Intervista a Lucio Ferrara
giugno 2011
di Alceste Ayroldi
Puglia, Bologna, Roma, New York, tutti luoghi che per te hanno avuto – oppure
hanno ancora - un ruolo particolare: a quale sei più legato?
A ogni luogo sono legato per diversi motivi. La Puglia è la mia regione, il posto
in cui sono nato e cresciuto. Mi sono trasferito a Bologna per studiare all'università
e lì mi sono formato musicalmente. Roma è la città dove vivo ora. New York è la
città dei miei sogni, ci vado almeno una volta all'anno e mi fermo per qualche mese.
Sei un autodidatta, però sei un docente e direttore di attività seminariali.
A distanza di tempo, quindi, ritieni che sia importante studiare jazz?
Quello che mi piace fare è dare il mio contributo a far crescere la conoscenza di
questa musica. In tutti i seminari in cui sono coinvolto ci sono docenti che sono
prima di tutto musicisti che sono in grado di entusiasmare gli studenti, che si
concentrano soprattutto sullo swing, l'interplay, il rispetto, l'importanza per
la tradizione e l'ascolto, indirizzandoli alla comprensione della musica jazz e
dei suoi esponenti. In questa direzione ritengo che sia importante studiare Jazz.
I tuoi esordi sono legati alla musica brasiliana: come è nata questa passione?
Oggi l'hai accantonata del tutto?
Oltre New York, Rio de Janeiro ha sempre avuto un influenza su di me, amo i compositori
brasiliani, da Jobim a Gismonti, amo lo choro fino al samba classico di
Paulinho
da Viola. Dopo un mio viaggio a Rio de Janerio mi sono allontanato un po' dal genere
dedicandomi completamente al jazz. Spero di registrare al più presto un CD con questo
repertorio.
Quando ti sei "innamorato" della musica jazz? Quale è stato il primo brano
che hai ascoltato?
Il primo brano che ho ascoltato e che mi ha segnato per sempre è stato "In Your
Own Sweet Way" suonato da Wes Montgomery. Poi c'è stato un vuoto, sai ho
vissuto in un paesino dove non era facile trovare appassionati e materiale da ascoltare,
fino a quando sono arrivato a Bologna dove ho cominciato ad ascoltare Miles e
Coltrane,
i dischi di Wes Montgomery con Shearing.
Chi sono i tuoi chitarristi di riferimento? E quale è l'artista con il quale
avresti voluto collaborare?
Ho ascoltato tutti i chitarristi, dai contemporanei ai grandi. Di Wes Montgomery
ho già parlato. In realtà non ascolto molti chitarristi. Quando ascolto la mia attenzione
è rivolta allo swing, sono più interessato alla musica che allo strumento. Mi piacerebbe
suonare con tanti musicisti, con qualche mio idolo ho già avuto la fortuna di suonare
come
Lee Konitz (si veda al proposito l'ultimo disco di Ferrara,
It's
All Right With Me, edito dalla Tuscia In Jazz Rec., di cui si parlerà in seguito).
Sei anche direttore dei seminari di Orsara Musica e direttore artistico del
festival e direttore dei seminari di Tuscia In Jazz e La Spezia. Vuoi parlarci di
queste esperienze, di queste attività?
I seminari di Orsara sono nati da una mia proposta con il sostegno fondamentale
di Orsara Musica che organizza il più longevo Festival in Puglia da ventitrè anni.
Dopo un primo anno come esperimento abbiamo deciso di proseguire e insieme ad
Antonio Ciacca
abbiamo portato musicisti come
Lee Konitz, Benny Golson,
Steve
Grossman ma anche Wes Anderson, Billy Harper e quest'anno
Bergonzi.
Siamo arrivati all'ottava edizione. Con Tuscia in Jazz e, da quest'anno, con
La
Spezia Jazz, di cui sono il direttore dei seminari, c'è un feeling particolare perché
l'atmosfera è simile a quella di Orsara; con il Direttore Artistico Italo Leali
siamo in perfetta sintonia a partire dalla scelta stilistica e artistica dei docenti
e dal modo in cui si fa didattica del jazz, come per esempio valorizzare giovani
talenti.
Nella tua vita artistica sembra aver avuto grande importanza il tuo incontro
con Antonio
Ciacca: vorresti parlarne?
Con Antonio siamo cresciuti musicalmente insieme, ascoltando la stessa musica e
abbiamo cominciato a suonare insieme vent'anni fa. C'è un interplay che si raggiunge
solo dopo anni. Antonio ha sempre creduto in me e mi ha sempre sostenuto e incoraggiato.
Appena c'è la possibilità suoniamo insieme con la sua band, anche perchè sono sempre
fantastiche. Antonio, tra le tante qualità, ha la capacità di far suonare la band
come pochi sanno fare, un po' come faceva il Grande Miles.
"It's All Right With Me" è il tuo ultimo lavoro discografico, con la partecipazione
di Lee Konitz. Come è nato questo connubio?
Lee Konitz è uno dei miei improvvisatori preferiti. Suona ad orecchio,
"rischiando" tutto quando improvvisa. Lo vado a trovare quasi ogni volta che vado
a New York. Abbiamo suonato insieme e quando eravamo a Sorrento per un concerto
gli chiesi: Lee come fai a non suonare mai un pattern o licks. E Lee mi rispose:
non suono licks semplicemente perché ho poca memoria, that's it!
Vista la tua eccellente esperienza di docente, come giudichi il livello di
preparazione dei giovani jazzisti?
La preparazione secondo me è ottima, il livello è altissimo. Forse però hanno troppa
fretta e saltano alcuni passaggi.
Quali consigli dai – o daresti – ad un giovane musicista?
Ascolto dei grandi maestri, studio, rispetto, umiltà e professionalità.
E, sempre in virtù della tua esperienza, quale giudizio dai all'attuale scena
jazzistica sia italiana, che europea e, di seguito, quella statunitense?
Come dicevo prima la preparazione è alta sia in Italia che in Usa, i musicisti americani
sono professionali, amano profondamente suonare, conoscono e rispettano la storia
del Jazz. I musicisti caricano contrabbassi e ampli nei metro, partono da Brooklyn
o dai Queens solo per farsi un paio di brani in jam. In Italia molti musicisti sono
troppo concentrati nel cercare di fare qualcosa di originale a tutti i costi dimenticando
che a volte basta fare poco e con swing per fare grande musica, però fortunatamente
ci sono degli ottimi musicisti. Mi piacerebbe che in Italia ci fosse più coraggio
a far suonare musicisti che non riempiono i teatri.
Chi sono, a tuo parere, i musicisti attualmente più
interessanti? E perché?
Ci sono tanti musicisti interessanti in Italia ed anche all'estero, e non tutti
sono conosciuti come dovrebbero. Molti talenti americani non arrivano in Italia.
Penso a Ryan Kisor o Bill Charlap o Joe Cohn. In Italia ci sono ottimi
musicisti,
Dado Moroni, Gianni Amato,
Andrea Pozza
con i quali ho avuto la fortuna di suonare occasionalmente;
Nicola Angelucci
e Luca Mannutza
che hanno suonato nel mio ultimo CD. Se ci guardiamo attorno credo, quindi, che
il Jazz oggi goda di ottima salute, Nel mio ultimo tour americano ho suonato con
musicisti molto "interessanti" come Lew Tabackin, Joe Magnarelli,
Rodney Green, Paul Gill, Joe Farnsworth e John Webber,
Andy Farber, Ben Wolfe, oltre ad
Antonio Ciacca
che è stato il collante e tanti altri talenti.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Intendo passare molto piu tempo a New York per sviluppare e apprendere sempre meglio
la vera natura del Jazz. Essere sempre più essenziale, diretto e non perdere l'amore
per questa musica con l'aiuto dei festival e dei club con l'augurio che si affidino
un po' di più alla qualità più che al successo della vendite di biglietti.
La tua attuale playlist…
Prelude to a Kiss di Strayhorn.
Canzoni come: I'll Be Seeing You o Who can I Turn To, Poor Butterfly.
Qualcosa di Monk non manca mai, Ligia di Jobim...originals...
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Data pubblicazione: 31/07/2011
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