano?
A.F.: Non saprei indicare
quella linea di confine dove la luce sposa quell'ombra, che è purtroppo in tutti
noi.
La morte non dà luogo né cuore per resistere e continuare nel ricordo.
Essa esige la brevità: a rivederci Luciano.
In Ricordo di
Luciano
Contursi Terme
Che strano dover scrivere che non ci sei più…almeno per quanto riguarda
la tua vita terrena. Sto buttando giù queste poche righe ascoltando "What
A Wonderful World" del tuo amico e fratello
Louis Armstrong.
La telefonata di Antonio e Wilma di martedì notte mi ha lasciato senza
parole, attonito, mi sembra ancor oggi tutto un brutto sogno, ma così non è! Quando
ieri ti ho visto privo di vita in quella fredda sala mortuaria non mi è venuto da
piangere, bensì di sorridere come tu mi hai insegnato. Voglio ricordarti e onorarti
in questo modo tu che sorridevi a tutti e ti arrabbiavi solo se non ero d'accordo
con te. Son sicuro che in questo triste momento mi avresti "cazziato" se le lacrime
avessero rigato il mio volto.
Quanti ricordi mi assalgono, mentre, perdonatemi se non ci riesco, cerco
di far capire l'onore che è stato per me e per tutti coloro che hanno avuto la fortuna
di conoscerti in modo vero.
Come potrei dimenticare le nostre cene, il grappino finale, le partite
di Champions della Juventus, i tuoi aneddoti e i ricordi sui personaggi del piccolo
e grande schermo, sui tuoi colleghi musicisti, le vivaci discussioni sulla politica,
il tuo modo di essere sempre così sereno nell'affrontare la vita…
Eri e rimarrai una star, ma questo non l'hai mai pensato e fatto pesare,
oggi poter dire sono amico di Luciano, per me è qualcosa di indescrivibile. Qualcosa
che può capire solo chi ti conosciuto veramente come "uomo": penso a Giovanni,
Gerardo, Giuseppe, Dimitri, Diego, Antonio, Massimiliano, Tania, Wilma, Rossella
e tanti altri.
Mi mancherai, mancherai a tanti, sicuramente molti si ricorderanno di
te solo ora, magari raccontando di essere stati tuoi grandi amici,
Lasci un vuoto immenso che dovrò riempire con i tuoi ricordi, con la tua
musica, con i tuoi insegnamenti.
Ci sarebbe ancora molto da ricordare, ma non vorrei cadere nella retorica
e sminuire la "tua" persona…
Te ne sei voluto andare in punta di piedi, con la tua discrezione, com'era
tuo stile, senza voler gravare su nessuno la tua attuale condizione fisica.
Ciao Luciano, indimenticabile amico!
Gianluca Squaccio