Qual è la vostra filosofia di vita?
Perché fare il discografico?
Per la voglia di fare che deve prevalere sulla rassegnazione del piangersi addosso.
La discografia non è affatto defunta, semplicemente deve cambiare muta e rinnovarsi
per adeguarsi ai tempi. Scoprire il talento, coltivarlo, assecondarlo, contrastarlo
e portarlo alla maturità artistica è una missione. Molti artisti fanno auto-produzioni
non sapendo che molto spesso possono essere controproducenti. Quando un direttore
artistico di un festival (ho svolto questo ruolo per dodici anni) riceve un disco
autoprodotto, il primo pensiero è "Questo gruppo non ha convinto nemmeno un discografico
a produrre il proprio disco". Il ruolo del discografico e di una direzione artistica
che guidi l'artista nel suo progetto è fondamentale per la riuscita di un disco.
Come reperite i nuovi talenti?
Nel mondo del jazz ci muoviamo su due fronti, da un lato li ricerchiamo attraverso
il concorso internazionale European Jazz Contest promosso dal Saint Louis College
di Roma in collaborazione con molti Istituti europei di Alta formazione. Dall'altro
ascoltiamo da bravi discografici le proposte che ci arrivano dal mondo esterno e
soprattutto dall'interno del Saint Louis College, un vero fermento di nuove tendenze.
Quali sono le vostre politiche relative alla distribuzione?
La distribuzione fisica del disco ritengo sia obsoleta, anche per una precisa politica
dei negozi che accettano ed espongono solo i top di gamma, tenendo tutto il resto
su ordinazione. Certo che oggi chi deve ordinare un disco non ha bisogno di farlo
tramite un negoziante, ha molti altri modi anche più veloci ed economici per farlo
da sé. Quindi, distribuzione digitale dei singoli brani e dell'intero lavoro e distribuzione
del supporto cd sempre tramite portali on-line. E poi l'acquisto on-line rappresenta
una scelta consapevole, perché ho la possibilità di ascoltare prima cosa sto per
acquistare. Ma la distribuzione principe rimane la vendita dei dischi ai concerti.
Quali mezzi utilizzate per raggiungere il vostro pubblico,
anche potenziale?
Fondamentalmente concerti, cerchiamo di produrne attraverso l'agenzia artistica
Saint Louis Management e favorirne il più possibile.
A cosa è dovuta la crisi del disco? E' da attribuire a
mp3, peer to peer, o c'è dell'altro?
Per primo il prezzo. Una volta poteva essere giustificato dai costi di produzione
più alti, oggi non più. Nel nostro caso, ad esempio, quando vendiamo un disco a
16 euro al negozio, a noi produttori arrivano più o meno 5 euro, con i quali dobbiamo
coprire i costi di produzione e riconoscere le royalties all'artista. Il resto va
nell'ordine al negoziante, al distributore, allo Stato (iva al 22%), alla Siae.
Qual è lo scenario futuro?
Produrre singoli brani di jazz e relative contaminazioni per il mercato mondiale
digitale. Realizzare dischi con musicisti dislocati in vari angoli del pianeta e
sincronizzati con tecnologia a latenza zero. Costi abbattuti, produzioni rapide,
qualità di eccellenza.
Per combattere il nemico comune non sarebbe meglio coalizzarsi?
Quali sono gli ostacoli alla creazione di un consorzio o un network?
Le Major non fanno accordi con gli indipendenti, lasciamole pure alla deriva. Noi
indipendenti non abbiamo ancora capito che un network porterebbe buoni frutti. Anche
se in realtà, la distribuzione digitale rappresenta di per sé un network, che offre
le stesse opportunità a tutti.
Anche le major non godono un buon stato di salute. In periodi
di crisi è meglio essere "più piccoli"?
Figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi.
Cosa potrebbero fare le istituzioni per migliorare e aiutare
il settore, soprattutto per la lotta contro la pirateria?
Abbattere aliquote e oneri Siae già darebbe un aiuto importante, così come agevolare
i costi di spedizione di supporti di diffusione della cultura (libri e dischi) con
facilitazioni fiscali. Se a questo affianchiamo una distribuzione on-line più snella
ed economica di quella tradizionale (leggi vecchia) ecco che un disco originale
può essere venduto e spedito a casa a 8 euro e ci sarebbero i margini per tutti,
discografici, distributori on-line, artisti, autori. A quel punto nessuno andrebbe
dall'ambulante in strada per risparmiare 3 euro e avere un prodotto di scarsa qualità.
La vostra struttura organizzativa si completa con il management?
Ritenete, comunque, che possa essere utile per completare il percorso e fidelizzare
al meglio i vostri artisti?
In realtà lo ritengo uno strumento fondamentale per la vendita del cd, il canale
principale per la distribuzione e la veicolazione del progetto artistico e del disco
stesso.
Quali sono le difficoltà che incontrate e qual è la tendenza
del mercato dello spettacolo dal vivo?
Il concerto dal vivo è tornato da tempo ad essere una ricchezza per gli artisti
e soprattutto è il discrimen che differenzia chi smanetta e produce un disco
mediocre con aggiustamenti realizzati al computer (che quindi non ha le capacità
di esibirsi dal vivo in maniera professionale) e l'artista vero.
A tal proposito, come giudicate lo stato di salute del
jazz attualmente (sia quello italiano, che internazionale)?
Buona salute generale, grandi contaminazioni alla ricerca di nuove tendenze e quindi
di nuovo pubblico. Il pubblico del jazz italiano è sempre più europeo. Stiamo creando
con il Saint Louis una grande rete con Istituzioni di tutta Europa attraverso il
quale spingiamo i nostri artisti in tour promozionali. Le città europee sono sempre
più vicine e il pubblico va conquistato, non ci si può arroccare su posizioni ascetiche
da presunto artista incompreso, bisogna muovere il fondoschiena e proporsi.
Il pubblico del jazz, almeno in Italia, è statisticamente
provato che sia formato perlopiù da persone over 35 anni. In altri stati, però,
ciò non succede. Secondo te quali sono i motivi di fondo? I prezzi dei biglietti
sono troppo alti? Il jazz non trova spazio negli ordinari canali di comunicazione
dei giovani? E' frutto di una crisi culturale?
Carenze educative nella scuola, carenze culturali in chi realizza palinsesti radiofonici
e televisivi, carenze intellettive di chi riveste ruoli pubblici istituzionali preposti
a politiche di sostegno verso gli artisti. "Con la cultura non si mangia" è una
tipica frase di chi non avendo una cultura artistica né umanistica riduce la propria
vita a un algoritmo matematico. L'Italia sopravvive grazie alla cultura mentre potrebbe
vivere alla grande e sguazzarci dentro.
E' un fenomeno che mi dispiace constatare, ma la tendenza
dell'Opera è quella di annoverare un pubblico sempre più giovane. Forse anche per
il fatto che molte opere sono rivisitate da registi di chiara fama che lo hanno
svecchiato parecchio. Nel jazz, però, anche lo svecchiamento non sempre porta risultati
entusiasmanti. Come mai?
Perché nonostante lo svecchiamento gran parte dei nostri musicisti di jazz è tuttora
convinto che il be-bop rappresenti l'avanguardia, mentre ormai è un fenomeno espressivo
ultracinquantenne. Ben vengano i jazzisti che osano e che proprio quando vengono
etichettati da certa critica in bianco e nero "Ma questo non è jazz!" vuol dire
che sono sulla buona strada.
Non pensi che il jazz, in Italia, difetti in organizzazione
e coordinamento? Sarà forse perché lo Stato e gli enti territoriali lo tengono sullo
stesso livello delle sagre di paese (con tutto il rispetto anche per queste)?
Ogni tanto ci si riprova, ma gli individualismi sono molto forti di egocentrismo.
Magari si tenessero le manifestazioni jazz sullo stesso livello delle sagre, ci
sarebbe più attenzione e più sostegno economico.
Quali sono i prossimi progetti?
Attendo dalle nuove generazioni proposte interessanti e innovative, nel linguaggio
e nella composizione, senza maniera, senza confini, senza pregiudizi, senza inutili
timori reverenziali. Io sono pronto a produrle.