Il jazzista suona la sua vita
luglio2013
di Filippo Bianchi
Well when I was an attorney, a long time ago, young man, I realized after much
trial and error, that in the courtroom, whoever tells the best story wins.
John Quincy Adams
Nella miriade di serial che invadono quotidianamente gli schermi, ce n'era tempo
fa uno, di carattere fantascientifico, che trovavo particolarmente appassionante
e intelligente. Si chiamava Heroes e i suoi protagonisti erano ragazzi di
vari paesi dotati di poteri non dati a noi umani. Uno di questi, il giapponese Hiro,
a un certo punto sente la necessità morale di un viaggio a ritroso nel tempo che
potrebbe costargli la vita: deve andare a salvare le storie che altrimenti decine
di generazioni future non potranno sentir raccontare. L'origine delle storie è la
tradizione; il loro destino, come suggerisce l'etimo, è di venir trasmesse, tramandate.
Il luogo comune vuole che il musicista di jazz, quando suona, "racconti una storia",
e com'è noto spesso i luoghi comuni qualche verità la contengono. Quando il regista
Franco Maresco ebbe la bontà di intervistarmi per il suo bellissimo film su
Tony Scott,
in conclusione della chiacchierata mi domandò: "Ma ci sono oggi degli eredi di Tony?".
Gli dissi che c'erano molti valenti clarinettisti, ma che no, un vero e proprio
erede non mi pareva alle viste. Al successivo "perché?" mi venne spontaneo rispondere
"perché non ci sono più delle vite come quella di
Tony Scott"...
Si sa che ormai le regole implacabili del marketing si applicano a qualsiasi cosa,
perfino alla politica da un ventennio in qua: supponendo che tutto sia un immenso
onnicomprensivo mercato, alle cui leggi bisogna sottostare. Giusta o sbagliata che
sia questa visione, di certo ogni mercato è abitato da sellers (venditori)
e buyers (compratori), ovvero produttori e consumatori: i primi continuamente
in caccia dei secondi; li inseguono e li blandiscono cercando di convincerli che
il loro prodotto è proprio il meglio che c'è.
Da qualche tempo invece, in questo Paese che ha perso il senno, si usa prendersela
con il consumatore. Alle ultime elezioni locali, che non sono andate secondo i suoi
desideri, Beppe Grillo si è risentito con chi non l'ha votato, coprendolo di insulti.
Non è che ha fatto autocritica, come si usava fin troppo una volta; o che ha verificato
se il "prodotto" era confacente alla domanda di mercato, come si usa fin troppo
oggi. E il noto comico-politico non è l'unico ad aver adottato questa curiosa impostazione.
Infatti accade pure nel jazz che molti sellers (musicisti, produttori, agenzie)
se la prendono con l'incompetenza di chi compra. E questa rabbia si veste di argomentazioni
culturali, talvolta interessanti, spesso meno. I social network ridondano di questi
malumori, talvolta confinanti con l'insulto. I buyers del jazz, in realtà,
sono come il resto del mondo, più o meno competenti o appassionati. Le loro scelte
sono guidate da parametri semplici: la disponibilità economica, i gusti personali,
il gradimento che presumono otterranno da parte degli spettatori. Scegliere i musicisti
da presentare al pubblico è il loro mestiere, precisamente come scegliere quale
linguaggio o quale repertorio adottare compete al musicista. È sano che queste funzioni
siano assolte senza interferenze.
E invece accade che i "venditori" accusino i "compratori" di essere soggetti alle
intromissioni più disparate: il festival X ha messo in cartellone il musicista
Y
perché ha ceduto alle pressioni dell'agenzia X o della casa discografica
Y o magari
della Cia o della Spectre… Così inevitabilmente si sconfina nella rassicurante teoria
del complotto: qualcuno congiura affinché un certo artista sia baciato dalla fama
e un altro no. A questi improvvisati e sospettosi tribuni vorrei sommessamente ricordare
che talvolta il problema non viene da fuori, ma da dentro. Per quanto ho potuto
capire, le ragioni per cui certi musicisti sono più amati di altri sono largamente
insondabili: alcuni hanno la fortuna o la capacità di arrivare più direttamente
al cuore delle persone, di smuovere il loro sentire; altri, pur bravissimi, fanno
più fatica.
È chiaro che anche la teoria del complotto contiene qualche elemento di verità:
le grandi case discografiche, ad esempio, investono molto denaro su alcuni personaggi,
e hanno mezzi promozionali per imporli al pubblico, trasformando quegli investimenti
in alti profitti. Il caso di
Giovanni
Allevi è probabilmente il più vistoso. Occorre però rassegnarsi al fatto
che il successo di questi personaggi non è dovuto solo a quei meccanismi promozionali,
ma anche e soprattutto al fatto che il pubblico "di bocca buona", che scambia qualche
ricciolo e qualche svolazzo sulla tastiera per arte, è molto più numeroso di quello
disposto a recepire opere e linguaggi di una certa profondità e complessità. Ma
il mercato del jazz è diverso da quello influenzato dalle major discografiche: è
capillarmente diffuso ed è popolato da una miriade di soggetti; i suoi mezzi di
promozione non sono gli spot televisivi, ma il passaparola e, oggi, i social network.
Mezzi alla portata di tutti, rassegnandosi magari al fatto che, siccome i musicisti
sono numerosissimi, la concorrenza è molto forte.
Forse, piuttosto che sull'invidia per il collega più fortunato, sarebbe preferibile
concentrarsi sulla propria voce, e sulla propria biografia: se sono eccezionali
il mondo se ne accorgerà; più che cercare di suonare come
Sonny Rollins,
bisognerebbe cercare di essere come lui…
Capisco che questi possano sembrare suggerimenti patetici a chi è cresciuto in quest'ultimo
trentennio, dove la spinta dell'ambizione è risultata molto più forte di quella
dell'ispirazione, ma sta di fatto che la frustrazione è raramente buona consigliera,
e soprattutto è poco interessante per il pubblico, mentre una bella storia è irresistibile
e, con un po' di fortuna, sempre più persone vorranno ascoltarla.
Molto tempo fa quando ero ancora un giovane avvocato, ho compreso, dopo molti processi
ed errori, che in una corte di giustizia chiunque racconti la storia migliore vince.
- Tratto da PAN, n.2/2013
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
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Data pubblicazione: 14/07/2013
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