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Intervista a Daniele Malvisi
novembre 2010
Alceste Ayroldi per Jazzitalia

Sa spremere bene il succo dei sassofoni Daniele Malvisi, quarantaduenne musicista toscano, continuo esploratore delle mille vie del jazz, della sua storia e dei suoi dialetti. Coniuga nelle sue composizioni il jazz più moderno con il lirismo italico, tanto da licenziare nel 2008 L'Anemone, liberamente ispirato all'omonimo testo di Giuliana Messina ed ancora e nello stesso anno, Storie nascoste. Del 2009, ma fresco di ristampa, è Jazz For Peace dove il suo quartetto (con Giovanni Conversano alla chitarra, Gianmarco Scaglia al basso e Paolo Corsi alla batteria) è affiancato da Danilo Rea al pianoforte. Nella sua lunga attività fatta di Orchestre, Bande e combo più o meno consistenti, Malvisi ha anche una stabile collaborazione con William Parker.

Un artista che crede nei progetti e si è liberato dalla standardizzazione fine a sé stessa e vive in simbiosi con la sua vera "voce": il sassofono.

Dalla tua biografia risulta che le Quattro Stagioni di Vivaldi ed una raccolta di successi jazz, La Grande Orchestra di Charlie Barnet, ti hanno spinto a fare il musicista. Ora, a parte il fatto che è intrigante che fossero "gli unici dischi presenti in casa", perché hai scelto di fare il jazzista e non dedicarti alla classica?

In realtà non è stata una scelta molto razionale, ho un concetto della musica piuttosto istintivo e in merito a ciò che mi coinvolge seguo molto quello che mi dice la pancia: solo in un secondo momento cerco di capire cosa succede nella mia mente. Di sicuro non posso fare a meno dell'improvvisazione. Fin da piccolo amavo suonare liberamente sui dischi senza avere la più pallida idea di cosa stessi facendo; forse l'idea di creare in modo istantaneo mi coinvolge di più da un punto di vista fisico e forse il jazz risponde meglio a questo requisito, anche se poi da grande ho scoperto che molti grandi compositori e musicisti, cosiddetti "classici" sono stati grandi improvvisatori. La verità è che mi piace pensarmi semplicemente come musicista, senza ulteriori attribuzioni.



Si legge anche della tua formazione musicale attraverso le Bande, esperienza formativa importante. Cosa ti ha dato in più l'esperienza bandistica e cosa ricordi di quel periodo?

Dovrei scrivere un libro per rispondere in modo esaustivo a questa domanda perché i ricordi sono davvero tanti. Mi ricordo la gioia di suonare con gli altri, i complimenti dei musicisti più anziani quando iniziai a suonare le prime partiture come solista; ricordo i viaggi in autobus e le infinite serie di barzellette, ricordo i rimproveri del capo banda che mi sgridava sempre perché non volevo mettere il cappello, ma su tutto ricordo l'odore della sala prove della banda e quella sensazione magica di sentirsi a casa.

Il collettivo sembra fare parte pienamente del tuo vissuto artistico, vista anche la tua partecipazione all'Orchestra Nazionale Giovanile di Jazz di Bruno Tommaso, l'Orchestra Gershwin del Maestro Santoloci, l'Arretium Jazz Orchestra di Marco Pezzola: una scelta voluta o casuale?

Considero l'esperienza del collettivo come uno dei momenti decisivi nell'esperienza di un musicista. Suonare insieme a molti musicisti ti insegna innanzi tutto a stare con gli altri che già è gran cosa, in seconda analisi è un esperienza che ti obbliga a studiare perché non vorresti mai compromettere il lavoro di gruppo con un'esecuzione approssimativa, poi è suonando nel collettivo che si imparano a gestire le paure e le emozioni dei primi assoli; è in questi luoghi sempre più rari che cominci a prenderti cura del tuo suono e a sentire il peso della tua voce nell'impasto dell'arrangiamento. Infine, per me che credo in un idea sociale di musica, il collettivo incarna bene la sintesi di questo pensiero e appena ho l'occasione di suonare con un grande gruppo mi ci tuffo ad occhi chiusi.

Così, a brucia pelo: pensi sia meglio essere autodidatti o aver studiato in modo canonico, per suonare jazz?

Nutro un grande affetto per gli autodidatti essendolo stato io stesso per un certo periodo, dal punto di vista jazzistico, tuttavia sono fermamente convinto che per conseguire risultati significativi il confronto con uno o più insegnanti sia indispensabile. Nella mia esperienza mi sono accorto che, salvo casi rari, gli autodidatti per così dire puri, spesso hanno le gambe corte e rifuggono dal confronto, ingrediente che ritengo fondamentale per la crescita e l'evoluzione di un musicista.

Hai trascorso quattro anni con il gruppo Timet, organico di musica contemporanea pionieristico: ciò ha influito sul tuo modo di comporre?

Indubbiamente sì, ma non più di altre esperienze. In realtà il mio modo di scrivere è costantemente influenzato da tante differenti visioni della musica. Tendo sempre a seguire il mio istinto e guardare la musica da diverse angolazioni, senza farmi influenzare da formule precotte di organizzazione dei suoni: in poche parole cerco di mantenere un approccio vicino all'improvvisazione anche quando scrivo, nel senso che non mi preoccupo se una melodia si sviluppa su un tempo pari dispari o composto, se la mia struttura è di 8 o 9 o 11 misure o se addirittura ci sia o meno una struttura, non mi preoccupo se un brano è tonale, modale o atonale, mi interessa solo che il risultato finale rifletta bene il mio sentire.

Hai anche una consistente parentesi classica con il Quartetto Morlacchi. Qual è il tuo genere musicale, per così dire, preferito?

Se intendiamo la buona musica come quella che non ha come prima finalità la sua stessa commercializzazione ma quella di raccontare o di esprimere qualcosa, posso dire che mi piacciono tutti i generi, nessuno escluso.

L'ultimo disco che hai ascoltato? E ti è piaciuto?

Se intendi l'ultimo "nuovo" disco che ho ascoltato, che è "Lost In A Dream", uscito quest'anno per l'ECM del Paul Motian Trio, con Jason Moran e Chris Potter la risposta è si, mi è piaciuto molto, soprattutto perché si basa su dei precomposti melodici molto lirici che si muovono su strutture che, seppur presenti sembrano molto aleatorie, una serie temi che si alternano alle improvvisazioni in un flusso continuo quasi indistinguibile, affascinante.

Hai nel tuo bagaglio esperienze sempre diverse, come quella con il quartetto italiano di William Parker. Come è avvenuto il vostro incontro?

Ho conosciuto William grazie a Nico Scotti, proprietario del Caruso Jazz Cafè di Firenze che nel 2007 ingaggiò lui e Hamid Drake per una serie di concerti in Italia; io e il pianista Alessandro Giachero fummo chiamati a completare la formazione, questo connubio Usa - Italia tra l'altro ha prodotto anche un doppio cd che dovrebbe uscire a breve mentre un altro è in fase di missaggio, è un esperienza che continua ancora oggi e il quartetto ha ormai il nome ufficiale di "William Parker Resounance Quartet".

Cosa ti affascina della musica di William Parker?

E' molto difficile distinguere fra la musica di William e William stesso. Sia quando sono vicino a lui sia quando suono con lui mi sento avvolto da un'energia molto potente, William è anche un poeta, un uomo affabile, con un'immensa cultura, non solo musicale ma anche letteraria: è un uomo che crea continuamente, anche quando parla. Quando sei con William è come essere dentro alla storia della musica e sentire che ne fai parte in modo determinante, è un uomo che è in grado di tirar fuori il meglio dalle persone, quando sei con lui percepisci distintamente chi sei è da dove vieni, è come se ti mettesse in contatto con il tuo io più profondo. Direi che in qualche misura responsabilizza il tuo modo di fare arte. La sua musica e le sue parole sono intrise dal sound degli antichi blues della tradizione, ci riconosci l'ossessiva trama dei rituals africani, il bop, il soul, il funk, il rock, il free e tutta l'avanguardia della quale è stato protagonista; e quando ancora una volta ti sorprende con l'esposizione di una melodia che sembra provenire direttamente dalla colonna sonora di un film, ti accorgi che alla fine è sempre William Parker. Anche se non mi ritengo un musicista free, William Parker è sicuramente uno dei miei punti di riferimento e una continua fonte di ispirazione.

Tantissime collaborazioni: quale ricordi con maggiore piacere?

Escludendo quella con William Parker, della quale abbiamo appena parlato, una delle collaborazioni che ritengo più importanti è quella con il pianista Danilo Rea. Per me Danilo è una sorta di angelo sceso dal cielo. Ho conosciuto Danilo molti anni fa ai seminari di Siena Jazz dove ho avuto la fortuna di essere un suo allievo. Oggi siamo amici, ma nonostante il calore umano e la confidenza che mi concede, continuo intimamente a considerarlo un mio grande Maestro. Nutro un senso di gratitudine molto profondo nei suoi confronti, perché oltre ad essere un grande musicista, e lui lo è davvero, è un uomo che come William ha il dono raro di tirar fuori il meglio dalle persone. Intendiamoci, Danilo dice sempre quello che pensa e se deve farti una critica il messaggio ti arriva molto chiaramente, ma il modo in cui lo fa non è mai distruttivo, cerca sempre di farti vedere una soluzione, di farti guardare in un'altra direzione o di mettere il luce un aspetto di te che non sapevi di possedere. Danilo è un talento puro, così come puro è il suo approccio alla musica: il suo amore per la musica è così grande che trasuda da ogni nota; ti accorgi che conferisce ad ogni suono un peso e un significato molto preciso e che ogni suono fa parte di un disegno più grande che tu potrai vedere solo alla fine, Danilo riesce a dominare l'architettura di un solo con una naturalezza imbarazzante ed io rimango sempre sorpreso dalla ricchezza melodica e dalla fantasia del suo fraseggio, per non parlare del suo innato senso del ritmo e del suo modo di creare, che trovo assolutamente unico.

Parliamo delle tue ultime produzioni discografiche ed iniziamo con "L'Anemone", liberamente ispirato dall'omonimo testo di Giuliana Mesina.

L'Anemone è sostanzialmente la storia di una metamorfosi: da una condizione di vita priva di amore all'acquisizione di un nuovo livello di consapevolezza grazie all'amore stesso. Nonostante questo, la forma semi definita di certi contenuti consente ad ogni fruitore di immaginare una vicenda personale e di cucirsi addosso una storia in base al proprio vissuto. Le definizioni che hanno dato a questo lavoro sono molte e molto diverse tra loro: da musica per film a jazz progressive, da jazz sinfonico a new age contemporanea a nuovo teatro musicale, ma quello che per me conta di più sono le molteplici manifestazioni di affetto che mi sono giunte da molti, che mi hanno ringraziato perché quando ascoltano il disco dell'Anemone si sentono in pace con il mondo. Alcuni addirittura mi raccontano che questa musica ha un effetto terapeutico e che è di grande aiuto per sentirsi meglio tutte quelle volte che ci si sente un po' giù, è una bella cosa no??
Mi ci sono voluti 5 anni per scrivere le musiche dell'Anemone, che come ben sai è realizzato con un grande collettivo che comprende anche un orchestra d'archi. Spesso ho dovuto fare i conti con i miei limiti di musicista e compositore, ma in tutta onestà sono particolarmente soddisfatto dalla realizzazione di questo progetto: l'Anemone oggi rappresenta anche la storia della mia vita e non solo da un punto di vista musicale, ma anche per quanto riguarda la sfera privata, visto che Giuliana (l'autrice del testo) nel frattempo è diventata la mia compagna e che insieme stiamo crescendo un bimbo bellissimo.

Poi "Storie nascoste", dove si palesa la tua passione per la letteratura e per un certo tipo di giornalismo, disco di particolare intensità nella scrittura ed eseguito con grande pathos anche dai tuoi sodali.

Storie Nascoste è il mio omaggio personale agli eroi dei nostri giorni, non so perché ma sembra che certe persone finiscano nel dimenticatoio con una certa rapidità e non me lo so proprio spiegare. Ma non solo: questo lavoro esprime anche la mia opinione in merito a certe vicende e il mio sguardo critico su certi aspetti della nostra società è ben visibile in ogni brano. Trovo che gran parte del mondo del jazz attualmente sia avvolto da una spessa patina revivalistica assolutamente auto referenziale, solo pochi colleghi mostrano nella propria arte quel senso di indignazione profonda nei confronti dello scempio socio culturale che sta subendo il nostro paese. Non dico che tutto il jazz debba essere erede di quei movimenti che caratterizzarono buona parte della musica degli anni 70, ma neanche che ci si debba dimenticare di chi siamo, da dove veniamo e che musica stiamo suonando. Trovo che ci si liberi con troppa facilità della storia e non è un bene soprattutto se fai il jazzista. Come hai ben detto nella domanda il contributo dei musicisti che suonano con me è di assoluto spessore, ma ti dirò di più, credo in tutta onestà che non esisterebbe nessun disco a mio nome se non avessi la fortuna di condividere la mia musica con loro. Il mio percorso insieme a Paolo Corsi, Giovanni Conversano e Gianmarco Scaglia è iniziato molti anni fa e ormai si è creata una simbiosi così profonda con loro che mi rimane difficile scrivere qualcosa senza immaginare il loro modo di suonare. No so se ci hai fatto caso ma i loro nomi sono presenti in tutti i miei lavori….questo la dice lunga….

Terzo in ordine di apparizione abbiamo "Jazz For Peace", che vede anche Danilo Rea unirsi al tuo quartetto. Tutti brani originali ad eccezione di Peace di Horace Silver. Un lavoro, tra l'altro, fresco di ristampa per la MM Records. La scrittura e l'esecuzione differisce dai precedenti due: ordisci un jazz forte, nuovo e bagnato di un sound newyokese. Puoi parlarcene?

Nel 2004 il direttore artistico del Festival della Pace della città di Assisi mi commissionò la realizzazione di un repertorio che gli permettesse di inserire fra gli appuntamenti del festival anche un concerto di jazz: Jazz For Peace è la realizzazione di quell'idea. A differenza delle altre mie produzioni discografiche, la musica che fa parte di questo cd è stata scritta in una sola settimana. Dopo circa un anno, periodo nel quale mi sono letto le biografie di alcuni grandi personaggi come Mandela, Ghandi, Martin Luther King, Madre Teresa ed altri ancora, che avevo preso a modello per delineare un idoneo tratto musicale, la scrittura dei brani è stata pressoché istantanea. Anche la presenza di Danilo è un elemento assolutamente indispensabile agli esiti di questa musica, come ho detto in più di un occasione, quando immaginavo il suono del piano, non pensavo ad un piano qualsiasi ma al suo suono e alla sua energia e onestamente credo di aver fatto centro, visto che Danilo è stato fondamentale nella stesura definitiva di questo lavoro anche dal punto di vista compositivo e strutturale. A distanza di anni è un lavoro che mi sorprende ancora perché incontra ancora oggi un grande favore da parte del pubblico, tanto che si è reso indispensabile la sua ristampa. Mi auguro che questa volta possa ricevere un po' di attenzione in più da parte degli addetti ai lavori, quindi ti ringrazio per avermi dato la possibilità di poterne parlare.

Quali sono i prossimi impegni di Daniele Malvisi?

Attualmente sto lavorando alla realizzazione di un repertorio in duo con la contrabbassista Silvia Bolognesi e sto scrivendo le musiche per un nuovo progetto che ho intitolato Global Love: suona un po' hippy ma in realtà il termine ha più a che vedere con la globalizzazione e con ciò che dovrebbe essere globalmente condiviso. Per questo progetto ho pensato di aggiungere al mio quartetto di sempre un percussionista che è anche un ottimo vocal, un pianista specializzato nell'uso del fender rhodes e un musicista dedito all'utilizzo dell'elettronica. Inoltre sto per entrare in studio di registrazione per la realizzazione di un nuovo cd dal titolo "A Tonal Vision Of Carla Bley's Free Music", con un'insolita formazione che vede me e il contrabbassista Gianmarco Scaglia a fianco del quartetto di archi "Le Facezie Musicali" che ospita come 1° violino anche il grande concertista Alessandro Perpich. Questo repertorio, ovviamente ispirato alle composizioni free di Carla Bley, è già stato eseguito in pubblico più di una volta. La quantità di riscontri positivi nei confronti di questo insolito connubio, anche in ambienti dediti alla musica classica, ha spinto me e Alessandro a di realizzare insieme questa nuova produzione discografica.








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Data pubblicazione: 12/12/2010

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