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Intervista con Valentina Marino
novembre 2018
di Marco Losavio

In procinto di pubblicare un nuovo album "East 75th", Valetina Marino, jazz singer italiana residente a New York, ci racconta del suo percorso e su cosa oggi è focalizzata la sua musica.

Come nasce la tua vocazione per il jazz e la musica in genere?
Alla fine degli anni '80 c'era una trasmissione radio che apriva con "Take 5" di Dave Brubeck. Alle 7 del mattino aprivo gli occhi, volavo in bagno e mio papà fischiettava quella sigla di apertura mentre si faceva la barba. Così ogni mattina per molti anni a venire. Poi il tuffo più profondo nel jazz da adolescente. Trovai un vinile nella collezione dei miei: Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald in duo e fu amore al primo ascolto. La mia passione per I film di Woody Allen poi, Che iniziai a vedere in terza media, ha marcato l'ingresso senza uscita nel tunnel del jazz. Le colonne sonore di Woody, quella Annie Ross che canta "Twisted" ad apertura di "Deconstructing Harry", il suo clarinetto al Carlyle Hotel sulla Upper East Side di Manhattan… Non poteva accadere diversamente. A 12 anni ero già completamente una jazz Addict. Quanto alla musica in genere, ho iniziato a cantare da piccoletta. Mi piaceva in particolare registrarmi. Su quei registratori a cassetta col bottone rosso per recording e quello bianco per riascoltarmi - non so quante miriadi di volte li avrò pigiati. I miei genitori si divertivano a farmi incidere "La cicala e la formica" e una serie infinita di canti popolari. Da bambina mi piaceva comporre canzoncine. Mi accompagnavo col flauto e il piano e presentavo le mie composizioni alle recite scolastiche. Cantavo in un gruppo alle medie, messo su e diretto dalla mia insegnante di inglese. Ricordo ancora la recita di Natale quando cantammo "New York New York" con le mie compagnette Chiara e Giorgia…Era già deciso allora che sarei finita a vivere nella Big Apple :-)



Come è maturata quindi la decisione di andare a vivere a New York?

Ho studiato legge a Roma. In quella che chiamo la mia precedente vita e la mia precedente identità. Profondamente scontenta e a disagio dentro una pelle che non mi apparteneva ma che cercavo di tollerare per non creare scompigli in famiglia, mi iscrissi al corso di jazz de l' Università della Musica di via Libetta. Pensavo che sarei riuscita a portare avanti I due percorsi parallelamente ma non fu così. Con un codice civile in una mano e lo spartito di "Be bop lives" nell'altra, decisi di interrompere la frequenza alla UM e sostenere l'esame di avvocato. La febbre jazz però era stata solo tamponata. Una mattina mi alzai e dissi basta. Non volevo più lavorare in un ufficio legale di giorno e cantare nei baretti la notte. Armi e bagagli, ho dato le dimissioni, mi sono trasferita a Vienna dove misi su il mio jazz trio, conobbi la mia voice coach di New York Heidi Eiselberg la quale presto mi disse: devi trasferirti a New York e incidere il tuo primo album li. E così fu. Non senza prendere prima la mia laurea in jazz però.  Avevo fatto l' errore di interrompere gli studi alla UM prima. Non lo avrei ripetuto. Ho conseguito così la mia laurea in vocal jazz performance alla new school for jazz and contemporary music di Manhattan, avendo la fortuna di avere tra I miei mentors Reggie Workman, Richard Harper. Janet Lawson ed Amy London. Uscita dalla università ho conosciuto il mitico Cameron Brown che ha prodotto il mio primo jazz record pubblicato a New York per conto della Jazzheads nel 2016.


Valetina Marino con Cameron Brown

Nel tuo ultimo album è evidente un allargamento degli orizzonti musicali. Qual è o quali sono le trame principali che ti hanno ispirato?
L'ultimo album è dedicato al mio appartamento sulla 75sima strada. Il nido che da 8 anni protegge, inspira e nutre la mia musica. In questo nido non ci sono confini musicali, non ci sono limiti, non ci sono categorizzazioni. La musica fluisce liquida e il jazz ci nuota dentro o esce per stendersi un po' al sole mentre altre sonorità e altre ispirazioni nuotano. Poi ritorna.

Vuoi dirci anche dell'uso piuttosto "totale" della voce?
La voce è uno strumento. Se potessi mutuare la mia la vorrei trasformare in un tamburo, una batteria e un basso. Ho studiato improvvisazione con i grandi sia a New York (Sheila Jordan, Janet Lawson, Bob Stolof, Bobby McFerrin) che a Vienna e a Roma (Marilena Paradisi In particolare). Tutti questi coaches hanno ispirato in me l'uso della voce come strumento a tutto tondo. In questa mia versione a cappella di "Three little birds" riesco ad esprimerti più direttamente cosa intendo dire.

Ci sono dei brani a cui sei maggiormente legata?
"Lush life", "The Peacocks", "Take Five", "Central Park West" e il mio ultimo "Gotta move on".

Ci sono altre vocalists a cui ti riferisci o che consideri tue ispiratrici?
Ella e Sarah, Diana Washington, Nina Simone, Blossom Darie, Peggy Lee e Anita O'Day tra le mie muse delle origini. Diane Reeves, Diana Krall, Esperanza Spalding tra le contemporanee.

C'è un aspetto in particolare, di tecnica o artistico in genere, su cui stai lavorando in questo periodo?
Sono completamente immersa nel songwriting e nella composizione. "East 75th" esce nel 2019 e ha bisogno di tutta la mia attenzione. Il tour jazz non si ferma ne' interrompe mai però. Parallelamente, ho appena inciso un singolo con Randy Klein che è appena uscito: "The Peacock". Sempre con Randy siamo in procinto di registrare un tributo al grande Rufus Reid. Sto lavorando ad un arrangiamento molto particolare di "Perpetual Stroll". Non posso dirti altro al momento, tranne che sarà davvero davvero interessante.

Come hai scelto i musicisti? Ci vuoi parlare un po' di loro?
A New York è estremamente facile incontrare una pletora di musicisti che arrivano da tutto il mondo. Frequento le jam sessions qui da oltre 10 anni. Ancora prima di trasferirmi qui a New York. Ascolto ma osservo anche i musicisti quando improvvisano. Se non chiudono gli occhi almeno un paio di volte mentre lo fanno e se non cantano qui e lì le linee che stanno improvvisando non possono lavorare con me. I musicisti con cui lavoro devono essere passionali, umili, onesti. Dedicati internamente e illimitatamente alla creazione musicale.

Ci sono musicisti con i quali ti piacerebbe collaborare? Sognare non costa nulla...
Sogno un duetto con Woody Allen. Lo sogno da quando avevo 12 anni. So che un girono accadrà. So anche che non è considerato un musicista, specie tra i jazzisti, ma io con Woody perdo ogni forma di obiettività. Magari ti aspettavi che ti dicessi: sogno un duetto con Chick CoreaKeith Jarrett
Pat MethenyMeldau? Si ci ho pensato, ma poi è solo su Woody che voglio concentrare il mio day dreaming. Ed accadrà. Ripeto, accadrà :-)

Cosa ti dà l'essere a New York e cosa ti prende?
Mi da tutto e mi prende tutto. New York è la mia casa la mia famiglia il mio gruppo di amici. New York è il mio specchio il mio camino il mio condizionatore nelle giornate di caldo più afoso. New York mi prende l'anima senza che mai desideri di farmela restituire.

Pensi di rimanere lì o di spostarti magari percorrendo altri sentieri musicali e artistici?
La mia vita è un flusso continuo di rimanere e andare in un equilibrio magico. Resto e parto ad ogni risveglio, senza mai desiderare altrimenti. E' la musica a scandire I miei movimenti e le mie stasi. Non ho bisogno di programmare. E' lei che mi guida.

Prossimi progetti in calendario?
Iniziare il tour per "East 75th" come ti dicevo. Poi è arrivato il momento di portare il mio jazz a Roma, no? La città che amo alla follia e dove avverto come un paradosso il fatto di non essermi mai esibita.







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Data pubblicazione: 18/11/2018

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