Musica per Roma in collaborazione con Rai Radio 3
Roma, Auditorium Parco della Musica 4-5-6 aprile 2004, SALA SETTECENTO
New
York Is
Now!
di Dario Gentili
foto di Daniele Molajoli
«Lo spirito è letteralmente respiro: inspirare, espirare. Aspirare
riguarda, invece, la direzione e la meta, come nel caso dell'elevazione della chiesa.
Niente respiro, niente vita. Il tamburo che riproduce il primo strumento umano e
il Sole che si riproduce dentro di noi presentano la vita. Notte e giorno: il beat.
Dentro e fuori: il respiro. Arrivo e partenza: il tutto. Il Battito, il flusso,
l'elemento ritmico.».
Queste suggestioni dello scrittore e poeta
Amiri Baraka, tratte
da Il Popolo del Blues (Shake Edizioni
Underground), rappresentano esemplarmente lo spirito che ha animato i tre giorni
del festival New
York is now! presso la Sala Settecento dell'Auditorium di Roma. Per
rendere la dimensione e l'importanza dell'evento, prima di tutto un po' di numeri:
diciotto musicisti, nove formazioni, tre diversi concerti a serata, un totale di
nove ore di musica.
Eppure
i numeri non possono rendere il rischio della scommessa che
New York is now!
ha rappresentato per gli organizzatori Musica per Roma e Radio3 Rai
(che ha trasmesso in diretta l'intero festival): già il nome del festival,
New York is now!,
preso in prestito dal titolo di un celebre album di
Ornette
Coleman del 1968, indica che i protagonisti
del festival sono quanto di meglio offre la scena newyorchese d'avanguardia, sono
i musicisti più apprezzati e innovativi del jazz contemporaneo, che circuitano quasi
tutti intorno alla collana Blue series della giovane e intraprendente etichetta
discografica Thirsty
Ear, ma non disdegnano di registrare anche per altre piccole e spregiudicate
etichette tra cui non ultima l'italiana Splasc(H). Tutti eredi legittimi
del free jazz di
Ornette
Coleman e di altri maestri dell'espressione più radicale della musica
improvvisata afroamericana, da Archie Shepp ad Albert Ayler, da
Sun Ra a Cecil Taylor, da Don Cherry a Roscoe Mitchell
e altri ancora. Musica, dunque, certamente non di facile fruizione per orecchie
inesperte o, forse sarebbe il caso di dire, fin troppo esperte e allenate. Ci spieghiamo:
come illustra la citazione di Baraka,
il free tende a scardinare ogni costruzione, struttura e armonia che ingabbia
il beat (battito), per liberarlo come immediata espressione ritmica; il
free è sì rottura e avanguardia, ma anche ritorno alla radice stessa della
musica afroamericana, il ritmo. Il jazz è soprattutto ritmo, è la musica in cui
trova espressione, senza discriminazione alcuna, tutto ciò che "batte".
A
inaugurare New York
is now! è il Trio formato dai tre musicisti più noti e rappresentativi
del movimento del nuovo jazz – con le formazioni a loro nome infatti coprono quasi
l'intero programma – qui riuniti per rendere un omaggio al grande assente del festival,
il sassofonista David S. Ware: il pianista (nonché direttore artistico della
Blue series) Matthew Shipp,
il
bassista William Parker e il batterista Guillermo E. Brown. A Roma
presentano una originale versione per trio, senza l'ingombrante presenza del sassofono,
delle composizioni di Ware, con il quale formano, a detta dello stesso Parker, "uno
dei migliori quartetti mai esistiti nella storia della musica". Pur astenendoci
dall'entrare nel merito del categorico giudizio di Parker, effettivamente non è
possibile non restare impressionati dall'equilibrio e la sincronia che il Trio riesce
a creare tra la potenza e la vitalità della sezione ritmica di Parker e Brown e
lo spiccato senso dell'armonia, se non proprio della melodia, di Shipp. Melodie
struggenti scaturiscono da un tessuto ritmico energico o intenso, come in
Godspelized o
Manu's Ideal. Quasi in contemporanea con l'esibizione romana, la
Splasc(H) ha pubblicato The Trio plays Ware,
che fortunatamente rende disponibile a tutti l'omaggio del trio a Ware ascoltato
al festival.
Il secondo concerto della prima serata ha per protagonisti Daniel
Carter e Sabir Mateen e ben rispecchia il carattere che in ognuna delle
tre serate assumerà la seconda esibizione: coerentemente con l'estrazione free
dei musicisti, i quaranta minuti che separano i due concerti più attesi di ogni
serata vogliono evidenziare quell'aspetto di costante e creativo laboratorio che
è la musica improvvisata e, di certo, rappresentano anche la prova più difficile
per chi non ha dimestichezza con la modalità espressiva del free o delle
avanguardie in genere. Carter e Mateen, che in seguito torneranno sul palco in veste
di sassofonisti, si alternano, oltre che al sassofono, al clarinetto, al flauto,
al piano, alla batteria e alla voce e si scambiano senza soluzione di continuità
parte solista e parte ritmica, dando così espressione a quella che è una pura improvvisazione
senza schema e programma alcuno.
Non
tutto il pubblico ha retto fino in fondo all'esibizione di Carter e Mateen, ma di
certo tutti avranno potuto apprezzare in pieno quel concentrato di musica afroamericana,
di tradizione "nera", che è stato il concerto del William Parker Quartet:
non semplicemente jazz, bensì tutto ciò che di propriamente "nero" il jazz porta
dentro, dal blues al gospel al soul al r&b, il tutto impreziosito dalla splendida
voce di Leena Conquest. Sarà anche perché il volume del contrabbasso è più
alto del normale, ma la ritmica di Parker è comunque straordinariamente vigorosa,
cupa e profonda come solo quella di Mingus sapeva essere;
anche
stavolta, pur essendo cambiato il batterista, un altrettanto straordinario Hamid
Drake, la sezione ritmica è impressionante. In questo concerto il free
è relegato a qualche breve ma intenso sprazzo, i brani sono molto costruiti, non
soltanto per la presenza di una voce. Il momento di improvvisazione più libera è
consegnato al bis, in cui infatti la Conquest non canta, ma anche lei improvvisa
una danza dalle movenze rituali.
La seconda serata inizia con l'esibizione del Trio di Craig Taborn,
un giovane pianista di cui (speriamo) sentiremo ancora parlare. Le atmosfere di
Taborn sono assolutamente originali, talmente la sonorità dei suoi brani è un denso
e torbido amalgama di melodia, ritmo e rumore che il suo si potrebbe definire un
dark jazz. Anche per questa seconda serata, la scelta del festival di non
voler ipocritamente lusingare il pubblico emerge con la seconda esibizione in programma.
Tuttavia, stavolta il concerto di Rob Brown e Gerald Cleaver concede
almeno che i due musicisti suonino sempre lo stesso strumento (Brown il sax alto
e Cleaver la batteria) e intensi sprazzi di melodia.
Craig Taborn Trio
Il terzo concerto della serata rappresenta uno dei momenti più attesi
dell'intero festival: il progetto Nu Bop di Matthew Shipp con Parker
al contrabbasso, Brown alla batteria e Carter al sax e alla tromba
e, naturalmente, Shipp al piano.
Chi
avesse voluto intravedere il futuro del jazz, avrebbe dovuto assistere a questo
concerto: una combinazione suggestiva e sconcertante, un miracoloso equilibrio (non
a caso
Equilibrium
è il titolo di un recente lavoro di Shipp) tra la solita, incisiva sezione
ritmica di Parker e Brown, gli interventi in pieno stile free di Carter,
le ossessive e magnetiche melodie e ritmiche di Shipp e le campionature elettroniche.
Seppur basandosi su una tecnica estremamente raffinata, il Quartetto di Shipp riesce
con stupefacente naturalezza a costruire le proprie sonorità portando il ritmo alla
pura radice del battito, del beat, sia questo acustico o elettronico.
A iniziare la terza e ultima serata di
New York is now!
è il solo piano di un musicista che all'avanguardia è almeno da trent'anni: Dave
Burrell. Burrell ha presentato brani del suo repertorio (Revolutions),
un omaggio a Coltrane e standards, in cui ogni esecuzione riportava chiara
la sua personale impronta interpretativa, fatta di eloquente espressività, che non
disdegna affatto la citazione melodica, e di pura improvvisazione. Per l'ultima
serata, il secondo concerto questa volta non è affidato a un'esibizione estemporanea
e occasionale,
ma
al gruppo di recente formazione The Beat Kids di Guillermo E. Brown.
A
proposito dei The Beat Kids forse non si può parlare propriamente di jazz
per quanto vi predomini l'elettronica con i suoi tempi trip-hop e jungle
e per quanto il cantato sia stile rap, ma già la presenza del termine
beat nel nome del gruppo può ormai far capire come non siano affatto fuori luogo
in questo festival. Infatti, gli unici strumenti non propriamente ritmici sono il
vibrafono e il flauto suonati entrambi da Yusuke Yamamoto, ma la loro incisività
è così secondaria rispetto all'elettronica, alla batteria, alle percussioni e al
contrabbasso che l'utilizzo del termine beat per denominare il gruppo si
giustifica pienamente.
Il concerto che conclude
New York is now!
è un vero e proprio evento, un happening che raccoglie sul palco ben otto
musicisti, uniti dal progetto di William Parker dedicato al compositore e
musicista Curtis Mayfield, The Inside Songs of Curtis
Mayfield. Al Quartetto di Parker e alla cantante Leena Conquest
si uniscono infatti Dave Burrell al piano, Sabir Mateen e Darryl
Foster alle ance e un vitalissimo
Amiri Baraka, lo scrittore
e poeta del Blues, che improvvisa versi e parole. Trattandosi di un omaggio a Mayfield,
i brani presentati non possono che avere la forma della canzone soul, ma, pur essendo
l'impronta musicale di Parker chiaramente percepibile, si tende a far emergere soprattutto
il carattere di rivendicazione sociale e politica della musica afroamericana; ma
la voce e la danza della Conquest e l'incontenibile vivacità dei versi e delle movenze
del vecchietto Baraka sono anche una pura gioia per gli occhi e le orecchie. Con
la visibile tentazione da parte del pubblico di unirsi alla festa di The Inside
Songs of Curtis Mayfield si conclude
New York is now!,
che ha ancora in coda un ultimo, lungo e meritatissimo tripudio di applausi a tutti
i musicisti che vi hanno partecipato, presenti insieme sul palco a salutare il pubblico,
che ha apprezzato la loro musica forse al di là di ogni aspettativa, per un – si
spera – arrivederci a una seconda edizione del festival.
The Inside Songs of Curtis Mayfield
4 Aprile
The Trio Plays The Music Of David S. Ware
Matthew Shipp (pianoforte), William Parker (contrabbasso), Guillermo
E. Brown (batteria)
Daniel Carter / Sabir Mateen duo
Daniel Carter (ance), Sabir Mateen (ance)
William Parker Quartet featuring Leena Conquest
William Parker (contrabbasso), Rob Brown (sax alto), Lewis Barnes (tromba),
Hamid Drake (batteria), Leena Conquest (voce)
5 Aprile
Craig Taborn Trio
Craig Taborn (pianoforte), Drew Gress (contrabbasso), Gerald Cleaver
(batteria)
Rob Brown /Gerald Cleaver duo
Rob Brown (sax alto), Gerald Cleaver (batteria)
Matthew Shipp Nu Bop
Matthew Shipp (pianoforte), Daniel Carter (ance), William Parker (contrabbasso)
Guillermo E. Brown (batteria)
6 Aprile
Dave Burrell solo piano
The Beat Kids
Latasha Natasha Diggs (voce), Yusuke Yamamoto (flauto, melodica), Keith
Witty (basso),
Guillermo E. Brown (batteria)
William Parker Inside Song of Curtis Mayfield
William Parker (contrabbasso), Sabir Mateen (ance), Darryl Foster (ance),
Lewis Barnes (tromba),
Dave Burrell (pianoforte), Leena Conquest (voce), Amiri Baraka (recitazione),
Hamid Drake (batteria)
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Data pubblicazione: 03/07/2004
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