Intervista a Luigi Campoccia
luglio 2008
di Alceste Ayroldi
Pianista, cantante, arrangiatore. Il suo "orecchio musicale" è così sensibile
da renderlo anche un prezioso accordatore di pianoforti. Da trentanni sulle scene
internazionali a fianco dei più grandi musicisti. Quindici anni passati con Giorgio
Gaber e con la musica d'autore, quella vera. L'esperienza, la professionalità,
l'innato talento musicale gli hanno consentito di elaborare progetti artistici di
spessore frutto dell'aggregazione misurata di musiche, suoni, immagini e parole.
Chi o cosa ti ha portato al jazz?
Come sai, la mia avventura musicale nasce durante la
prima infanzia seguendo le orme di mio padre fisarmonicista, appassionato autodidatta.
In seguito, la comune passione di un gruppo di amici senesi, fra i quali Franco
Caroni, incanalò ogni energia nello studio del Jazz, ma anche nella scommessa
tutt'altro che facile in quegli anni, di fondare un "movimento" musicale specifico
che si rifacesse al Jazz…è così che abbiamo fondato il "Siena
Jazz", oggi divenuto "Accademia Nazionale del Jazz".
Una consistente parte della tua vita professionale è
legata al grande Giorgio Gaber. Se dovessi fare un bilancio di questa esperienza…
L'esperienza con Gaber è stata per me, prima di tutto, formativa sotto
l'aspetto della "rigorosità" nell'affrontare e sviluppare ogni nuova idea. Lavorando
ogni giorno per molte ore al suo fianco ho assorbito e fatto mio il concetto di
"metodo" ed una certa propensione alla qualità e alla perfezione. Ma ciò che maggiormente
mi è rimasto è l'esigenza di "usare" il canale privilegiato della musica come straordinario
mezzo di comunicazione. Poi, esiste un fattore umano che mi legava a Giorgio che
difficilmente posso spiegare ma che certamente ha permeato lunghi anni della mia
vita e che, ancora oggi, è il filo conduttore di un certo mio modo di vedere e "sentire".
C'è un episodio, in particolare (dell'esperienza con
Gaber), che ti ha colpito?
In effetti, a causa della sua grande ironia e del suo straordinario sense
of humor, ogni evento, anche il più insignificante, si trasformava ogni giorno
in una gag, in un aneddoto divertente da raccontare…No, non esiste un episodio in
particolare. Esiste invece qualcosa di lui che mi ha sempre molto colpito: il suo
incredibile intuito, la sua capacità tutt'altro che comune di prevedere gli eventi,
di "sentire" ciò che sarebbe accaduto di lì a poco o ben più lontano negli anni…uno
straordinario "visionario"!
Nella tua carriera, ricca ed intensa, ci sono anche
artisti come Milva e Sergio Caputo…
Con
Sergio Caputo, nei primi anni '80 ho
affrontato la mia prima esperienza da "band leader" di livello nazionale.
Ero molto giovane e tutto mi appariva straordinario, anche perché ero riuscito a
formare un gruppo con musicisti di primo ordine (vedi
Fabio Morgera,
Giulio Visibelli, Roberto Nannetti ecc). Inoltre, per quanto di natura
abbastanza leggera, suonavamo dello Swing Italiano ed era una esperienza assolutamente
unica, in quegli anni, nel panorama musicale nazionale. L'incontro con Milva
è stato quasi casuale. Per merito di comuni amici, aveva avuto l'occasione di ascoltare
il mio lavoro su PierPaolo Pasolini ed essendo in procinto di debuttare proprio
in uno spettacolo a lui dedicato, mi chiese di poter interpretare uno dei miei brani
che le era piaciuto moltissimo. Volle persino mantenere identici gli arrangiamenti.
Davvero una grande interprete!
A proposito del tuo lavoro su PierPaolo Pasolini:
come è nata questa idea?
L'idea di fare un lavoro su PierPaolo Pasolini nasce da molto lontano.
In occasione del decennale della sua morte mi fu chiesto di musicare uno spettacolo
teatrale su "Scritti Corsari" che, per motivi di produzione, non andò
poi a buon fine. Quell'operazione mancata mi offrì, però, lo spunto per un
approfondimento sul grande scrittore che imparai ad apprezzare. A distanza di anni,
ho desiderato cimentarmi nuovamente nello sviluppo di quel progetto che divenne,
diversamente, un' ispirazione alle tematiche socio-politiche trattate negli
"Scritti Corsari". Feci ascoltare l'intero lavoro a Gaber, grande conoscitore
di Pasolini, per avere una sua opinione in merito. La cosa gli piacque particolarmente
e, con mia grande soddisfazione, mi offrì il suo supporto per la messa a punto della
parte letteraria. Il lavoro è completamente in acustico realizzato con il mio abituale
quartetto e l'aggiunta di una chitarra. In realtà, questo spettacolo dalla connotazione
prettamente teatrale (vista la formula di alternanza fra canzoni e monologhi
e la già consolidata scenografia), continua ad essere richiesto in varie rassegne
musicali e teatrali.
Sei anche un grande arrangiatore. Preferisci essere
musicista, arrangiatore o compositore?
In realtà, queste sono le mie "tre anime" musicali, ciascuna delle quali per
me fondamentale per l'espressione della mia natura.
Hai già presentato sia a Siena che all'Isola d'Elba
il tuo nuovo progetto "I sing Amore". Un progetto decisamente interessante sia per
gli arrangiamenti che per l'idea stessa. Ce ne vuoi parlare?
I sing Amore è uno spettacolo quasi esclusivamente "musicale", dopo molti
anni di progetti più essenzialmente teatrali dove la musica era, più concettualmente,
prestata alla parola.Il mio desiderio, stavolta, era di ripercorrere, attraverso
la musica, una fase storica, quella del dopoguerra, che considero fondamentale sia
culturalmente che artisticamente per il nostro Paese. E' da lì, dall'incontro con
la cultura d'oltre oceano, che l'Italia intraprese la sua grande svolta generazionale
negli usi, nei costumi, nei gusti della gente, nelle esigenze quotidiane. I sing
amore, racconta proprio dell'incontro fra gli uomini e le donne di due mondi
diversi, proprio come fra lo "swing" americano e la "melodia italiana". Un incontro
emotivo, musicale, culturale.
Pensi che le canzoni italiane siano fortemente intrise
di jazz? Dove è lo swing della "song" italiana?
Sì, le canzoni italiane, proprio quelle del periodo appena ricordato, erano fortemente
intrise di Jazz. Basti pensare ad autori come Kramer, Carosone,
Arigliano. Oggi, purtroppo, la "song" italiana si rifà molto più ad influenze
di generi diversi: dall'hip-hop al rock anglosassone alle varie contaminazioni etniche
le più disparate. A questo, fanno ancora eccezione, ciascuno a suo modo, un paio
di autori come
Mario Biondi e
Sergio Cammariere.
Ciò che traspare a chiare lettere è l'interplay del
quartetto. Quali criteri hai seguito per scegliere i tuoi compagni di viaggio?
Pensando ai musicisti, ho tenuto ben in mente ciò che mi sarebbe servito per
costruire "il suono" del gruppo che reputo sia una delle cose più difficili da ottenere,
a prescindere dalla validità dei musicisti. Conoscendo bene le caratteristiche di
ciascuno di loro, ho avuto la certezza che la scelta fosse adeguata per il tipo
di progetto che stavo proponendo.
Rossano Gasperini
è il mio contrabbassista ormai da anni ed è musicista completo e di grande esperienza.
Damiano Niccolini, il sassofonista, è un giovane talento del panorama jazzistico
italiano con una grande cultura musicale ed una profonda conoscenza degli standards
americani. Paolo Corsi, batterista, oltre ad essere uno stimato collega nell'insegnamento
è persona con la quale condivido un profondo feeling musicale.
Svolgi anche un'intensa attività didattica. Come giudichi
la didattica musicale in Italia?
La didattica musicale in Italia è finalmente buona, consolidata da molti anni
di esempio e di spunti forniti dalle scuole americane più esperte nelle quali molti
musicisti insegnanti, me compreso, si sono formati.
A quali artisti ti ispiri?
Non mi ispiro ad un artista in particolare ma alcuni di loro sono, per me e per
la costruzione dei miei lavori, maggiormente stimolanti. Fra questi,
Michel Camilo,
Chick Corea,
Michel
Petrucciani.
Come si è evoluto negli anni il tuo modo di suonare?
Nel Jazz la cosa più importante è acquisire una tecnica di base che permetta
di muoversi all'interno delle armonie creando un proprio suono. Questo è stato il
mio primo impegno, molti anni fa, affacciandomi al mondo del Jazz. Da allora, le
molteplici esperienze in svariati e diversi ambiti musicali, mi hanno portato ad
acquisire una più profonda coscienza dell'importanza della "contaminazione". Partendo
da questo concetto, il mio maggior impegno nella ricerca è teso all'ottenimento
di un "suono", di un "modus" assolutamente personale, pur mantenendo viva la convinzione
che, anche ciò che diventa assolutamente personale, nasce sempre dall'aver ascoltato
e, in qualche modo, metabolizzato il "modus" di altri.
Pensi che i musicisti si copino l'un con l'altro?
Credo che sia inevitabile, perché la formazione didattica che viene fornita nelle
scuole tende a uniformare i futuri musicisti verso uno standard medio-alto, quasi
sempre in forma emulativa. Si creano, in tal modo, dei cloni difficilmente riconoscibili.
Ciò che fa la differenza è il talento e la ricerca personale.
Sei il direttore artistico di Elba Jazz Contest. Cosa hai tratto
da questa esperienza?
Elba Jazz è stato davvero una bella sfida, un lungo e faticoso lavoro
di contatti, selezione, organizzazione sul campo. La sfida era vestire i panni di
organizzatore a tutto tondo senza mai uscire dall'ottica dell'artista. Come puoi
ben immaginare, le due cose difficilmente convivono nella stessa persona. Credo
che il connubio, nonostante l'azzardo, sia davvero ben riuscito: la manifestazione,
di natura per altro piuttosto articolata, ha avuto uno svolgimento pulito, lineare,
funzionale e la qualità degli artisti selezionati era davvero di buon livello. Ciò
che mi resta è la certezza di aver svolto un buon lavoro, il piacere di aver contribuito
all'apertura di una nuova vera opportunità per i giovani emergenti e la piacevolissima
sorpresa dell'incontro con straordinari professionisti del settore, musicisti e
critici, con i quali ho condiviso la fatica e l'impegno, ma anche la conoscenza
ed il giudizio intelligente…strumenti che considero fondamentali per la crescita
a tutti i livelli.
Cosa pensi dell'attuale scenario jazzistico?
Il Jazz italiano è cresciuto tantissimo negli ultimi anni, in particolare nella
qualità. Non è un caso che, finalmente, alcuni musicisti italiani sono chiamati
ad esibirsi anche su palcoscenici internazionali. Ciò che rappresenta, a mio avviso,
un brutto difetto ma anche un motivo di stallo è una qualità di atteggiamento e
di pensiero di alcuni di loro, che mi pare tutta italiana: la convinzione della
propria "unicità" e, per questa, la chiusura al confronto. La musica ed in particolare
questo tipo di musica, proprio per le sue caratteristiche di "dinamismo" e di costante
evoluzione, prevedrebbe un confronto costante con il "nuovo" ed il "diverso". I
Jazzisti italiani, purtroppo, hanno la tendenza a non ascoltare gli altri e a creare
una sorta di "casta chiusa" nella quale, difficilmente, nuovi e straordinari musicisti
di cui è pieno il Paese, hanno l'opportunità di affacciarsi.
Quali sono i prossimi impegni di Luigi Campoccia?
Dopo una lunga fase organizzativa ed un faticosissimo luglio di eventi legati
ad Elba Jazz, ho partecipato "di rincorsa" anche al Festival Teatro Canzone Giorgio
Gaber che, come ogni anno, si è tenuto alla fine di luglio alla Cittadella del
Carnevale di Viareggio. Dovendo accompagnare diversi artisti, praticamente senza
prove, in una "due-giorni" non-stop, lo sforzo e la concentrazione impiegati sono
stati enormi. Per il momento, almeno fino all'autunno, mi concedo un po' di meritato
riposo senza però perdere di vista un prossimo progetto che ho già in ponte. E'
un lavoro particolare in collaborazione con un artista australiano, già parzialmente
elaborato e provvisoriamente lasciato in sospeso in favore di impegni più immediati.
Il mio sarà un "lungo inverno caldo", come ogni anno……!
A chi vorresti dire "grazie"?
Nella vita le motivazioni per dire "grazie" sono sempre tante....Per la mia indole
di artista ringrazio mio padre, scomparso da un anno. Per la mia vita da "musicista
errante" ringrazio mia moglie che da 20 anni rappresenta la mia anima "stanziale",
ma anche la mia fan più accanita. Per il Jazz che mi scorre nelle vene da sempre,
ringrazio i miei amici musicisti senesi, in particolare Franco Caroni (presidente
di Siena Jazz) che è stato l'inizio di tutto. Per buona parte della mia carriera
artistica ringrazio Giorgio Gaber che ha creduto in me al punto di condividere
un percorso importantissimo durato 15 anni. Per Elba Jazz Contest,
ringrazio il Patron Paolo Boggi che, alla fine di un mio concerto, mi ha
avvicinato e mi ha detto: "tu sei la persona che fa per me"...un attestato
di fiducia incondizionata nato dalla sola musica...il riconoscimento più grande
a cui un artista possa aspirare. E, infine, ringrazio i critici musicali come te,
quelli umanamente sensibili e musicalmente colti con i quali, in questa occasione,
ho potuto instaurare un rapporto umano prezioso, finalmente lontano dalle "finzioni
sceniche".
Sito ufficiale di Luigi Campoccia:
http://www.luigicampoccia.it
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Data pubblicazione: 12/08/2008
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