Intervista a Bebo Ferra
marzo 2010
di Marco Buttafuoco
La musica brasiliana sembra essere sempre più un importante punto di riferimento
per molti improvvisatori italiani, Non è solo il samba ad ispirare i vari Bollani,
Mirabassi, Vernizzi. Ad affascinarli è un più vasto e composito habitat musicale
che si nutre d' Africa e di armonie europee, siano esse quelle classiche o quelle
dei balli popolari. E' la foresta tropicale sonora dove abitano lo choro
e tutte quelle musiche "minori" che influenzarono compositori geniali come Jobim.
Dove hanno abitato personaggi come Pixinguinha e dove abita tuttora un artista come
Egberto Gismonti.
Anche
Bebo Ferra
ha sentito questo richiamo ed ha licenziato da qualche mese per Egea il pregevole
e fortunato Luar. Abbiamo chiesto
al chitarrista sardo il perché di questo disco, il significato che esso ha nella
sua oramai lunga carriera:
Innanzitutto vorrei chiarire che Luar non è una svolta nella mia storia. Io sono
e resto un musicista di jazz. Questo è solo un capitolo particolare del libro che
descrive il mio cammino. Ho sempre amato la musica brasiliana e sentivo di doverle
rendere omaggio; di ricambiare tutti quei doni artistici che ho avuto da quel mondo,
in termini di odori, sapori, colori musicali. Ho sempre sognato questo disco che
chiamavo fra me e me "il disco latino". E l' ho sempre immaginato come un concept
album (il termine è forse desueto, ma funziona ancora molto bene), un contenitore
nel quale raccogliere tutti miei ricordi e le mie suggestioni brasiliane. Ricordi
e suggestioni, ci tengo a dirlo. Non c'è samba in Luar, non ci sono il
choro, lo chorinho, la bossa nova. Nel senso che non ho usato nessuna
struttura compositiva tipica di questi generi. Non ci sono omaggi particolari ad
un autore piuttosto che ad un altro. C'è però, mi auguro, lo spirito di quelle musiche.
C'è il mio approccio personale a quel mondo. Non potevo che realizzarlo con strumentisti
in grado di sentire e disegnare quel paesaggio musicale: credo di averli scelti
a perfezione. Ma prima ancora ho voluto pensare agli strumenti da impiegare.
Fra
questi il violoncello, scelta quanto mai insolita.
Volevo una voce calda che però non fosse un fiato. Nella musica brasiliana la
parte melodica viene spesso affidata al flauto. Ma io sentivo come più adatta la
voce calda di quelle quattro corde. E' stata una scelta di colore, lontana dal mio
mondo jazzistico e anche da quello dei compositori carioca. Certo ho ascoltato molto
alcuni lavori di
Caetano
Veloso e di Egberto Gismonti nei quali viene utilizzato questo
strumento, ma la scelta è stata quasi istintiva.
Mancano però anche le percussioni
Io volevo una sonorità cameristica, più vicina per certi versi alla musica classica.
Il ritmo è già dentro la musica. Non trovavo necessario un supporto percussivo al
mio progetto sonoro. E' vero, molta di questa musica brasiliana che io adoro ha
colori ed andamenti cameristici, ma io volevo che la mia risuonasse solo sulle corde;
senza fiati e senza percussioni. Ho seguito anche in questo caso una mia strada.
Era la mia saudade quella che volevo raccontare.
Ho
riascoltato "Al tempo che farà" il fortunato disco che hai inciso con Paolo Damiani.
Lì suoni molto classico, con accenti spagnoleggianti. Dal momento che ti definisci
un jazzista ti chiederei però di farmi un riassunto dei primi capitoli del libro
della tua carriera. Dove nasce, musicalmente parlando, Bebo Ferra?
Sono innanzitutto un autodidatta. Ho imparato tutto da solo, tecnica ed armonia.
Può darsi che quegli echi che senti in quel disco vengano da quanto di spagnolo
c' è nella cultura della mia terra di origine, la Sardegna. Ma io nasco jazzista,
sono e sarò in futuro un musicista di jazz, Oggi ci sono molti colleghi, soprattutto
italiani, che sembrano voler rifiutare il loro debito con la cultura afro-americana
e rivendicano il loro essere musicisti tout-court. Ognuno è naturalmente libero
di dire quello che sente. Ma io trovo che ci sia un po' di snobismo in tutto questo.
Io non rinnego le mie origini. Io sono cresciuto con i grandi,
Bill Evans
soprattutto, il mio faro, forse perché in qualche maniera ho sempre sentito quanto
quel grande pianista fosse legato anche alla cultura musicale "classica". Il mio
timing è tutto jazzistico, anche se il mio fraseggio non è spesso "canonico". E
oltre a Evans adoro Trane, Mingus, Miles...
Non hai citato nemmeno un chitarrista
E vero. Ho amato di più musicisti che hanno lavorato con altri strumenti. Nel
mio campo ho imparato molto da Wes Montgomery, specie nei primi anni della
mia formazione, poi da
Jim Hall.
Oggi guardo molto a Ralph Towner da un punto di vista compositivo ed a
Pat Metheny
per quella sua capacità di far sentire nel jazz la tradizione folk delle grandi
pianure nelle quali è nato. Quel suo essere anche musicista "country". Perché qui
sta il senso della mia ricerca. Evidenziare, sulla lingua comune il mio accento
personale che non può ovviamente non essere italiano e, soprattutto, mediterraneo.
Vari colleghi americani mi hanno dato atto che sono in grado di far sentire nella
mia musica le mie origini.. Vedi, io amo molto Rava, perchè nelle sua musica
si sente un'anima italiana: lirica e melodica. Se le basi del linguaggio jazz sono
comuni la nostra storia ci obbliga a differenziarci dagli improvvisatori d'oltreoceano.
E non è solo un esigenza artistica. Io voglio raccontare, far sentire, qualcosa
di me, delle mie origini, della la terra in cui sono nato. Non vuol dire che devo
improvvisare su materiali sardi. Vuol dire che vorrei che la mia anima venisse in
qualche maniera narrata dalla mia musica.
Non
tutti sono d' accordo però. Per qualcuno il jazz è poi sostanzialmente una musica
che in qualche maniera culmina e termina nell' hard-bop.
Il problema è che l'Italia è una provincia che ragiona, al solito sulla base
di schemi rigidi e molto superati. E' sbagliato chiamarsi fuori dal jazz come fanno
in tanti, è altrettanto sbagliato farne una difesa talebana . Quello
che conta è quello che si ha da dire. Il pubblico, i colleghi di altri paesi, anche
e soprattutto gli americani, ti ascoltano e ti apprezzano per quello che esprimi
emotivamente, per quello di tuo che metti nella tua musica Quello che mi da fastidio
è sentire che molti giovani ragionano su queste formulette. Io vado dove mi dice
la mia sensibilità. Ad esempio ho un progetto su cui sto lavorando che è è quasi
psichedelico, con due giovanissimi come Gianluca Di Ienno all' Hammond e
Max Furian dietro ad una batteria che suona molto groove. E' una cosa molto
rock; totalmente diversa dalle altre mie produzioni. D'altronde Coltrane ha esplorato
la musica indiana e lo stesso ha fatto
Tony Scott.
Per non parlare delle continue sperimentazioni di Miles. Cosa suonerebbero oggi
i grandi del passato? Qui continuiamo invece a vivere in enclave separate, in riserve
indiane Ed è un peccato perché la scena italiana e ricchissima di talenti. Pensa
a quanti pianisti di valore ci sono. Se fossi un pianista giovane oggi, mi preoccuperei
perchè mi sentirei addosso una concorrenza feroce. Lasciamo stare le etichette ideologiche
e pensiamo a valorizzare il talento, a sviluppare nuove idee
Hai altri altri progetti oltre a questo trio in stile
rock anni 70?
E' in arrivo un disco con
Javier Girotto. A differenza dl Luar che è molto scritto
e strutturato questo sarà basato su strutture melodiche e armoniche molto aperte.
Sarà un disco molto "libero" in cui entrambi siamo solisti su linee parallele. Ho
poi in preparazione un disco con
Daniele Tittarelli al sax ed Andrea Dulbecco al
vibrafono. Qui siamo più sul jazz "tradizionale". Ci ispiriamo alle atmosfere dei
mitici trio di Jimmy Giuffre. Come vedi tento di aprire il ventaglio delle
mie esperienze e non mi fermo a meditare sulle etichette. Se permetti cito anche
un altro disco uscito quasi alla chetichella e che è un duo con mio fratello. Non
suonavamo insieme da vent'anni. Abbiamo dato un concerto a Cagliari con mille spettatori.
Persone che ci avevano visto suonare insieme decenni fa: alcune che non vedevo da
tempi immemorabili. Una specie di Facebook dal vivo. Una grande emozione riversata
poi in questo cd. Una delle più belle e esperienze della mia vita di musicista.
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Data pubblicazione: 09/05/2010
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