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Intervista a Cinzia Tedesco
Livorno, Piazza del Luogo Pio, sabato 7 agosto 2004
di Michela Lombardi

foto di Marco Losavio
(Gioia del Colle, Il Calore del Jazz 2003)

È da poco uscito il cd di Cinzia Tedesco Rite Time (UM Records, 2004), già recensito per Jazzitalia. Ho incontrato Cinzia nel backstage del concerto che ha tenuto a Livorno l'estate scorsa assieme al suo 4tet (con Pino Iodice, Pietro Iodice e Gianluca Renzi), nell'ambito della rassegna "Anfiteatro Jazz – Effetto Venezia". E ho trovato una persona solare, energica, limpida e molto aperta. Per la quale la musica non è un mezzo per arrivare da qualche parte, bensì è la vita stessa. Vita da condividere, anche. Sfogliando la sua accuratissima rassegna stampa mi ha subito colpito un articolo che descriveva la sua attività di volontariato in campo umanitario.

M.L.: …Prima ancora che di musica, vuoi parlarmi di questo tuo impegno in campo umanitario? Lo trovo molto bello!
C.T.:
Con piacere. Ho sempre partecipato a manifestazioni per la raccolta di fondi per varie associazioni, una delle quali è proprio il Centro Pace di
Assisi che, nella figura della dottoressa Isabella Santori, responsabile del progetto "Adottiamo Villaggi" mi ha chiamata l'8 marzo di quest'anno facendomi l'onore di investirmi del riconoscimento di «ambasciatrice di pace», perciò questo è uno stimolo a fare sempre di più e sempre meglio. Adesso sto collaborando con Isabella perché abbiamo raccolto fondi per l'adozione di un villaggio in Costa d'Avorio, a trenta chilometri da Abijan. Grazie al sostegno di molti artisti e dell'Enpals stiamo aiutando quella gente a bonificare paludi e costruire ospedali, affinché sia loro possibile vivere in condizioni accettabili in luoghi abbandonati da Dio e dagli uomini. È anche un modo di ringraziare la vita per aver ricevuto i mezzi che mi consentono di esprimermi e condividere ciò che ho.

M.L.: Da qui prenderei spunto per cercare di parlare di un'etica e di un senso di responsabilità – oltre che per la posizione di visibilità che grazie ad un'attività artistica si raggiunge – nei confronti della musica in sé, di ciò che scrivi e delle scelte espressive con cui porti al pubblico, inteso come un esteso «Tu», tali forme e contenuti.
C.T.:
Per me la responsabilità comincia innanzituto nella scelta di viversi appieno le cose che si fanno, senza risparmiarsi in nulla. In quello che faccio, qualunque cosa sia, vado a fondo, e spero di trasmetterlo.

M.L.: In che misura hai vissuto fino in fondo quella che possiamo descrivere come la "chiamata" a cantare? Visto che è proprio di una vocazione che si può parlare, quando si ha a che fare con una donna che sceglie di dedicare la propria vita al canto, tanti sono i sacrifici che spesso è chiamata a fare. Come è andata?
C.T.:
A dire il vero non mi ricordo di un momento in cui non abbia cantato. Ho delle fotografie di quando avevo tre anni, davanti al pianoforte, con la bocca spalancata, o all'asilo col microfono in mano! Quindi è una cosa che è nata con me, ed è così naturale, così spontanea, così parte di me che non riuscirei ad individuare il momento in cui ho deciso di cantare. E ho cantato di tutto, navigando tra diversi generi musicali: ritengo molto importante questa fase di «gavetta», che mi è servita per approdare poi a qualcosa che mi rappresenta al meglio.

M.L.: Dopo quanti anni?
C.T.:
Faccio jazz a tempo pieno da una decina d'anni, ma i primi tempi sono stati anni di studio, di confronto e di crescita con molti musicisti. Prima di ritrovarmi su palchi più grandi con musicisti favolosi che fanno di questa musica la loro vita, e lo fanno ad alti livelli, ho aspettato molto. Diciamo che quella attuale è una fase iniziata tre o quattro anni fa.

M.L.: Quali figure di musicisti rappresentano per te importanti punti di riferimento? Qualcuno che ha segnato un punto di svolta?
C.T.:
Amo molto Enrico Pieranunzi, è veramente magico. Ma più che singoli musicisti potrei parlare di certi sound ben definiti: l'atmosfera creata dal suono di Pat Metheny, ad esempio, fa parte del mondo sonoro che ho amato e che amo. E così la voce di George Benson e il talento grandioso di Stevie Wonder, immenso maestro ed ispiratore. Insomma ce ne sono tanti che mi hanno via via indicato strade per migliorare: più che di un netto punto di svolta parlerei di tanti continui indizi, piccoli aggiustamenti di percorso.

M.L.: A conferma delle ultime due risposte che mi hai dato, nei brani del tuo cd ci sono infatti influenze diverse: l'acid jazz, i ritmi afro (con Afro Blue), la rumba di Rite Time, il latin di Better Be Alone. Si tratta per lo più di inediti per i quali hai scritto tu i testi, in inglese. Che cosa ha ispirato i testi? Hai qualche punto di riferimento tra le cantanti jazz che scrivono anche testi, come Norma Winstone o Cassandra Wilson?
C.T.:
Non proprio, non mi ritengo una cantautrice. Scrivo in inglese perché lo trovo più facile, immediato e agile. Generalmente succede che Pino Iodice scrive melodie, me le fa sentire e subito, di getto, mi viene in mente un'immagine, un tema da sviluppare. Comincio a buttar giù qualche frase mentre riascolto la cassetta con il tema e nel giro di un paio d'ore la canzone è scritta. Vivo l'emozione di quello che ascolto, e le parole scaturiscono da lì ed hanno un nesso stretto con i suoni.
Ad esempio sulla melodia di Foxy Trot mi è venuto un testo contro la guerra, perché lo sentivo forte, tagliente. In Better Be Alone c'è invece già nella musica molta saudade per una separazione dolorosa quanto inevitabile. In Call Me Crazy, dalla melodia molto divertente, parlo di una bizzarra figura di donna che vive un po' sulle nuvole…

M.L.: Come ti sei trovata a cantare all'estero? C'è questo luogo comune per cui in certi luoghi (in Francia e nel nord dell'Europa in generale) c'è un pubblico più attento e preparato, per certa musica…
C.T.:
Mah, non direi. Ho trovato pubblico attento e pubblico distratto sia in Italia che all'estero. Quando si fanno i grandi festival c'è in genere, ovunque, un pubblico molto attento. Come stasera qui a Livorno, davvero una bella serata!

M.L.: Parliamo di didattica: come hai studiato? Porti avanti un'attività di insegnamento?
C.T.:
Non ho studiato canto bensì chitarra classica, per molti anni. Tuttavia non mi sono mai accompagnata alla chitarra mentre canto. Quanto all'insegnamento, non me ne occupo: io stessa studio per conto mio, facendomi guidare da ascolti molto differenziati. Ho un po' il timore che affidarsi ad un solo insegnante possa alla fine essere controproducente…

M.L.: E cosa mi dici dei progetti futuri?
C.T.:
Stiamo preparando un nuovo repertorio, sempre col gruppo composto da Pino e Pietro Iodice e Gianluca Renzi: lavoriamo insiema ormai da tre anni. Forse introdurrò una chitarra. Ma per adesso ci godiamo il contatto col pubblico, portando nelle varie rassegne i brani del disco.

M.L.: Hai mai cantato dei songbooks di singoli autori o interpreti?
C.T.:
No, non ancora. Ma più che il songbook, è il sound ad interessarmi.

M.L.: E hai mai pensato ad un disco col sound definito da un solo strumento con cui colloquiare?
C.T.:
Sì, con la chitarra. Mi piacerebbe molto realizzarlo. Con un suono à la Metheny…

M.L.: ….il quale, peraltro, è ormai avvezzo alle collaborazioni con cantanti, da Noa a Silje Nergaard a Anna Maria Jopek
C.T.: Perfetto, allora che dici… lo chiamiamo subito? [Ride, ndr]

M.L.: Facciamo un salto indietro nel tempo. A quali ricordi musicali sei più legata? Vedo qui sulla tua rassegna stampa una foto che ti ritrae insieme a Carl Anderson
C.T.:
Era una persona squisita… Lo conobbi nel backstage del musical Jesus Christ Superstar, quando venne a Roma. Gli dissi che pochi giorni dopo avrei cantato all'Alexanderplatz e lui mi venne a sentire, saltando sul palco per duettare con me su qualche standard. Sono felice di aver avuto la fortuna di conoscerlo. Ho un bel ricordo anche del Festival di Spoleto, due anni fa, dove ho cantato con il Solis String Quartet. E di quando ho fatto in teatro Fin de Siècle, con Piera Degli Esposti; cantavo cambiando continuamente abiti e parrucche, mi sono divertita molto! Così come di quando ho fatto televisione, con Pippo Baudo, lavorando in varie trasmissioni (Numero Uno, Il Piacere dell'Estate). E infine ricordo con piacere la recente intervista che Cristiana Ruggeri, del TG2, mi ha dedicato nella rubrica "Mizar", per l'uscita del cd.

M.L.: Azzardiamo, per finire, una «marzullata»? "Si faccia una domanda e si dia una risposta"!
C.T.:
Divertente! Così, se mi capiterà di essere intervistata anche da lui, non mi troverà impreparata! La domanda è: «Sei felice, Cinzia?». E la risposta è: «Sì».

Semplicemente. :-)








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Data pubblicazione: 18/12/2004

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