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Intervista a Luca Bragalini: L'arte moderna di Franco D'Andrea
ottobre 2008
di Stefano Corbetta


Riesumare un'incisione datata 1970 in cui tre straordinari musicisti si rincorrono senza sosta in un turbinio di note, ritmi e poliritmi alla luce dell'avanguardia di Ornette Coleman e John Coltrane e della concezione che sta alla base della musica seriale di Schoenberg, Berio e Webern, potrebbe apparire un'operazione quantomeno folle. Nessuna struttura armonica (se non in uno dei sei brani che compongono il cd, Frammento), nessuna forma (perlomeno riconducibile alla tradizione jazzistica) quindi. A fare da canovaccio solo un insieme di intervalli, canoni, gruppi di note che diventano l'orizzonte a cui guardare, camminandoci dentro per scoprire che tutto, o solo questo, è sufficiente per poter forgiare musica difficilmente catalogabile ma di grande forza espressiva, veicolo di un'arte rigorosa che fu il criterio con cui Franco D'Andrea, Bruno Tommaso e Franco Tonani concepirono questo progetto nei primi anni settanta. Ascoltando il disco, di cui Luca Bragalini ha scritto e curato le belle pagine che compongono le note di copertina, ci si accorge che la musica di Franco D'Andrea e compagni è innanzitutto ed effettivamente musica moderna e a costo di sembrare lapalissiani, a fronte del titolo, va comunque sottolineato che il Modern Art Trio rischia di essere oggi addirittura ancora troppo proiettato verso il futuro, forse ancora troppo complesso, nonostante i quarant'anni trascorsi. E qui sta il paradosso: il pianista di Merano e compagni restano i titolari di un disco la cui musica è stata l'avanguardia dell'avanguardia e che solo oggi, grazie alla ristampa vintage in formato booklet deluxe ad opera della Dejavu Records, ritorna alla luce quale primigenio baluardo di una perfetta fusione tra jazz e improvvisazione seriale. Mentre oltre oceano l'universo musicale che circondava quegli anni di grande fermento culturale e sociale era nel segno del nuovo free jazz, comunque, è bene dirlo, figlio della tradizione afroamericana, Franco D'Andrea, che era cresciuto ascoltando Armstrong e Ellington, aveva assorbito l'essenza di quella musica rielaborandola così alla luce di una propria sensibilità musicale, in cui confluivano anche elementi della musica colta europea. Un disco importante quindi, un'operazione culturale coraggiosa che ha come unico obiettivo la valorizzazione del patrimonio musicale di casa nostra e che sfugge da ogni logica di mercato. Ogni tanto ce n'è bisogno.

Come è nata l'idea di ripubblicare Modern Art Trio?

Il tutto è nato in maniera abbastanza naturale… In quel periodo frequentavo D'andrea per approfondire alcuni studi di poliritmia e da cui poi è partito un progetto didattico, una Master Class sulla musica di Thelonius Monk che abbiamo tenuto in qualche Conservatorio in Italia. Poi mi ha parlato di questa incisione che era stata realizzata nei primi anni settanta con Bruno Tommaso e Franco Tonani. Mi ha subito incuriosito e mi si è accesa la lampadina…

E' un disco coraggioso, essenziale…

Tutto è stato fatto con grande rigore filologico e credo che siamo riusciti a toccare lo zenit… La ristampa riproduce fedelmente l'LP originale, anche nel formato, che è stato proporzionalmente ridotto per il supporto cd. È un rarissimo esempio di improvvisazione sui canoni della musica seriale… credo ci abbia provato solo Don Ellis. D'andrea è stato geniale… In qualche modo il free jazz aveva messo in stallo il pianoforte: Cecil Taylor era lontano dalla sensibilità di Franco D'andrea e il licenziamento della tastiera d'avorio da parte di Coleman pareva inaccettabile. Così incomincerà ad indagare la musica seriale e ne rielaborerà i dettami creando un sistema inedito di regole. In sostanza un procedimento che si fonda sul più elementare mattone: l'intervallo. Non c'è più la struttura armonica, e quindi la forma, ma una serie di intervalli. E' musica rivoluzionaria, che va ascoltata con molta attenzione.

E' così come spesso accade rielaborare il materiale esistente porta a strade mai percorse...

Sì, esattamente. Prima del Modern Art Trio il jazz aveva già tentato un approdo sui lidi della dodecafonia… Pensa a Gaslini e Gunther Schuller, oltre al già citato Don Ellis, o anche per alcuni aspetti Yusef Lateef o addirittura Bill Evans. Ma sarebbe improprio e azzardato rintracciare in quegli esperimenti episodi riusciti di improvvisazione fondata sulla serialità, quello che si ascolta nelle sei tracce del cd è in qualche modo un unicum dal punto di vista concettuale.

E la critica?



Ha accolto questo progetto con grande entusiasmo. Tra le altre cose coordinerò un incontro alla Casa del Jazz a Roma in cui D'andrea, Tommaso e Tonani si rincontreranno e parleranno di questo grande disco, una specie di tavola rotonda… Pensa che non si vedono da trentasei anni!

Forse non ti aspettavi tanta attenzione per un disco che obiettivamente sfugge a qualsiasi logica di mercato…

No, devo dire che per ciò che il disco esprime la risposta della critica era in qualche modo dovuta. La musica di questo trio è qualcosa di straordinario da molti punti di vista. Come ti dicevo l'improvvisazione sui canoni della musica seriale è stato ed è tutt'oggi un campo pressoché inesplorato… E' innanzitutto musica rigorosa. Mi raccontava Franco (D'Andrea, ndr) che ha richiesto settimane e mesi di prove intense, e una visione comune che è raro trovare. E il tutto nasce anche da una visione polistrumentistica della musica. D'Andrea e Tonani avrebbero infatti suonato il piano elettrico, il sax soprano, la tromba e il flauto a coulisse, oltre ai loro strumenti. Tutto questo nel disco è evidente e il paradosso sta proprio nel fatto che quella freschezza è figlia di continue sedute di prova, correzioni e ricerche timbriche… Pensa solo alla presenza del piano elettrico, era la prima volta che D'andrea ne usava uno in sala d'incisione.

Trovo questa musica irriverente, per certi versi…

Forse ci siamo abituati ad ascoltare musica che difficilmente osa. Io amo la musica in cui percepisco rigore, dedizione, ironia… Quando senti Tommaso che usa l'archetto in realtà sta simulando una porta che cigolando si apre… e c'è del surrealismo. Il meccanismo che sta alla base dei brani è molto complesso ma il tutto è di una spontaneità straordinaria. E poi c'è l'idea che la musica dovesse essere al primo posto, e così accade realmente. Pensa che il trio ha suonato al Festival Internazionale del Jazz alla sala Verdi e il giorno dopo era all'oratorio parrocchiale di S. Severo…. Oggi sarebbe impensabile.

Un'ultima domanda. I tre dischi da conoscere a memoria?

Beh, direi gli Hot Five e gli Hot Seven di Armstrong: è la rivoluzione del linguaggio. La New Orleans Suite di Duke Ellington perché lì c'è la storia del jazz e il futuro. E My Favorite Things di Coltrane, la quintessenza della ricerca, la sintesi perfetta tra rigore e libertà… e forse anche qualcosa in più.

 







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Data pubblicazione: 22/11/2008

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