Oggi si parla molto di
jazz. Grandi volumi, valutazioni, statistiche e così via. Io cercherò di dire,
con poche parole, alcune cose che ho maturato nella mia giovinezza quando la parola jazz in Italia era proibita
ed, ascoltarne un disco, significava rischiare una denuncia per
americanismo.
In pratica vorrei tentare di spiegare le caratteristiche essenziali del jazz dal punto di vista
musicale, cosa che, secondo me, non viene fatta sempre limpidamente. Attenzione! Questa non è la cabala per
acquisire delle qualità jazzistiche; il jazz è specializzazione nella specializzazione
musicale. Essendo una forma artistica ha bisogno di doti individuali naturali particolarissime e tanto
studio.
Contrariamente alle propagande, i veri jazzisti in tutto il mondo sono pochi e spesso non
sono quelli più conosciuti.
RITMO.
Non inteso come esibizione di tamburi ma "scansione nel tempo" ha
una caratteristica peculiare che definirei di false anacrusi (ndr.
movimento iniziale in anticipo di un periodo ritmico). Inoltre, le tipiche anticipazioni date dalle interpretazioni delle
sincopi, creano l'illusione dello spostamento degli accenti forti. Alla fine però i conti
tornano sempre perché lo spazio-tempo rubato viene immediatamente restituito.
In sintesi, una mobilità ritmica inserita in un contesto ritmico ordinato e
rigoroso. A mio avviso è una delle caratteristiche principali che non si riscontra in nessun altro tipo di musica.
TIMBRICA.
Grande varietà di suoni chiusi e aperti o, se volete, chiari e scuri che spesso vengono intesi come
accenti, usatissimi, ma di altra natura. Jazzisticamente si chiamano "pronunce".
Sono l'essenza dell'esecuzione jazzistica. La scuola tradizionale non prevede l'insegnamento di tali effetti sui varii strumenti.
MELODIA-ARMONIA.
Musicalmente parlando il "blues" nella sua semplicità ed essenzialità è la
forma per eccellenza. Caratteristica nelle sue tematiche sono le cosiddette note
"blue". Esse sono costituite dall'abbassamento a piacere, in una gamma diatonica del
3° e del 7° e l'innalzamento del 4°. Tutto ciò sia in ascesa che in
discesa, dando così un compromesso tonale illusorio fra una scala diatonica maggiore
minorizzata, una modulazione al 4° ed un approccio al 5°.
Non avvenendo mai questi spostamenti tonali, ecco che scaturisce un senso di
indecisione, di speranza, di attesa.
Un altro merito del jazz è quello di aver tenuto viva l'abitudine
all'improvvisazione. Nei tempi passati questa disciplina fu molto considerata e
praticata. Basti ricordare Bach o Chopin per non dire di tutti gli altri grandissimi
improvvisatori. La loro forma improvvisativa consisteva nel creare una tematica o farsela
proporre; da qui iniziavano gli sviluppi e le variazioni. Anche questo, oggi è in disuso e l'allievo
dei conservatorii non viene più addestrato.
Jazzisticamente si usa improvvisare (direi creare tematiche con intenzioni jazzistiche) sulle
armonie dei "blues" come fatto predominante. Nel jazz è rigoroso
che ciò che si stabilisce lo debba essere in quel momento. Se si decide, ad
esempio, che le armonie del "blues" per quella esecuzione debbano essere più
sofisticate, gli esecutori dovranno attenersi a quella convenzione adeguandosi al rispetto armonico dei nuovi
accordi. Comunque, qualsiasi brano musicale, di qualsiasi natura, può essere
jazzificato. Per fare ciò, occorre intervenire per prima cosa sul taglio ritmico della
tematica, poi, modificarne le armonie conseguentemente allo stile che si vuole
ottenere. Ecco perchè il termine "arrangiatore" è più appropriato
di "orchestratore".
Ancora per esemplificare, moltissime canzoni di ogni epoca costituiscono la base sulle quale il jazzista crea le sue
esibizioni.
Quanto agli stili, va da sé che, ogni forma complessa scaturisca da una forma semplice
e naturale. Sono gli uomini che, con il loro desiderio di modificare ogni cosa,
cambiano e complicano le cose. Anche il jazz ha subito queste metamorfosi e dal momento
che, pare non si possa vivere senza etichette, lo abbiano chiamato di volta in volta
"Chicago" "Dixie" o "Cool".
In verità si tratta di evoluzioni stilistiche scaturite dalla necessità di introdurre acquisizioni dalla musica detta "dotta" per
cercare di nobilizzarlo. Non è forse il "dixie" una istintiva e semplice forma contrappuntistica? Così di seguito fino alle raffinate
combinazioni armonico-orchestrali prese in prestito dai Francesi e dai Russi dell'inizio del
secolo.
Sarebbe potuto il jazz essere insensibile alle follie d'avanguardia (quelle irragionevoli) che hanno funestato la
musica dotta? Certamente no.
Al jazz il merito di aver sviluppato ed affinato nuove tecniche di possibilità esecutive soprattutto nelle famiglie degli ottoni con
l'acquisizione di notevoli possibilità nei registri acuti. Grazie ad una continua ricerca di nuove forme d'espressione da parte degli
arrangiatori e degli stessi esecutori, il jazz ha avuto una grande funzione innovatrice per tutti gli
strumenti, in funzione timbrica e
tecnica, al di fuori dei canoni dello studio tradizionale. Potrei, partendo da questi
principi, amplificare gli argomenti a non
finire ma verrei meno alla promessa fattavi di essere breve.
A Voi, se siete interessati, il compito di ampliare le vostre cognizioni
richiedendo, eventualmente, lo sviluppo ulteriore di quanto detto.
Giampiero Boneschi
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
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Data pubblicazione: 09/02/2001
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