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Intervista con Simona Premazzi
dicembre 2013
di Marco Losavio

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cover design by Riccardo Gola, original photo by Jan Cain

Incontriamo Simona Premazzi, pianista italiana residente a New York, in occasione della pubblicazione per la Inner Circle, del suo terzo album da leader, "The Lucid Dreamer", in cui emerge una sorprendente e piacevole maturità compositiva e gestionale del trio.

Simona, parliamo prima un po' dei tuoi inizi. Qual è l'aspetto formativo che ancora oggi ti è rimasto dei tuoi studi con Franco D'Andrea?
Franco D'Andrea è stato uno dei miei primissimi insegnanti di jazz. In quel periodo iniziai ad avvicinarmi agli standard, alla musica di Monk, Miles, Bud Powell, Coltrane, affrontai le prime trascrizioni. Dal suo insegnamento mi è sicuramente rimasto l'approccio pragmatico allo studio, il non lasciare nulla al caso. Lavorammo molto anche sul come partire da brevi cellule ritmiche e melodiche ed elaborarle nello sviluppo di un solo. Franco D'Andrea è un grandissimo pianista che stimo molto: è stata una fortuna aver studiato con lui all'inizio della mia formazione.



Poi l'esperienza con la Big Band di Enrico Intra...

Quando ancora studiavo ai civici corsi di Jazz di Milano, ebbi l'opportunità di suonare con la big band diretta da Enrico Intra. Eravamo in tre pianisti più o meno in rotazione. E' stata una delle mie prime esperienze professionali da studente. Mi ritrovai a suonare con tutti i docenti dell'accademia su palchi di teatri e festival prestigiosi, affrontando repertori dai più svariati stili, dal jazz sinfonico di Paul Whiteman alle rivisitazioni jazz di brani italiani popolari, dai tributi a Rodgers and Hart alla musica contemporanea di Markus Stockhausen, dalla musica sinfonica di Leonard Bernstein alle composizioni di David Ruskin, Paul Newton o David Murray, e spesso si condivideva il palco con gli stessi compositori. E' stata un'esperienza didattica e professionale decisamente importante.

Dieci anni fa, sei andata a New York e tutt'ora vivi lì dove, possiamo dire, la tua maturità artistica si è decisamente forgiata. In questi anni, quali aspetti culturali, artistici, sociali ritieni influenzino maggiormente la tua musica?
La mia maturità artistica è un percorso di forgiatura in continua crescita, o per lo meno così mi auguro, in cui partendo da modelli di ispirazione esterni, effettuo una continua ricerca del mio onesto gusto estetico, sviluppando un mio linguaggio e una mia voce. Indubbiamente quel che influenza maggiormente il mio modo di scrivere e di suonare è dato da quel che ascolto e che considero ottima musica. Duke Ellington, Billy Strayhorn, Andrew Hill, Monk, Greg Osby, Ahmad Jamal, solo per citare quello su cui sto lavorando in questa mia fase artistica. Al di là delle influenze musicali, l'ispirazione arriva da tutto quel che mi piace e che mi induce in riflessione. La mia musica è influenzata da pensieri frequenti sulla complessità della psiche umana, sulla ricerca di un equilibrio tra lo spontaneo e l'imprevedibile. Direi che ho dei modelli di riferimento a cui mi relaziono. Grandi personalità, non solo musicali, che hanno raggiunto un altissimo livello di conoscenza del loro mestiere ed hanno una forte identità artistica, che non ricorrono a strategie ed arrivano ad esprimere la propria individualità con dedizione, integrità e trasparenza.

Anche il jazz in Europa si sta identificando sempre più a livello internazionale. Quali sono secondo te le principali differenze che si possono percepire?
A mio parere negli ultimi dieci/vent'anni l'America si è avvicinata molto all'Europa, nel senso che i musicisti Europei si confrontano più spesso con i musicisti Americani. Si viaggia di più, anche da studenti nel periodo di formazione e c'è più confronto diretto. Questo fattore ha probabilmente reso la scena jazzistica Europea più competitiva. Onestamente, però, non ho la competenza necessaria per andare nel dettaglio sulle differenze perché non sono realmente a conoscenza dell'attuale panorama musicale Europeo.

Ci sono vari musicisti italiani a NYC e molti spesso vi gravitano. Fate community? Oppure ognuno segue comunque un proprio percorso?
Ci conosciamo più o meno tutti e saltuariamente capita di collaborare con qualcuno agli stessi progetti. In linea di massima direi che ognuno fa il suo percorso artistico, anche se ovviamente ci si incontra per eventi sociali/professionali e si interagisce.

Parliamo ora di questo terzo album a tuo nome, per la Inner Circle Music, label di Greg Osby. Come è avvenuto il vostro incontro?
L'incontro ufficiale con Greg Osby è avvenuto a una session a Brooklyn un paio di anni fa. Suonammo per qualche ora "just to have fun". Ricordo che a quella session c'erano anche Melissa Aldana e Tineke Postma. Ovviamente ho sempre saputo chi fosse Osby, conoscevo la grandezza del suo genio, quindi ero molto eccitata, ma anche molto nervosa, era la prima volta che avevo la chance di suonare con lui. Successivamente gli parlai del mio nuovo progetto discografico e gli feci ascoltare le mie composizioni. Greg ha creduto in me come artista fin dal primo momento in cui ha sentito la mia musica. Mi ha proposto di far uscire "The Lucid Dreamer" con Inner Circle Music, e così è stato. In "The Lucid Dreamer" Osby è special guest su due mie composizioni, "Optics", che è stata scritta insieme alla cantante jazz Alice Ricciardi, e la title track "The Lucid Dreamer". Più recentemente ho iniziato a suonare con il suo quartetto. Abbiamo fatto anche una settimana al prestigioso Village Vanguard e ci sono altri progetti in cantiere. Osby è un mentore da cui attingo continuo sapere. Sono molto affascinata dai suoi differenti processi compositivi e dai suoi concetti, su cui lavoro spesso nella mia pratica musicale quotidiana.

Il brano d'apertura funge un po' come un monito: "Love is not all". Una voce definibile "monkiana" che recita un poema e il piano che accompagna raddoppiando o intersecandosi alla scansione sillabica...l'unione delle due, è come un canto. Come è nata questa idea?
La voce è quella di Edna St. Vincent Millay, poetessa americana vissuta nella prima metà del Novecento. Il titolo potrebbe ingannare. In realtà la poesia per tredici versi elenca tutti i motivi per cui non sia possibile vivere di solo amore, ma con l'ultimo verso, Millay riconferma la suprema importanza dell'amore, dicendo che non ne farebbe mai a cambio con nulla. Quindi in realtà un attento ascoltatore tra le righe dovrebbe sentire "L'amore e' tutto". L'idea è nata dalla mia passione per Edna St. Vincent Millay, come artista e come individuo, donna all'avanguardia di inizio secolo, una donna dalla storia straordinaria. Quando trovai il file audio con la voce di Edna rimasi così piacevolmente stupita e provai un forte desiderio di immortalare questo incontro con una composizione. Fu un lungo processo, trascrissi il ritmo delle parole, poi lentamente cercai una melodia e delle armonie che si abbinassero in intensità alla voce passionale e drammatica di Millay.

Molto emozionante e il risultato ne trasporta l'essenza di quanto hai descritto. Nell'album vi sono parecchie altre idee che scorrono e che si attuano facendo spesso da sponda alla ritmica, per nulla scontata. Nei tuoi trii, hai sempre cercato sezioni ritmiche decisamente moderne, quanto la tua musica e la tua scrittura si basa sull'aspetto ritmico?
L'aspetto ritmico, in tutte le sue sfumature, è una costante sempre presente nel mio modo di concepire musica. Spesso nelle mie composizioni si trovano improvvisi cambi di tempo o melodie frammentate e angolari, per nulla scontate. Il tutto è generato dalla mia costante ricerca di equilibrio - ovviamente quello che per me rappresenta equilibrio – e dalla mia costante fuga dalla banalità. Parte della mia pratica è dedicata al dilatare il fraseggio e liberarlo dal limite squadrato delle battute, o delle sequenze due a due, quattro a quattro. In natura c'è' molta frammentazione e disuguaglianza, non esistono due foglie, rami o alberi esattamente uguali, e questa disuguaglianza è percepita come autentico equilibrio.

"One for Hunter S." è dedicata al giornalista statunitense Hunter S. Thompson, giusto? Cosa ti ha ispirata?
Hunter S. era un uomo dalle idee molto chiare, senza filtri, la sua forza di carattere e il suo essere uomo libero sono continua fonte di ispirazione per me. In aggiunta al suo messaggio, mi piace molto la sua scrittura, di alto livello intellettivo e creativo. "One For Hunter S." è una composizione dal ritmo e armonie angolari, sicuramente ispirata dalla ferocia con cui quest'uomo affrontava la vita, assetato di giustizia e disgustato dalla realtà amara di una società che nulla ha lasciato di sognabile all' "American dream". Il brano cresce fino ad un finale di improvvisazione collettiva che sfocia in un momento di dolce catarsi. Un modo appropriatamente controintuitivo per concludere questo brano, che e' una mia dedica molto personale all'eccentrica vita di Hunter S. Thompson, terminata con un gesto di immensa drammaticità.

La musica di Monk è omaggiata da "Trinkle, Tinkle" che suoni in solitaria...
Monk indubbiamente rappresenta un pilastro fermo tra i miei musicisti di riferimento. La grandezza del suo genio non finirà mai di regalarmi gioia. Ho un modo di relazionarmi alla musica di Monk molto intimo e reverenziale. Il materiale di "Trinkle Tinkle" l'ho affrontato prendendo spunto dalle armonie sul ciclo di dominanti nell'introduzione, per poi offrire una versione più o meno fedelmente filologica del brano, in cui ho lasciato spazio alla mia personale interpretazione armonica e ritmica.

E' l'unico esplicito richiamo alla tradizione che però non manca mai nei tuoi concerti. Cosa e quanto c'è in Simona Premazzi della tradizione jazzistica?
Ho un profondo rispetto per la tradizione e tutto quel che ho imparato e sto imparando arriva da lì. Nei miei brani non mancano mai riferimenti al linguaggio jazzistico, quindi direi che in Simona Premazzi c'è molto della tradizione. Studio il linguaggio dei pianisti del passato: Fats Waller, Earl Hines, Art Tatum, Bud Powell, Jaki Byard, solo per citarne alcuni. Credo sia fondamentale, per un jazzista contemporaneo, affrontare lo studio del linguaggio che ci è stato donato, con generosità, perseveranza e sacrificio, da chi è arrivato prima di noi. A mio umile parere, però, l'artista contemporaneo ne deve fare una personale elaborazione ed un uso nel presente. In termini pianistici, ad esempio, l'uso dello stride piano potrebbe essere utilizzato in chiave moderna, frammentato, estrapolato e così anche altre tecniche esecutive.

Melissa Aldana, cilena, giovane e talentuosa sassofonista, l'americano, espertissimo e richiestissimo Ameen Saleem al contrabbasso, Jochen Rueckert, tedesco, con una pletora di collaborazioni già alle spalle. Un vero melting pot. Ci racconti la scelta dei tuoi compagni di viaggio?
Innanzitutto sono dei musicisti straordinari. Questa è la band con cui ho suonato negli ultimi due anni prima di registrare "The Lucid Dreamer". Con loro le composizioni sono cresciute, forme e strutture sono diventate sempre piu' solide. Ameen è stato uno dei primi bassisti con cui ho suonato appena arrivata a New York anni fa, quindi la sua musicalità mi era familiare. Melissa, oltre ad essere un grandissimo talento del sassofono e' una mia cara amica. Jochen comprende la mia musica quasi senza direttive e la sua creatività musicale èsempre ritmicamente stimolante. E' un gruppo a mio parere funzionale in cui l'intelligenza musicale individuale porta beneficio all'insieme, senza nessun egocentrico sbilancio.

In "Simona's Moods" ci sono numerosi cambi di tempo e di...mood che quindi risulta mutevole e poliedrico al tempo stesso. Il tutto, si dispiega molto fluidamente. Com'è il mood di Simona Premazzi oggi?
In "Simona's Moods" ho assemblato tre diversi andamenti ritmici, un vamp con groove New Orleans, un pattern swing e un grazioso valzer. Mi fa piacere sapere che il tutto ti suona fluido. Una delle mie tecniche compositive è quella di affiancare diversi ritmi in una stessa composizione e trovarne una naturalezza di esecuzione. Il mood di Simona Premazzi oggi, e tutti gli altri giorni, è come in "Simona's Moods", mutevole, ma anche curioso, affamato di conoscenza ed equilibrio.

La title track si chiama "The lucid dreamer", può un sognatore essere lucido...?
Assolutamente si, la pratica del sogno lucido è di esistenza reale ed è un processo conscio. I sogni lucidi possono essere realistici e vividi e il sognatore lucido ha possibilità di esercitare un certo controllo sulla sua partecipazione all'interno del sogno. Oppure può' essere in grado di manipolare la propria esperienza immaginaria nel contesto del sogno. In "The Lucid Dreamer" ogni composizione vuole evocare visioni di ispirazione subconscia e accompagnare l'ascoltatore in un viaggio dall'immaginario surreale.

Quali sono i tuoi prossimi "sogni lucidi"?
Continuare a crescere sia come artista che come essere umano. Dare un senso sempre più concreto alla mia missione artistica, produrre moltissimo materiale creativo che sia utile al continuo sviluppo di questa forma d'arte, la musica jazz, BAM o come altro la si voglia chiamare.







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Data pubblicazione: 21/12/2013

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