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Il giro d'Italia a bordo di un disco

Stefano Mastruzzi, Camilla Records
novembre 2014
di Alceste Ayroldi

CAMILLA RECORDS
Via Urbana 49/a
00184 Roma

Stefano Mastruzzi  Camilla RecordsStefano Mastruzzi  Camilla Records
click sulle foto per ingrandire

Qual è la vostra filosofia di vita? Perché fare il discografico?
Per la voglia di fare che deve prevalere sulla rassegnazione del piangersi addosso. La discografia non è affatto defunta, semplicemente deve cambiare muta e rinnovarsi per adeguarsi ai tempi. Scoprire il talento, coltivarlo, assecondarlo, contrastarlo e portarlo alla maturità artistica è una missione. Molti artisti fanno auto-produzioni non sapendo che molto spesso possono essere controproducenti. Quando un direttore artistico di un festival (ho svolto questo ruolo per dodici anni) riceve un disco autoprodotto, il primo pensiero è "Questo gruppo non ha convinto nemmeno un discografico a produrre il proprio disco". Il ruolo del discografico e di una direzione artistica che guidi l'artista nel suo progetto è fondamentale per la riuscita di un disco.



Come reperite i nuovi talenti?

Nel mondo del jazz ci muoviamo su due fronti, da un lato li ricerchiamo attraverso il concorso internazionale European Jazz Contest promosso dal Saint Louis College di Roma in collaborazione con molti Istituti europei di Alta formazione. Dall'altro ascoltiamo da bravi discografici le proposte che ci arrivano dal mondo esterno e soprattutto dall'interno del Saint Louis College, un vero fermento di nuove tendenze.

Quali sono le vostre politiche relative alla distribuzione?
La distribuzione fisica del disco ritengo sia obsoleta, anche per una precisa politica dei negozi che accettano ed espongono solo i top di gamma, tenendo tutto il resto su ordinazione. Certo che oggi chi deve ordinare un disco non ha bisogno di farlo tramite un negoziante, ha molti altri modi anche più veloci ed economici per farlo da sé. Quindi, distribuzione digitale dei singoli brani e dell'intero lavoro e distribuzione del supporto cd sempre tramite portali on-line. E poi l'acquisto on-line rappresenta una scelta consapevole, perché ho la possibilità di ascoltare prima cosa sto per acquistare. Ma la distribuzione principe rimane la vendita dei dischi ai concerti.

Quali mezzi utilizzate per raggiungere il vostro pubblico, anche potenziale?
Fondamentalmente concerti, cerchiamo di produrne attraverso l'agenzia artistica Saint Louis Management e favorirne il più possibile.

A cosa è dovuta la crisi del disco? E' da attribuire a mp3, peer to peer, o c'è dell'altro?
Per primo il prezzo. Una volta poteva essere giustificato dai costi di produzione più alti, oggi non più. Nel nostro caso, ad esempio, quando vendiamo un disco a 16 euro al negozio, a noi produttori arrivano più o meno 5 euro, con i quali dobbiamo coprire i costi di produzione e riconoscere le royalties all'artista. Il resto va nell'ordine al negoziante, al distributore, allo Stato (iva al 22%), alla Siae.

Qual è lo scenario futuro?
Produrre singoli brani di jazz e relative contaminazioni per il mercato mondiale digitale. Realizzare dischi con musicisti dislocati in vari angoli del pianeta e sincronizzati con tecnologia a latenza zero. Costi abbattuti, produzioni rapide, qualità di eccellenza.

Per combattere il nemico comune non sarebbe meglio coalizzarsi? Quali sono gli ostacoli alla creazione di un consorzio o un network?
Le Major non fanno accordi con gli indipendenti, lasciamole pure alla deriva. Noi indipendenti non abbiamo ancora capito che un network porterebbe buoni frutti. Anche se in realtà, la distribuzione digitale rappresenta di per sé un network, che offre le stesse opportunità a tutti.

Anche le major non godono un buon stato di salute. In periodi di crisi è meglio essere "più piccoli"?
Figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi.

Cosa potrebbero fare le istituzioni per migliorare e aiutare il settore, soprattutto per la lotta contro la pirateria?
Abbattere aliquote e oneri Siae già darebbe un aiuto importante, così come agevolare i costi di spedizione di supporti di diffusione della cultura (libri e dischi) con facilitazioni fiscali. Se a questo affianchiamo una distribuzione on-line più snella ed economica di quella tradizionale (leggi vecchia) ecco che un disco originale può essere venduto e spedito a casa a 8 euro e ci sarebbero i margini per tutti, discografici, distributori on-line, artisti, autori. A quel punto nessuno andrebbe dall'ambulante in strada per risparmiare 3 euro e avere un prodotto di scarsa qualità.

La vostra struttura organizzativa si completa con il management? Ritenete, comunque, che possa essere utile per completare il percorso e fidelizzare al meglio i vostri artisti?
In realtà lo ritengo uno strumento fondamentale per la vendita del cd, il canale principale per la distribuzione e la veicolazione del progetto artistico e del disco stesso.

Quali sono le difficoltà che incontrate e qual è la tendenza del mercato dello spettacolo dal vivo?
Il concerto dal vivo è tornato da tempo ad essere una ricchezza per gli artisti e soprattutto è il discrimen che differenzia chi smanetta e produce un disco mediocre con aggiustamenti realizzati al computer (che quindi non ha le capacità di esibirsi dal vivo in maniera professionale) e l'artista vero.

A tal proposito, come giudicate lo stato di salute del jazz attualmente (sia quello italiano, che internazionale)?
Buona salute generale, grandi contaminazioni alla ricerca di nuove tendenze e quindi di nuovo pubblico. Il pubblico del jazz italiano è sempre più europeo. Stiamo creando con il Saint Louis una grande rete con Istituzioni di tutta Europa attraverso il quale spingiamo i nostri artisti in tour promozionali. Le città europee sono sempre più vicine e il pubblico va conquistato, non ci si può arroccare su posizioni ascetiche da presunto artista incompreso, bisogna muovere il fondoschiena e proporsi.

Il pubblico del jazz, almeno in Italia, è statisticamente provato che sia formato perlopiù da persone over 35 anni. In altri stati, però, ciò non succede. Secondo te quali sono i motivi di fondo? I prezzi dei biglietti sono troppo alti? Il jazz non trova spazio negli ordinari canali di comunicazione dei giovani? E' frutto di una crisi culturale?
Carenze educative nella scuola, carenze culturali in chi realizza palinsesti radiofonici e televisivi, carenze intellettive di chi riveste ruoli pubblici istituzionali preposti a politiche di sostegno verso gli artisti. "Con la cultura non si mangia" è una tipica frase di chi non avendo una cultura artistica né umanistica riduce la propria vita a un algoritmo matematico. L'Italia sopravvive grazie alla cultura mentre potrebbe vivere alla grande e sguazzarci dentro.

E' un fenomeno che mi dispiace constatare, ma la tendenza dell'Opera è quella di annoverare un pubblico sempre più giovane. Forse anche per il fatto che molte opere sono rivisitate da registi di chiara fama che lo hanno svecchiato parecchio. Nel jazz, però, anche lo svecchiamento non sempre porta risultati entusiasmanti. Come mai?
Perché nonostante lo svecchiamento gran parte dei nostri musicisti di jazz è tuttora convinto che il be-bop rappresenti l'avanguardia, mentre ormai è un fenomeno espressivo ultracinquantenne. Ben vengano i jazzisti che osano e che proprio quando vengono etichettati da certa critica in bianco e nero "Ma questo non è jazz!" vuol dire che sono sulla buona strada.

Non pensi che il jazz, in Italia, difetti in organizzazione e coordinamento? Sarà forse perché lo Stato e gli enti territoriali lo tengono sullo stesso livello delle sagre di paese (con tutto il rispetto anche per queste)?
Ogni tanto ci si riprova, ma gli individualismi sono molto forti di egocentrismo. Magari si tenessero le manifestazioni jazz sullo stesso livello delle sagre, ci sarebbe più attenzione e più sostegno economico.

Quali sono i prossimi progetti?
Attendo dalle nuove generazioni proposte interessanti e innovative, nel linguaggio e nella composizione, senza maniera, senza confini, senza pregiudizi, senza inutili timori reverenziali. Io sono pronto a produrle.







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Data pubblicazione: 08/11/2014

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