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Intervista ad Antonio Ciacca
maggio 2011
di Marco Losavio

Video intervista di Viviana Falcioni
20 aprile 2011, Teatro Marchetti, Camerino (MC)

..::Recensione concerto dell'Antonio Ciacca Trio::..



riprese Maurizio Machella

Antonio, hai un ruolo di prestigio sicuramente ambìto da molti americani. Ci racconti il percorso che ti ha portato al JALC?
MI occupo di Jazz dal 1989 quando ho conosciuto Wynton al Festival Jazz di Bologna. Con Steve Grossman come insegnante il passo verso Monk, Parker, Powell è molto breve. L'amore per la musica afro americana mi ha portato ad apprezzare le altre musiche afro americane come il Gospel, il Blues. Questa conoscenza unita a una discreta esperienza di organizzatore e promotore di concerti di musica Jazz e Gospel mi hanno portato dove sono.

Quanto tempo ti porta via questo incarico? In cosa consiste esattamente?
Non lo so perchè non ci faccio caso. Durante la stagione da Settembre a Maggio, la maggior parte della giornata la passo a JALC, d'estate un po' meno ufficio e più on the road.

Ci dici i punti di forza del JALC?
Wynton prima di tutto con la sua determinazione e potenza di coalizzare gente importante attorno a questa istituzione., la big band fatta dai migliori Jazzisti oggi in circolazione e lo staff di gente preparata e seria nel proprio lavoro.

Tre aggettivi per descrivere Wynton Marsalis.
Visionario, tenace e appassionato.



Sei anche direttore artistico di molti festival e seminari. Ce ne vuoi parlare di quelli che ti vedranno coinvolti questa prossima estate?

Sono Direttore artistico di Italian Jazz Days che si tiene a New York ogni anno nella prima settimana di Ottobre in occasione del Columbus Day. In Italia partecipo a diversi seminari in qualità di insegnante di piano, arrangiamento e composizione Jazz. Orsara e Tuscia in maniera stabile e altri in maniera occasionale. Da quest'anno inizio a collaborare con L'Estate Musicale Frentana a Lanciano dove curo un seminario per Big Band Jazz. Da tanti anni collaboro come consulente al festival Jazz di Calagonone in Sardegna.

Sei l'ideatore ed organizzatore degli Italian Jazz Days, evento che offre a molti musicisti italiani la possibilità di esibirsi sui principali palcoscenici di New York. Una iniziativa decisamente lodevole. Da acuto talent scout quale tu sei, c'è qualcuno in particolare che, inserito in quel contesto, ti è sembrato pronto per il pubblico di New York?
Tutti i musicisti che si sono alternati nelle varie edizioni Emanuele Basentini, Lucio Ferrara, Paolo Recchia, Nicola Angelucci, Eugenio Macchia, sono più che pronti per suonare a New York. L'idea del festival è appunto quella di dare la possibilità ai migliori Jazzisti italiani di provare l'ebbrezza di suonare a New York accanto ai maestri Lovano, Garzone, DeFrancesco, Patitucci. Con la speranza che poi possano continuare da soli.

I giovani italiani li trovi mediamente preparati? In cosa sono validi e in cosa invece carenti?
Li trovo preparati sullo strumento ma poco preparati riguardo alla storia del Jazz e della musica americana in genere. Molti allievi dei miei seminari di Tuscia e Orsara vengono ammessi alla Berklee, Juilliard, New School e City College e quando arrivano qua scoprono che il piano jazz non comincia con Brad Meldhau. Per fortuna molti dei grandi maestri sono vivi e vegeti per cui stando qua si possono colmare certe lacune.

Parliamo un po' di te e della tua musica. Nella tua carriera artistica spiccano nomi di rilevo come Art Farmer, Lee Konitz, Johnny Griffin, Benny Golson, Steve Lacy…ci sarebbe sicuramente da raccontare qualcosa per ognuno di essi… chi ti porti dentro in qualche modo e per quale aspetto?
Tutti! Lee Konitz non solo perchè è stato il primo grande maestro con il quale ho suonato ma perché vado spesso a casa sua a studiare con lui. Art Farmer mi disse di studiare Ellington, Johnny Griffin mi fece capire l'importanza di essere un virtuoso del proprio strumento, per Benny Golson dovrei scrivere un libro su tutti gli insegnamenti nel business e nella scrittura che mi ha dato. Lacy mi ha fatto amare Monk ed Ellington fino alla follia. Mi ha fatto scoprire il Jazz pre Bop, New Orleans, i grandi pianisti Stride.

Ascoltando il tuo pianismo, la prima parola che viene in mente è…jazz. Ci racconti qualcosa sulle tue influenze, i tuoi riferimenti?
Ellington sopra tutti, poi i grandi jazzisti compositori Monk, Silver, Dameron, Oliver Nelson, Bud Powell. Adesso che mi sono concentrato sulla scrittura per big band sto scoprendo arrangiatori fantastici come Ernie Wilkins, John Kirby, Mary Lou Williams e Neal Hefti.

Siamo nel 2011, la musica si è globalizzata e molto della tradizione si è diluito, parcellato in mille rivoli confluiti in altrettante culture. Qual è, oggi, il valore della tradizione?
Per me la tradizione è il fondamento del futuro. Ci sono grandi musicisti in ogni epoca e io cerco di studiare la loro tecnica il loro concetto. Che sia Chick Corea o Beethoven per me è lo stesso mi interessa il processo compositivo. Benny Golson mi racconta che gli spunti melodici per le sue composizioni vengono da materiale classico, Verdi in particolare.

Parliamo un po’ del tuo ultimo album, Lagos Blues che vede la partecipazione di Steve Grossman, grande sassofonista residente a Bologna e che, tra l’altro, è stato tra i tuoi “iniziatori”. Cosa ha ispirato questo album?
Quando ancora abitavo in Italia andavo ogni anno a Lagos in Portogallo ad insegnare ai seminari estivi e partecipare al festival. Li ho scritto Lagos Blues e due anni fa dopo un po’ che suonavamo quel pezzo era venuto il momento di registrare. Caso volle che il tour aveva tre giorni off proprio a Bologna . E’ stato molto naturale per me chiamare il mio primo maestro ed invitarlo ad unirsi a noi.

Riguardo la tua musica, cosa rappresenta e come si colloca Lagos Blues?
I miei dischi sono sempre la testimonianza del periodo musicale che sto attraversando. Quell’estate ero in tour con il quartetto e quella musica è ciò che suonavamo. Il mese scorso ho appena concluso un tour in trio con Doug Weiss e Francisco Mela e abbiamo registrato l’ultimo giorno del tour. Il live uscirà in autunno. Adesso sto provando la Orsara Suite per il Settetto degli insegnanti di Orsara che registreremo ad Agosto.

Ci parli della formazione? Due tenori.
Steve è un patito delle registrazioni di Griffin e Lockjaw Davis, o Stitt e Dexter Gordon. Gli è sempre piaciuto quell’atmosfera di Sax Battle che ha origini lontane cioè nell’orchestra di Basie degli anni 40 dove i due tenori erano Hershel Evans e Lester Young. Quindi è stato entusiasta di partecipare.

In "Whims of Chambers" sei in duo col contrabbasso di Nakamura. Un omaggio a Paul Chambers. Come mai un omaggio ad un contrabbassista?
Io ho una passione per gli eroi silenziosi. Oggi ho un po' la nausea dei Jazzisti che parlano più che suonare o scrivere. Il brano di Chambers è uno dei preferiti di Steve e questo ha anche influito sulla scelta.

E’ una personale sensazione, ma quando esegui qualcosa di Ellington, è come se ponessi un rigore maggiore alla dinamica, all’armonia, agli accenti. Non so, potrei sbagliarmi, ma è come se scattasse un senso di rispetto particolare.
Ellington è un compositore pianista che richiede un impegno diverso dal suonare "Confirmation" di Parker. I pezzi di Ellington sono scritti o trascritti da cima a fondo non come un comune standard da real book. Io studio molto il pianismo di Ellington come progenitore del pianismo di Monk cioé del vero suono del piano Jazz.

Hai anche registrato un album con la Jazz Heritage Orchestra della Cleveland University, "Bouncing with Benny", ma non lo vediamo nella tua discografia. E’ stato pubblicato?
Il disco dovrebbe uscire a giugno. Ha avuto una gestazione difficile perché il mio produttore Todd Barkan ha avuto un incidente stradale ed è stato indisponibile per molto tempo. E' il mio primo CD di mie composizioni per Big Band accanto al mio eroe Benny. Nella band ci sono grandi musicisti ex Basie, ex Thad Jones,  Mel Lewis e il mio boss alla Juilliard, Carl Allen alla batteria.

Trio, quartet, quintet, orchestra. Si evince un’esigenza espressiva molto ampia. In questo momento su cosa sei maggiormente orientato?
Big Band e piano trio per via del mio ingaggio al Setai Hotel. La composizione sta prendendo decisamente il sopravvento sull’attività concertistica. Al funerale di Hank Jones, Stanley Crouch ha detto una cosa bellissima di Hank: "Il trionfo della qualità". Io voglio conquistare il pubblico con la mia musica e nient’altro.

Hai un evento in particolare che ritieni sia stato maggiormente determinante nelle tue scelte artistiche e professionali?
Bologna Jazz Festival 1989: Wynton Marsalis Septet e La trasmissione Televisiva di Rai Due D.O.C. di Arbore e Telesforo.

Antonio, tu stai facendo moltissimo come ambasciatore. Sei lì, nel cuore della musica jazz e porti tutto quello che hai a disposizione all’interno di ogni iniziativa nella quale sei coinvolto, senza "preziosismi" da parte tua. Hai invece trovato "freni" o ritrosie, più in generale, difficoltà?
Ho trovato moltissimi freni in Italia , ma nessuno qui. Anzi ho più opportunità di quelle che riesco a gestire.

Cosa deve cambiare in Italia per poter crescere di più nell’ambito della musica jazz?
L’etica professionale degli organizzatori troppo spesso degli appassionati senza una vera formazione professionale, l’attitudine dei musicisti a lamentarsi di meno e a creare di più il proprio lavoro, la conoscenza del Jazz in generale da parte del pubblico che dipende troppo dalla stampa "specializzata" ed infine da parte della stampa una maggiore attenzione sui veri maestri del Jazz.

Insieme a tua moglie, hai anche la Twins Music Enterprise. Ci vuoi dire qualcosa?
La Twins Music è la sorella americana di della C-Jam italiana. A differenza di quella italiana però, non e’ un associazione culturale ma una corporation che si occupa del mio management, publishing e booking. Occasionalmente fa consulenze per Jazz festivals, e produce tours miei e di gruppi gospel. Non fa artist management.

Ora qualche curiosità su New York. E’ stato facile adattarsi? Parlo anche dal punto di vista burocratico, l’inserimento della famiglia, i figli, che sono 5! Sappiamo tutti, tra l’altro, dei costi altissimi, ma magari si riesce ad ovviare….
Lo shock culturale è stato forte sopratutto venendo da un paesino dell’appennino bolognese, Vergato. Le abitudini alimentari, lo spazio, i ritmi di una città enorme. Abbiamo cambiato tre appartamenti prima di comprare la nostra casa tipica americana nel verde con giardino, garage, e tanto spazio. Adesso siamo felici. L’iniziale working visa è diventata Green Card dopo tre anni. L’assicurazione sulla salute, le scuole, la patente americana...se metti tutto insieme non è una passeggiata...

Be', ma si può fare, però. Se quindi dovessi dare dei consigli ad un musicista che si vuole trasferire a New York, che percorso gli suggeriresti?
Studiare il Jazz, studiare il business (che nel mondo anglosassone è molto diverso da quello latino) studiare l’inglese e venire qua preparati a lavorare molto, essere propositivi, attivi, positivi e niente lamentele. Sopratutto venire qua con delle idee, della musica, degli arrangiamenti, dei progetti e dell’entusiasmo.

E se invece arrivassi a New York dove mi porteresti ad ascoltare Jazz?
Prima di tutto al Setai Hotel dove suono tutte le sere, poi allo Smoke dove suona il grande Johnny O’Neal e poi alle Jam dello Smalls.

E a mangiare?
Eataly sulla Quinta e 23esima, Brio sulla Lexington e 61, Salumeria Rosi sulla Amsterdam e 73.

Bene, allora la prossima volta ti chiamo, facciamo 50/50 ;-) Vuoi lasciare un saluto ai lettori di Jazzitalia?
Più che un saluto un invito a venire a New York ad Italian Jazz Days dal 1 al 10 Ottobre 2011, oppure a Tuscia In Jazz l’ultima settimana di luglio o Orsara Jazz la prima di agosto per la prima mondiale della mia Orsara Suite con Jerry Bergonzi, Lucio Ferrara, Jim Rotondi, Mark Sherman, John Webber e Joe Farnsworth. Ah! Dimenticavo: se cercate un posto per dormire a New York: Setai Hotel Quinta Avenue e 36esima con jazz tutte le sere.







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Data pubblicazione: 12/06/2011

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