Intervista a Luca Pirozzi gennaio 2014
di Alceste Ayroldi
Si chiama "Thematico "Cut"" l'ultimo lavoro discografico
di Luca Pirozzi, bassista italiano di particolare pregio e versato tanto
al jazz quanto al pop. Tutte composizioni originali a firma del Nostro che percorrono
il suo passato e lanciano un occhio lungo verso il futuro. Armonie e melodie di
marca italiana si fondono perfettamente con l'improvvisazione jazz. Una bella mano
d'aiuto la danno i suoi sodali (Javier
Girotto al sax soprano, Enrico Zanisi al pianoforte e Alessandro
Paternesi alla batteria), che interpretano perfettamente il pensiero di Pirozzi
mettendoci tutta la loro anima e ineluttabile professionalità. Di questo e altro
ne parliamo con l'autore.
Luca, come è iniziato il tuo rapporto con il jazz?
E' stato un "avvicinamento" molto graduale ed è ancora
in fase di innamoramento… Non sono uno di quelli "folgorati" dal jazz. Musicalmente
sono nato ascoltando e suonando sui dischi dei Genesis, Led Zeppelin,
Zappa e altri. Sono passato poi a Stanley Clark e Billy Cobham
e ho continuato con Chick Corea e il Miles elettrico; ma il primo sconquasso
emotivo, musicalmente parlando, l'ho avuto ascoltando i Weather Report! E'
stata una vera ondata di energia ed era esattamente quello che stavo cercando a
livello emozionale e tecnico. Da quel momento mi sono tuffato nell'ascolto dei giganti
del jazz: Miles, Coltrane, Parker, Shorter,
Bill Evans,
ma non ho mai diviso la musica tra "è Jazz, non è Jazz"!
In ambito jazzistico hai una serie di collaborazioni prestigiose:
da Maria Schneider a Bob Brookmeyer, da Kenny Wheeler a
Norma Winstone, giusto per citarne qualcuna. C'è ne è una che ha lasciato, in
particolare, il segno?
La fortuna di far parte dell'organico della Pmjo (Parco della Musica Jazz
Orchestra fondata da Mario Corvini e
Pietro Iodice
con Maurizio Giammarco alla direzione) dal 2005
ad oggi, mi ha portato a collaborare con nomi importantissimi. La collaborazione
con Maria Schneider è stata fantastica! Scrive della musica meravigliosa
ed è stato emozionante il modo con cui ha diretto l'orchestra alle prove. Ci ha
fatto sistemare in cerchio e lei, praticamente, "ha danzato" al centro, mentre dirigeva.
Ci ha fatto dimenticare lo spartito che avevamo davanti ed entrare in quel transfert
espressivo in cui non sono le note la cosa più importante; ci ha raccontato a cosa
era legato emotivamente il brano che stavamo provando con l'intenzione farci suonare
completamente immersi nella composizione e senza pensare ad altro…Wow!!! Certo che
essere diretti anche da Bob Brookmeyer non è stato male! Poi Keeny Wheeler,
Bill Holman, Mike Gibbs,
Uri Caine,
Dave Douglas, Kevin Hayes…
Poi, ci sono quelle extra-jazzistiche e, anche qui, chi
è che ricordi con particolare piacere?
Ho lavorato sia in tour che in studio con parecchi artisti del pop italiano:
Mina, Zarrillo, Sergio Caputo, Mike Francis, Lucio Dalla,
ma è Alex Baroni che mi è rimasto nel cuore: come artista e come amico.
Nel 1986 sei stato in tour con Bruno Martino. Che
ricordo hai di lui?
Iniziare la mia carriera in tour con un "gigante" come
Bruno Martino
è stata una grande opportunità umana e lavorativa. Gentilissimo e di una simpatia
coinvolgente. Una volta alle prove in casa sua mi disse: "suona solo le note
necessarie… funzionerà tutto meglio".
Ritieni sia importante per un jazzista cimentarsi anche
in altre musiche?
Ognuno ha il diritto di fare il proprio percorso: suonare quello che vuole e quello
che sente. Il blues, il jazz, come la musica classica, hanno influenzato tutta la
musica moderna. Ma bisogna essere consapevoli che ogni stile ha delle proprie difficoltà
e nasconde delle insidie, anche solo in merito di groove, di timing. Riuscire ad
essere curiosi, non fa altro che giovare al proprio patrimonio artistico. L'importante
è avere voglia di esplorare, di giocare con la musica, e cercare di non mettere
dei paletti che escludono visioni più ampie e rischiano di auto-ghettizzarsi in
ambiti particolari di genere. Lo scambio che può avvenire su un palco tra musicisti,
ammiccando a una ritmica diversa da quella concepita in un dato brano, non fa che
giovare al gusto artisticamente universale che la musica dovrebbe trasmettere a
tutti.
Qual è il tuo background culturale, quali sono gli studi
che hai svolto?
Quando mi sono avvicinato alla musica non esistevano ancora le moltitudini di scuole
che ci sono oggi. Ho iniziato a studiare pianoforte classico a dieci anni, ma ho
smesso dopo qualche mese, forse colpa della mia giovane età o di un insegnante un
po' troppo tradizionale. L'approccio al basso elettrico è stato totalmente autodidatta.
Ho studiato suonando sui dischi, apprendendo tutto ciò che potevo; linee di basso,
temi, soli e leggendo qualsiasi libro didattico che mi capitava. Ho sempre avuto
l'istinto di saper organizzare lo studio, sia della tecnica strumentale e sia dell'armonia;
questo forse mi ha permesso di iniziare a suonare avendo già un buon background
didattico. Poi nei primi anni '80 Roma era piena
di jazz club (si suonava quasi tutte le sere) e ho potuto quindi frequentare e confrontarmi
con i più grandi musicisti italiani.
Svolgi anche una consistente attività didattica. Qual è
la prima cosa che dici ai tuoi allievi?
La prima cosa che dico ad un giovane che si avvicina alla musica è che bisogna lavorare
sulla qualità dello studio. E' importante "come studiare" e non solo "cosa studiare".
Nel 2011 ho scritto un libro, pubblicato per
la Sinfonica Jazz, "Metodo per Basso Elettrico Vol.1" e nella prefazione scrivo:
non si può certo prescindere dallo studio dell'armonia, della teoria, della tecnica
strumentale e dall'ascolto mirato di tutti i più grandi musicisti che hanno cambiato,
con il loro genio, il corso della musica, ma la vera differenza tra due persone
che studiano lo stesso argomento sta sempre nel come affrontare le varie difficoltà
che inevitabilmente si incontrano e trovare una strada su come modellare lo studio
rispetto alle proprie capacità di apprendimento.
Parliamo del tuo ultimo lavoro: "Thematico "Cut"". Un titolo
piuttosto criptico e intrigante. Ce lo vorresti spiegare?
Da più di venticinque anni ho l'abitudine di registrare qualsiasi idea sonora mi
passi per la mente. Ho quindi un archivio sonoro ampio e variegato; un paio di anni
fa, riascoltando tutto il materiale, ho estrapolato solo i frammenti melodici e
tematici. Sono partito da queste idee tematiche (Thematico) e con un opera
di "taglia e cuci" armonica e melodica ("Cut") ho definito le sei tracce
dell'album. Oltretutto ho sempre amato ammirare e perdermi nei "tagli" delle tele
di Lucio Fontana quindi il "Cut" per me assume anche un significato onirico.
Hai voluto privilegiare la linea melodica. E' una scelta
voluta o è semplicemente derivata dal momento in cui hai composto i brani?
Non avevo voglia di fare un disco da bassista, ma realmente è stata una scelta naturale
e non pensata a tavolino. Quando si è ragazzi, le energie fuoriescono così prepotentemente
che si ha l'esigenza di suonare tanto, e anche di esplorare in tutte le direzioni,
sia ritmiche che di stile. Con la maturità viene la consapevolezza di quanto sia
importante il peso anche di una sola nota, e quanto conti l'esposizione del tema,
capace di trasportare e guidare l'emozione di chi ascolta. La musica classica ci
ha donato questa forza, come l'espressione più europea del jazz.
Nel comporre e nell'arrangiare hai tenuto a mente qualche
modello in particolare?
Di sicuro sapevo dove non doveva andare la mia musica, ma anche qui non c'è premeditazione.
Sono un istintivo e preferisco cavalcare l'onda emozionale del momento. Non ho utilizzato
clichè, né mi sono prefissato un obiettivo. Ho semplicemente lasciato fluire le
melodie, e il sapore che prendevano se incalzate da un particolare accordo. In fase
di arrangiamento in tre brani ho chiesto una mano a Fabrizio Cesare, un amico di
vecchia data, nonché un fantastico arrangiatore/compositore.
Di influenze musicali in questo album ce ne sono parecchie,
sembra racchiudere un po' il tuo vissuto artistico. E' un resoconto, frutto della
maturità?
Hai colto nel segno. La musica rispecchia in qualche modo la vita, arriva un momento
in cui si sente il bisogno di fare il punto e inevitabilmente tutto il background
fuoriesce, filtrato, epurato e maturato. Se sono riuscito a farti percepire questo
beh, sono contento. C'è molto del mio lato "europeo", probabilmente la parte più
lirica.
Un combo di eccezionali musicisti: come e perché hai scelto
proprio Girotto, Zanisi e Paternesi?
La scelta di Javier è stata naturale! Mentre le composizioni prendevano forma avevo
sempre il sound del soprano di Javier in testa. E' un grandissimo musicista oltre
che un caro amico; sono veramente pochi ad avere cosi tanta energia, intensità e
lirismo! Per quanto riguarda piano e batteria avevo la necessità di suonare con
musicisti con i quali non avevo ancora mai suonato prima, avevo voglia di essere
sorpreso all'interno della mia stessa musica. Enrico ed Alessandro sono stati la
scelta migliore che potessi fare. Hanno dato alla musica freschezza ed energia ed
è stato tutto cosi naturale che il disco è stato registrato in un giorno. Ho chiuso
il cerchio con l'etichetta che ha pubblicato il mio album: la nuovissima J&JJazz,
costola della più longeva Joe & Joe, una label in cui convivono i progetti pop e
quelli jazz, quelli prettamente cantautorali ed altri intrisi di blues, tutti però
sostenuti con la stessa passione e professionalità.
Chi è il tuo contrabbassista e bassista di riferimento?
Per quanto riguarda il basso elettrico direi
Jaco Pastorius.
E' scontato ma realmente è così! Mi ha letteralmente folgorato quando lo sentii
la prima volta sul disco "Heavy Weather".
Steve Swallow
è un altro grandissimo. Poi Paul Chambers,
Ray Brown,
Dave Holland,
ma più di tutti
Charlie Haden: mi entra nelle viscere. Ce ne sono tanti altri:
Keith
Jarrett,
Bill Evans,
Brad Mehldau,
Wayne Shorter, Miles Davis… ma… oops… non suonano il basso!
Si diceva che hai collaborato con tantissimi grandi del
jazz e non solo. C'è qualcuno con cui vorresti (o avresti voluto) collaborare?
Far arrangiare a Maria Schneider i miei brani per orchestra, sarebbe bello!
Quali sono i tuoi prossimi impegni e quali i tuoi obiettivi
a medio e lungo termine?
In questo momento sono in giro con il mio Thematico 4et con date già in cartellone
e ne sto pianificando altre fino alla prossima estate. A breve pubblicherò il mio
secondo "Metodo per Basso Vol.2" e ho appena aperto una scuola di basso a
Roma: "Bassoschool". Ma le idee nel cassetto sono tante, la peculiarità della
musica è proprio quella di non avere limiti e confini: altri Paesi in cui suonare,
tanti altri musicisti da conoscere, altri progetti artistici e nuovi dischi.