Antonio, hai un ruolo di prestigio sicuramente ambìto
da molti americani. Ci racconti il percorso che ti ha portato al JALC? MI occupo di Jazz dal 1989 quando
ho conosciuto Wynton al Festival Jazz di Bologna. Con
Steve
Grossman come insegnante il passo verso Monk, Parker,
Powell è molto breve. L'amore per la musica afro americana mi ha portato
ad apprezzare le altre musiche afro americane come il Gospel, il Blues. Questa conoscenza
unita a una discreta esperienza di organizzatore e promotore di concerti di musica
Jazz e Gospel mi hanno portato dove sono.
Quanto tempo ti porta via questo incarico? In cosa consiste
esattamente?
Non lo so perchè non ci faccio caso. Durante la stagione da Settembre a Maggio,
la maggior parte della giornata la passo a JALC, d'estate un po' meno ufficio e
più on the road.
Ci dici i punti di forza del JALC?
Wynton prima di tutto con la sua determinazione e potenza di coalizzare gente importante
attorno a questa istituzione., la big band fatta dai migliori Jazzisti oggi in circolazione
e lo staff di gente preparata e seria nel proprio lavoro.
Tre aggettivi per descrivere Wynton Marsalis.
Visionario, tenace e appassionato.
Sei anche direttore artistico
di molti festival e seminari. Ce ne vuoi parlare di quelli che ti vedranno coinvolti
questa prossima estate?
Sono Direttore artistico di Italian Jazz Days che si tiene a New York ogni
anno nella prima settimana di Ottobre in occasione del Columbus Day. In Italia partecipo
a diversi seminari in qualità di insegnante di piano, arrangiamento e composizione
Jazz. Orsara e Tuscia in maniera stabile e altri in maniera occasionale.
Da quest'anno inizio a collaborare con L'Estate Musicale Frentana a Lanciano dove
curo un seminario per Big Band Jazz. Da tanti anni collaboro come consulente al
festival Jazz di Calagonone in Sardegna.
Sei l'ideatore ed organizzatore degli Italian Jazz Days,
evento che offre a molti musicisti italiani la possibilità di esibirsi sui principali
palcoscenici di New York. Una iniziativa decisamente lodevole. Da acuto talent scout
quale tu sei, c'è qualcuno in particolare che, inserito in quel contesto, ti è sembrato
pronto per il pubblico di New York?
Tutti i musicisti che si sono alternati nelle varie edizioni Emanuele Basentini,
Lucio Ferrara, Paolo Recchia,
Nicola Angelucci,
Eugenio Macchia, sono più che pronti per suonare a New York. L'idea del festival
è appunto quella di dare la possibilità ai migliori Jazzisti italiani di provare
l'ebbrezza di suonare a New York accanto ai maestri Lovano, Garzone,
DeFrancesco, Patitucci. Con la speranza che poi possano continuare
da soli.
I giovani italiani li trovi mediamente preparati? In
cosa sono validi e in cosa invece carenti?
Li trovo preparati sullo strumento ma poco preparati riguardo alla storia del Jazz
e della musica americana in genere. Molti allievi dei miei seminari di Tuscia e
Orsara vengono ammessi alla Berklee, Juilliard, New School e City College e quando
arrivano qua scoprono che il piano jazz non comincia con Brad Meldhau. Per
fortuna molti dei grandi maestri sono vivi e vegeti per cui stando qua si possono
colmare certe lacune.
Parliamo un po' di te e della tua musica. Nella tua
carriera artistica spiccano nomi di rilevo come Art Farmer, Lee Konitz, Johnny Griffin, Benny Golson, Steve Lacy…ci
sarebbe sicuramente da raccontare qualcosa per ognuno di essi… chi ti porti dentro
in qualche modo e per quale aspetto? Tutti!
Lee Konitz non solo perchè è stato il primo grande maestro con
il quale ho suonato ma perché vado spesso a casa sua a studiare con lui. Art
Farmer mi disse di studiare Ellington, Johnny Griffin mi fece capire
l'importanza di essere un virtuoso del proprio strumento, per Benny Golson
dovrei scrivere un libro su tutti gli insegnamenti nel business e nella scrittura
che mi ha dato. Lacy mi ha fatto amare Monk ed Ellington fino alla follia.
Mi ha fatto scoprire il Jazz pre Bop, New Orleans, i grandi pianisti Stride.
Ascoltando il tuo pianismo, la prima parola che viene
in mente è…jazz. Ci racconti qualcosa sulle tue influenze, i tuoi riferimenti? Ellington sopra tutti, poi i grandi jazzisti compositori Monk,
Silver, Dameron, Oliver Nelson,
Bud Powell.
Adesso che mi sono concentrato sulla scrittura per big band sto scoprendo arrangiatori
fantastici come Ernie Wilkins, John Kirby, Mary Lou Williams
e Neal Hefti.
Siamo nel 2011, la musica si è globalizzata e molto
della tradizione si è diluito, parcellato in mille rivoli confluiti in altrettante
culture. Qual è, oggi, il valore della tradizione?
Per me la tradizione è il fondamento del futuro. Ci sono grandi musicisti in ogni
epoca e io cerco di studiare la loro tecnica il loro concetto. Che sia Chick
Corea o Beethoven per me è lo stesso mi interessa il processo compositivo.
Benny Golson mi racconta che gli spunti melodici per le sue composizioni
vengono da materiale classico, Verdi in particolare.
Parliamo un po’ del tuo ultimo album, Lagos Blues
che vede la partecipazione di Steve Grossman, grande sassofonista residente a Bologna
e che, tra l’altro, è stato tra i tuoi “iniziatori”. Cosa ha ispirato questo album?
Quando ancora abitavo in Italia andavo ogni anno a Lagos in Portogallo ad insegnare
ai seminari estivi e partecipare al festival. Li ho scritto Lagos Blues e due anni
fa dopo un po’ che suonavamo quel pezzo era venuto il momento di registrare. Caso
volle che il tour aveva tre giorni off proprio a Bologna . E’ stato molto naturale
per me chiamare il mio primo maestro ed invitarlo ad unirsi a noi.
Riguardo la tua musica, cosa rappresenta e come si colloca
Lagos Blues?
I miei dischi sono sempre la testimonianza del periodo musicale che sto attraversando.
Quell’estate ero in tour con il quartetto e quella musica è ciò che suonavamo. Il
mese scorso ho appena concluso un tour in trio con Doug Weiss e Francisco
Mela e abbiamo registrato l’ultimo giorno del tour. Il live uscirà in autunno.
Adesso sto provando la Orsara Suite per il Settetto degli insegnanti di Orsara
che registreremo ad Agosto.
Ci parli della formazione? Due tenori.
Steve è un patito delle registrazioni di Griffin e Lockjaw Davis,
o Stitt e Dexter Gordon. Gli è sempre piaciuto quell’atmosfera di
Sax Battle che ha origini lontane cioè nell’orchestra di Basie degli anni
40 dove i due tenori erano Hershel Evans e Lester Young. Quindi è
stato entusiasta di partecipare.
In "Whims of Chambers" sei in duo col contrabbasso di Nakamura.
Un omaggio a Paul Chambers. Come mai un omaggio ad un contrabbassista?
Io ho una passione per gli eroi silenziosi. Oggi ho un po' la nausea dei Jazzisti
che parlano più che suonare o scrivere. Il brano di Chambers è uno dei preferiti
di Steve e questo ha anche influito sulla scelta.
E’ una personale sensazione, ma quando esegui qualcosa
di Ellington, è come se ponessi un rigore maggiore alla dinamica, all’armonia, agli
accenti. Non so, potrei sbagliarmi, ma è come se scattasse un senso di rispetto
particolare. Ellington è un compositore pianista che richiede un impegno diverso dal suonare
"Confirmation" di Parker. I pezzi di Ellington sono scritti
o trascritti da cima a fondo non come un comune standard da real book. Io studio
molto il pianismo di Ellington come progenitore del pianismo di Monk cioé
del vero suono del piano Jazz.
Hai anche registrato un album con la Jazz Heritage Orchestra
della Cleveland University, "Bouncing with Benny", ma non lo vediamo nella tua discografia.
E’ stato pubblicato?
Il disco dovrebbe uscire a giugno. Ha avuto una gestazione difficile perché il mio
produttore Todd Barkan ha avuto un incidente stradale ed è stato indisponibile
per molto tempo. E' il mio primo CD di mie composizioni per Big Band accanto al
mio eroe Benny. Nella band ci sono grandi musicisti ex Basie, ex Thad Jones,
Mel Lewis e il mio boss alla Juilliard, Carl Allen alla batteria.
Trio, quartet, quintet, orchestra. Si evince un’esigenza
espressiva molto ampia. In questo momento su cosa sei maggiormente orientato?
Big Band e piano trio per via del mio ingaggio al Setai Hotel.
La composizione sta prendendo decisamente il sopravvento sull’attività concertistica.
Al funerale di Hank Jones, Stanley Crouch ha detto una cosa bellissima
di Hank: "Il trionfo della qualità". Io voglio conquistare il pubblico con
la mia musica e nient’altro.
Hai un evento in particolare che ritieni sia stato maggiormente
determinante nelle tue scelte artistiche e professionali?
Bologna Jazz Festival 1989: Wynton Marsalis Septet e La trasmissione Televisiva
di Rai Due D.O.C. di Arbore e Telesforo.
Antonio, tu stai facendo moltissimo come ambasciatore.
Sei lì, nel cuore della musica jazz e porti tutto quello che hai a disposizione
all’interno di ogni iniziativa nella quale sei coinvolto, senza "preziosismi" da
parte tua. Hai invece trovato "freni" o ritrosie, più in generale, difficoltà?
Ho trovato moltissimi freni in Italia , ma nessuno qui. Anzi ho più opportunità
di quelle che riesco a gestire.
Cosa deve cambiare in Italia per poter crescere di più
nell’ambito della musica jazz?
L’etica professionale degli organizzatori troppo spesso degli appassionati senza
una vera formazione professionale, l’attitudine dei musicisti a lamentarsi di meno
e a creare di più il proprio lavoro, la conoscenza del Jazz in generale da parte
del pubblico che dipende troppo dalla stampa "specializzata" ed infine da parte
della stampa una maggiore attenzione sui veri maestri del Jazz.
Insieme a tua moglie, hai anche la Twins Music Enterprise.
Ci vuoi dire qualcosa?
La Twins Music è la sorella americana di della C-Jam italiana. A differenza di quella
italiana però, non e’ un associazione culturale ma una corporation che si occupa
del mio management, publishing e booking. Occasionalmente fa consulenze per Jazz
festivals, e produce tours miei e di gruppi gospel. Non fa artist management.
Ora qualche curiosità su New York. E’ stato facile adattarsi?
Parlo anche dal punto di vista burocratico, l’inserimento della famiglia, i figli,
che sono 5! Sappiamo tutti, tra l’altro, dei costi altissimi, ma magari si riesce
ad ovviare….
Lo shock culturale è stato forte sopratutto venendo da un paesino dell’appennino
bolognese, Vergato. Le abitudini alimentari, lo spazio, i ritmi di una città enorme.
Abbiamo cambiato tre appartamenti prima di comprare la nostra casa tipica americana
nel verde con giardino, garage, e tanto spazio. Adesso siamo felici. L’iniziale
working visa è diventata Green Card dopo tre anni. L’assicurazione sulla salute,
le scuole, la patente americana...se metti tutto insieme non è una passeggiata...
Be', ma si può fare, però. Se quindi dovessi dare dei consigli
ad un musicista che si vuole trasferire a New York, che percorso gli suggeriresti?
Studiare il Jazz, studiare il business (che nel mondo anglosassone è molto diverso
da quello latino) studiare l’inglese e venire qua preparati a lavorare molto, essere
propositivi, attivi, positivi e niente lamentele. Sopratutto venire qua con delle
idee, della musica, degli arrangiamenti, dei progetti e dell’entusiasmo.
E se invece arrivassi a New York dove mi porteresti ad
ascoltare Jazz?
Prima di tutto al Setai Hotel
dove suono tutte le sere, poi allo Smoke dove suona il grande Johnny O’Neal e poi alle Jam dello
Smalls.
E a mangiare? Eataly sulla Quinta
e 23esima, Brio
sulla Lexington e 61, Salumeria
Rosi sulla Amsterdam e 73.
Bene, allora la prossima volta ti chiamo, facciamo 50/50
;-) Vuoi lasciare un saluto ai lettori di Jazzitalia?
Più che un saluto un invito a venire a New York ad Italian Jazz Days dal
1 al 10 Ottobre 2011, oppure a Tuscia In Jazz l’ultima settimana di luglio
o Orsara Jazz la prima di agosto per la prima mondiale della mia Orsara
Suite con Jerry Bergonzi, Lucio Ferrara, Jim Rotondi,
Mark Sherman, John Webber e Joe Farnsworth. Ah! Dimenticavo:
se cercate un posto per dormire a New York: Setai Hotel Quinta
Avenue e 36esima con jazz tutte le sere.