Intervista al Gruppo Cordoba Reunion
Folk Club di Torino
il 22 ottobre 2011
di Cinzia Guidetti
foto di Francesco Truono
Abbiamo approfittato del
concerto per parlare della tournée per promuovere
il nuovo disco appena uscito, ma soprattutto delle difficoltà di essere musicista
in questo periodo, con la crisi economica e i tagli alla cultura.
La tournée che state facendo adesso in l'Italia e all'estero è per promuovere
il vostro nuovo album.
Javier
Girotto: Sì esatto. Il nuovo disco "Sin Lugar a
Dudas" (traducibile con "senza ombra di dubbio" n.d.r.) è il secondo lavoro dei
Cordoba Reunion ed è uscito a distanza di sette anni da quello precedente, "Cordoba
Reunion". E' stato registrato, come l'altro, nella Radio Svizzera Italiana di Lugano,
Rete Due. Abbiamo impiegato più tempo del previsto a mixarlo perché tra la distanza
che ci divide (Girotto e Buschini vivono in Italia, e Garay e Di Giusto vivono in
Francia n.d.r.), e i nostri impegni è stato difficile farlo nei tempi che ci eravamo
prefissati. Si tratta comunque di un seguito del primo: abbiamo riproposto varie
ritmiche del foklore argentino, dando spazio anche alle composizioni originali che
si ispirano a queste ritmiche, e all'improvvisazione. I brani sono nostri, e come
al solito c'è un po' di tutti noi in ognuno di essi.
Carlos "el tero" Buschini: con questo tour che abbiamo iniziato proprio
adesso nel mese di ottobre stiamo promuovendo il disco in Italia. Poi a gennaio
ci sposteremo in Francia.
E quali sono le reali difficoltà che incontrate adesso con i tagli alla cultura
che ci sono stati.
Javier
Girotto: fortunatamente io ho diversi progetti,
ho collaborazioni in mezzo mondo, e per questo mi posso ritenere fortunato; però
in questo periodo vedo molti colleghi che si trovano in difficoltà. Il problema
principale riguarda i locali che hanno abbassato il compenso ai musicisti, perché
molta meno gente va ad ascoltare la musica, e questo perché ci sono molti meno soldi.
Anche diversi studenti, che prima riuscivano a trovare qualche piccolo lavoretto
per togliersi qualche sfizio, adesso sono senza un impiego e non possono permettersi
di andare a sentire la musica. Oltretutto ho riscontrato che molte città non sono
servite bene dai mezzi pubblici, soprattutto a tarda notte, e la gente che potrebbe
usarli per risparmiare è costretta invece a muoversi con la propria auto. Tutte
queste cose fanno sì che le persone che vanno a vedere i concerti siano calate notevolmente.
Inoltre questa crisi fa sì che ci sia una certa depressione generale, e venga a
mancare così quella felicità che ti fa venire voglia di uscire e andare a sentire
la musica. Certo quella italiana non sarà mai una crisi come quella che c'è stata
in Sud America, però quando sei abituato ad avere tutto rinunciare a qualcosa resta
difficile.
Ed ancora, i club si sono praticamente dimezzati, molti hanno chiuso, e quei pochi
che sono restati fanno molta fatica ad andare avanti. Lo stesso vale anche per molti
festival, e si parla anche di quelli storici come Roccella Jazz.
E quindi in questo periodo di crisi cosa si potrebbe fare?
Gerardo Di Giusto: l'unica cosa che rimane da fare è sensibilizzare
la popolazione e spiegare loro che il jazz, come la musica popolare e come tutte
le musiche che sono di ricerca, sono importanti perché fanno parte della cultura
di un popolo. In questo periodo la situazione per noi musicisti è difficile, e per
continuare a fare il nostro lavoro abbiamo bisogno dell'aiuto delle persone. Magari
la gente preferisce andare a mangiare in un ristorante e spendere venti euro a testa
e non andare a un concerto. Ma adesso abbiamo bisogno di fare una piccola riflessione
su quello che è più importante. Se il governo non dà i finanziamenti, e non aiuta
più, è il popolo che deve sensibilizzarsi perché la musica fa parte della sua cultura
e dell'identità del proprio paese.
Carlos "el tero" Buschini: condivido quello che dice Gerardo. Ad esempio
durante il crack economico del 2001 in Argentina
c'è stata una fortissima rivoluzione culturale. Tutti gli artisti appartenenti a
qualsiasi ambito (cinema, musica, teatro) sono riusciti a portare avanti le loro
idee. Adesso sono passati dieci anni e un film argentino ha avuto l'Oscar (nel
2010 "Il segreto dei suoi occhi" di Juan José
Campanella ha vinto come miglior film straniero n.d.r.), perciò la crisi potrebbe
essere una scusa, ma la cultura di un paese non si ferma. In questo periodo è importante
non smettere di farle le cose, ma cercare di sensibilizzare le persone. Oltretutto
tutti i politici in passato hanno finanziato spesso i festival, e non parlo solo
di quelli di jazz, e così la gente si è abituata ad avere i concerti gratis. Ma
è anche colpa degli organizzatori, che per fare contenti i politici hanno accettato
dei compromessi e hanno programmato solo grossi nomi, spesso americani, spendendo
così delle cifre considerevoli e sprecando tanti soldi, e soprattutto togliendo
in questo modo lo spazio a progetti nuovi e artisti emergenti. Capisco che sia molto
difficile per gli organizzatori rischiare, soprattutto in questo periodo di crisi
portando un gruppo meno conosciuto per paura di avere poco pubblico, ma forse proprio
questa crisi potrebbe essere lo spunto per iniziare a cambiare le tendenze, e magari
chiamare l'artista che, essendo meno conosciuto, ti costa meno, ma fa qualcosa di
diverso. Dobbiamo tener conto che in ogni angolo del mondo ci sono progetti bellissimi
e interessanti da valorizzare. Con questo non voglio dire che non si debbano programmare
grossi nomi, ma anche dare spazio a gruppi e progetti nuovi.
E questo accade soprattutto in Italia perché, avendo suonato in quasi tutti i festival
della Francia, mi sono accorto che non accade la stessa cosa. Oppure in Germania
e in Austria, il biglietto si paga anche se ci sono le sovvenzioni.
Gabriel "Minino" Garay: io non saprei trovare una soluzione alla crisi.
Ci vorrebbe solo che la gente fosse più sensibile alla musica e ne ascoltasse di
più. Bisognerebbe riuscire a esaltare la cultura e vivere in modo più semplice.
L'unica cosa di cui sono certo è che adesso siamo nel momento massimo della crisi
è da ora in avanti ci saranno almeno dieci anni in cui l'Europa passerà una depressione
terribile.
E invece la situazione all'estero com'è?
Javier
Girotto: negli Stati Uniti è disastrosa. Per gli
americani l'America è qua, e infatti molti di loro vengono a suonare in Italia a
prezzi stracciati.
Negli altri paesi europei la situazione è molto simile a quella italiana. Non ci
sono Paesi meglio di altri, hanno tutti le stesse difficoltà.
Gerardo Di Giusto: la situazione anche a Parigi, dove abito,
è difficile come in tutta l'Europa. Tutti gli aiuti che il governo dava alla cultura
sono stati ridotti alla metà, sono stati fatti dei tagli molto forti, e la prima
cosa che hanno tagliato sono stati la sanità, la cultura, la scuola e gli aiuti
sociali.
Carlos "el tero" Buschini: gli organizzatori dei festival in Italia
dovrebbero iniziare a fare come all'estero. Se ci sono delle rassegne a rischio
che prima erano gratuite, e magari attiravano 5000 persone, pur di non farle più
si potrebbe pensare di far pagare a ogni persona una cifra simbolica. Con un piccolo
contributo tutto potrebbe continuare. Oltretutto all'estero ci sono dei promotori
privati che investono nella cultura, che fanno gli imprenditori per queste cose
e rischiano. Non dico che sia una cosa semplice da attuare, soprattutto in questo
periodo, ma almeno c'è gente che investe. Dopotutto chi investe in cultura investe
in futuro. È come investire in scuole, musei e nella ricerca.
Javier
Girotto: bisogna vedere anche come funzionano i
sistemi fiscali di un paese. Perché se ci sono gli sponsor che spendono e investono
in cultura, perché hanno un sistema fiscale che permette di detrarre quelle spese,
è più facile che gli sponsor rimangano. Se vengono fatte delle leggi per cui questa
detrazione fiscale viene tolta, gli sponsor scappano. Bisognerebbe andare a indagare
in questo ambito.
E quindi in questo periodo di crisi ognuno di voi ha più di una realtà musicale?
Carlos "el tero" Buschini: ognuno di noi, da molto tempo, fa parte
di diversi progetti, personali o collettivi, come ad esempio i Cordoba Reunion.
E proprio con i Cordoba che ci siamo trovati dodici anni fa per riuscire a suonare
le nostre musiche, perché con altri musicisti, magari anche bravissimi, non eravamo
riusciti a tradurre il nostro linguaggio alla perfezione.
Comunque sarebbe impossibile per noi avere solo una situazione musicale, e non solo
in un periodo come questo di crisi economica. Ognuno di noi ha le proprie realtà,
ma per noi è anche un modo di avere più punti di vista, avere stimoli intellettivi
diversi che aiutano a mantenere la mente sempre allenata.
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Data pubblicazione: 21/01/2012
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