Intervista a Peppe Consolmagno
dicembre 2008
di Fabrizio Ciccarelli
Peppe
Consolmagno, percussionista riminese, utilizza strumenti in gran parte
autocostruiti con materiali recuperati nei suoi viaggi, come la zucca, il bambù,
il legno ed il metallo. La sua musica si esprime attraverso strumenti che appartengono
a culture extraeuropee, come quella del Brasile (sua principale fonte di ispirazione),
dell'Africa e dell'Asia, ma che hanno un linguaggio in comune. Il Gong birmano,
la Conchiglia, le Tazze da meditazione, i Vasi africani, i Flauti ad una nota pigmei,
i Tamburi ad acqua ed il Berimbau, uniti alla voce ed allo stretto rapporto intimistico
con essi, che egli ha, creano una dimensione unica dove prevalgono il suono naturale,
il silenzio, il timbro ed il ritmo.
Consolmagno
ha già al suo attivo partecipazioni da protagonista a Festivals internazionali,
tra gli altri "Umbria Jazz", "Festival Internazionale del Jazz a Montreal in Canada",
"Jazz o Brasil" a Parigi, RAI "RadioTre Suite", "V° World Music Festival" a Roma,
"Musica dei Popoli" a Firenze, Festival Womad, Fandango Jazz Festival – La Palma
a Roma, Festival International de Sousse in Tunisia, Festival Banlieues Bleues a
Parigi.
Ha una intensa attività di ricerca musicologica, che lo ha portato e lo
porta a tenere seminari e workshops sulla musica extraeuropea e sulla costruzione
degli strumenti a percussione, che tra l'altro egli stesso costruisce per Nanà
Vasconcelos, così come per Cyro Baptista,
Trilok Gurtu, Glen Velez,
Flora Purim, Duduka Da Fonseca e Paolo Vinaccia, su loro richiesta.
Attraverso il suo lavoro come giornalista e le sue interviste a famosi musicisti,
egli intende dare voce allo stile ed alla linea di pensiero che lo accomuna a loro.
Ha collaborato con altre forme di arte (teatro, pittura, scultura, poesia,
danza), Istituzioni (Università e scuole), e media (radio e Tv: Rai, Canale 5, Video
Music). E' tra i vincitori del Festival Arezzo Wave '95. E' stato socio Sidma e
tiene relazioni come critico musicale.
Chi intenda approfondirne la conoscenza può visitare il suo sito ufficiale:
www.peppeconsolmagno.com
Un musicista senza dubbio stimolante e disponibile ad ogni forma di dialogo,
non solo di tipo musicale…
A che punto sei con la tua ricerca sonora?
In eterno movimento! Costruire i miei strumenti per me non è solo una cosa fondamentale,
ma profondamente vitale. Sono oggetti sonori e per me è importante conoscerli, passare
per le loro fibre, ascoltarli, dialogare con loro ed emozionarsi. Tutto suona è
vero, ma un buon strumento è necessario farlo entrare in musica perché egli stesso
è musica. La ricerca del suono mi ha sempre caratterizzato. Ritengo che uno strumento
deve produrre un gran bel suono acusticamente, ma è necessario riuscire a farlo
suonare bene anche davanti ad un microfono, sia in studio che live.
Che
differenza trovi in questo?
Spesso alcuni fanno il contrario, si lasciano prendere dalla forma di uno strumento,
apparentemente anche dal suono dello strumento, poi quando è il momento di metterlo
in musica si sente che non riesce come dire, ad entrare. A me piace fare in modo
che il suono che ho creato si possa riuscire ad ascoltare in contesti completamenti
diversi, portando la stessa emozione e soprattutto la mia intenzione. Mettere qualcosa
in musica è un privilegio e si deve fare con grande dignità.
Una filosofia del suono?
Ho sempre pensato, e più tempo passa più questa idea matura, che il suono è il vero
veicolo di emozioni. Quando in musica faccio cose sottili, faccio rifermento ai
simboli, pertanto ai ricordi e alle esperienze. Per questo motivo non gradisco le
parole, rumori e effetti. Che poi rumore è quello che disturba, ma cosa è quello
che disturba realmente? Se il rumore lo si fa entrare in musica diventa suono e
quindi ecco che tutto si ribalta. Ho sempre dato grande importanza anche alle custodie
personalizzate per i miei strumenti. Con grande cura li metto a riposo, con grande
cura li trasporto e con altrettanta cura preparo il set sul palco. E' un rituale
che mi accompagna sin dall'inizio della mia attività di musicista. Preferisco costruire
strumenti importanti, ma anche facilmente trasportabili. Il problema del trasporto
non è una cosa di poca considerazione, ci sono strumenti veramente interessanti,
ma muoversi con loro è veramente complicato, non tanto per l'ingombro che di per
sé sarebbe già un problema, ma per i costi. Tutti vogliono tutto senza spendere
niente. Si fa presto a chiedere di bravi musicisti, buona musica, progetti originali,
spettacolarità, ma quando si parla di quattrini all'improvviso tutto diventa meno
interessante...Viaggiare con molti strumenti come ad esempio in aereo, implica all'organizzatore
un costo aggiuntivo che spesso non considera o non vuole considerare. In realtà
il problema c'è e non è indifferente. Spesso i flight cases pesano 20-25 kg vuoti
si fa presto ad intuire che se ad ogni kg viene chiesto un tot, tanti tot portano
all'equivalente di un passeggero in più...insomma…
Si parla molto di location per le esibizioni musicali,
va un po' di moda, ma sono d'accordo con te che il luogo possa ispirare e/o richiedere
una preparazione al concerto del tutto particolare, uno studio "geometrico", acustico,
ambientale…
Chi organizza un festival o una rassegna deve pensare bene alla collocazione fisica
del concerto all'interno di una struttura, partendo dal genere musicale che propone,
e se è all'aperto deve considerare maggiormente l'acustica del posto, le interferenze
acustiche: strade di percorrimento vicine, negozi, percorsi pedonali, ferrovia,
campane, palazzi di fronte al palco che spesso provocano ritorni sgradevoli, la…pioggia…come
riparare gli strumenti musicali e quelli del service audio video in caso di pioggia
improvvisa e soprattutto nel caso di pioggia minacciosa avere già pensato per tempo
ad un luogo adeguato al chiuso. Contestualizzare è un termine che mi appartiene
e mi piace. Quando vengo chiamato per un concerto la prima cosa che voglio sapere
è in quale contesto vengo inserito, il luogo, la capienza, l'acustica, il tipo di
festival, il service e il fonico. Non dico che il luogo vada creato appositamente,
ma semplicemente di cercare luoghi adatti al tipo di musica che chi organizza vuole
proporre, tenendo conto delle esigenze e del tipo di musica che fa il musicista
che viene invitato. Queste informazioni mi permettono di "essere già lì", di pensare
come muovermi, come poter interagire con l'ambiente e con il pubblico. Questa mia
necessità si è sempre rivelata utile e più le informazioni sono corrette, più il
concerto va bene.
Se uno strumento suona bene e si sente bene, arriva al pubblico, soprattutto
arriva la tua intenzione. Non ho mai creduto che il pubblico non capisce niente,
anzi! Bisogna tener presente che salire sul palco è un privilegio e che il pubblico
va omaggiato, va coinvolto, senza spiegare niente. Le parole vanno bene qui, mentre
in musica è lo spazio e il silenzio che permettono a chi ti ascolta di sognare,
di immaginare, di riflettere, di emozionarsi e ognuno a suo modo.
Condivido del tutto la tua opinione: il contrario avviene,
purtroppo, molto spesso; questo il motivo, probabilmente, per il quale certe esibizioni
risultano gelide se non stranianti o noiose.
Penso proprio di sì. Se la musica non passa per il cuore, non è musica.
Quanto jazz è rimasto secondo te nel panorama musicale?
Mah, non so. Per alcuni molto, per alcuni è scomparso. "Jazz" è un termine così
vasto, ma pone spesso molti limiti e ghettizzazioni, quindi come ci sto dentro cerco
di uscirne fuori, preferisco stare nelle zone di confine che per loro collocazione
sono aperte, recettive, creative, dove lo spazio è unito ritmicamente dal silenzio.
Quello che mi piace del jazz è la possibilità di poter improvvisare e di poter rielaborare
qualunque musica con intelligenza e raffinatezza.
Come definiresti la tua musica? Se io dicessi "world" direi
tutto e niente, se facessi riferimenti alla New Age sarebbe troppo riduttivo.
Proviamo a dare i confini del tuo sound….un sound di confine?
Mah!
ti dirò che musica di confine…mi suona bene. Suonare per me è come viaggiare, conoscere
persone nuove, mantenere la propria identità, ascoltare e interagire. Quando incontro
altri musicisti non penso subito a suonare, di fare body building sul palco, ma
preferisco chiacchierare, magari a tavola, conoscersi, sapere che ci si può trovare
a suonare insieme anche senza aver fatto prove prima. Rispetto della propria persona,
rispetto dello spazio senza grosse imposizioni, ascoltare e seguire l'idea di uno
e far entrare la tua. Usando la tua definizione, è saper riconoscere i propri confini
e quelli degli altri, essere consapevoli dove finisce il tuo essere musicista e
dove quella dell'altro. Ti faccio un esempio di come è nato il cd "Vasconcelos,
Salis, Consolmagno" [Cajù Records, 2005,
N.D.R.]: Nana mi propose di suonare in trio con lui e
Antonello
Salis. Loro due avevano già suonato insieme oltre venti anni e fecero
un magnifico cd dal titolo"Lester". Io avevo già fatto alcune piccole esperienze
con Nana ma non avevo mai suonato con Antonello. Ci trovammo a Roma in un bellissimo
festival [Fandango Jazz Festival – La Palma, 2004,
N.D.R.] per il primo concerto del trio. Nessuna prova fatta insieme fino a quel
giorno, nessuno scambio di brani, niente di niente. Ci furono messe a disposizione
solo un'ora e mezza per fare le prove prima del concerto. Capisci…un'ora e mezza…fu
giusto il tempo per creare la scaletta del concerto. Nana disse: "inizio io con
due brani (suoi storici:"Berimbau" e "Vamos
pra Selva"), poi? Peppe cosa pensi di fare?" accennai il mio brano
"Lion Heart" dedicato a mio figlio e Nana disse:
"Perfetto!", Antonello mi chiese di fargli sentire la tonalità e come si
sviluppava il brano, pochi cenni e via avanti così per tutta la scaletta…Siamo saliti
sul palco, abbiamo suonato e il concerto è diventato un Cd di cui vado molto fiero,
pubblicato dalla Cajù Records.
Quali i tuoi progetti per il futuro?
Suonare, suonare e suonare. Ho inciso da poco due cd che usciranno nel
2009. Il primo di
Daniele Pasini,
flautista sardo di valore e figlio d'arte, il padre organista, la madre pianista
e il fratello violista. Registrato a Elmas in provincia di Cagliari in una bella
atmosfera e con bravi e giovani musicisti del posto, basso, contrabbasso, batteria,
flauto ed io. In due brani ha suonato anche mio figlio Leonardo di sei anni e ne
vado fiero.
Perché questa scelta? I bambini possono dare un cromatismo
particolare? La loro interpretazione è del tutto singolare, al di fuori – spesso
– degli schemi, soprattutto spontanea ed improvvisata, non mediata dalla razionalità.
Ma allora non è un po' jazzistica?
La mia è una scelta affettiva principalmente. Mio figlio è abituato a seguirmi nei
miei concerti e viaggi, è molto rispettoso, conosce molto bene le cose che faccio
e come le faccio, con lui ho una parte di me che mi porto dietro. Il lavoro con
Daniele Pasini
si è rivelato un'eccellente occasione dal momento che la musica stessa che si andava
a fare era molto libera.
Pasini
si è ispirato al concerto per flauto e orchestra di J.Ibert, ma ognuno ha navigato
dentro e fuori dalla sua intenzione con le proprie idee. Inserire mio figlio è come
aver inserito una voce, un mio pensiero, è come aver lavorato con quattro mani.
Il suo inserimento non è stato programmato, si è avvicinato al set durante la registrazione
e tutti quanti abbiamo colto l'occasione al volo, si è seduto sul mio tappeto gli
ho dato alcuni strumenti in mano e via. Il momento che si è creato è stato veramente
un momento singolare, spontaneo e improvvisato…questo modo certamente si lega la
mondo jazzistico ed è questa una maniera in cui ci sto volentieri e mi sento a mio
agio. L'altro Cd è con l'Orchestra Orizzontale, un doppio quartetto capitanato dal
sassofonista, anche scrittore e pittore, Antonio Marangolo con cui collaboro
da 18 anni e legati da profonda stima. Dovrà far parte di un cofanetto molto interessante
contenente un libro e tre cd, il primo con il Marangolo Quartetto Orizzontale
di cui ho fatto parte e che ha avuti grossi consensi anche al Festival Internazionale
di Jazz a Montreal nel 1990, il Quartetto Orizzontale
quasi Verticale, di cui non ho fatto parte e per ultimo l'Orchestra Orizzontale,
reduci dalla prima del gruppo al Ovada In Contemporanea Festival. Non vedo l'ora
di avere in mano il cofanetto e di suonare presto con loro. Ultimamente mi stanno
arrivando diverse proposte di collaborazioni anche discografiche con artisti interessanti,
spero di potertene parlare meglio presto. In questo periodo sto facendo le prove
con un folto e valido gruppo di musicisti per un omaggio a Santana.
Perché proprio Carlos Santana? Ha dato parecchio al
rock, anche se più di una volta si è lasciato prendere dal business, anche un po'
troppo…
Questo gruppo è nato dalla voglia dell'amico pesarese Riccardo Gravagna,
grandissimo appassionato di musica e in particolar modo di Santana. Ha chiamato
vari musicisti tutti amici da tempo e che provengono da esperienze diverse, una
bella occasione per vederci e per suonare insieme. Come sai spesso nella propria
città non si suona mai con i colleghi del posto, finalmente avremo una buona occasione
con una serie di concerti estivi.. Ho progetti molto interessanti che meritano di
suonare molto di più come il gruppo Ishk Bashad il supertrio con Nana
Vasconcelos e
Antonello
Salis.
Che significato assume, secondo te, il "villaggio globale"
di cui tanto si parla, sia a livello artistico che politico? In altre parole: oggi
la musica è meno definita di una volta, troviamo tracce di nepalese nel rock, di
maghrebino nel jazz, di gitano nel pop… "tutto nel tutto", insomma. E' sempre un
fatto positivo perché significa che più culture interagiscono…Tutti in ogni luogo
(cinesi a Roma, albanesi a Milano, pachistani a New York, americani in Polinesia,
italiani in VietNam, e via dicendo): questo secondo alcuni potrebbe creare, di fatto,
problemi di ordine antropologico e non solo...
Non so è un problema che mi sono posto in altra maniera. Dipende come vengono usate
le cose, come si conoscono, che valore si dà loro. Il Brasile è costituito da un
triangolo di tre colori, giallo, bianco e nero: Indios, europei, africani. Di per
se la mistura è bella che fatta. Oggi, dopo tanti anni di fatiche, di battaglie
sui diritti etc., finalmente c'è un bel equilibrio che fa la vera bellezza di quel
paese. Pensando alle influenze musicali, gli indios avevano la loro, i bianchi quella
considerata erudita e quella tradizionale, gli africani quella dell'Africa centrale
ma anche quella araba. Pensando agli strumenti, basti pensare al pandeiro (tamburo
a cornice con sonagli brasiliano), le sue origini sono nordafricane, passate per
i paesi bagnati dal mediterraneo come l'Italia e la Spagna per poi approdare in
Brasile. In ogni paese questo strumento ha nomi differenti e diverse sono le maniere
di costruirlo e di suonarlo. Ognuno se lo è fatto proprio, lo ha inserito nella
propria musica e l'integrazione è molto ben riuscita. Negli anni 80 c'era molto
la voglia di inserire sonorità lontane, vero che a quel tempo era sufficiente la
sonorità per creare effetti "particolari". Oggi non è più possibile, si viaggia
rapidamente e ancora di più velocemente con internet, tv, etc.. Il procedimento
di conoscenza è accelerato e ci sono in giro per il mondo troppi magnifici musicisti
specialisti del proprio strumento, pertanto ora bisogna solo inserire l'autentico.
Il problema di creare "marmellate" rimane comunque lo stesso e viene superato e
innalzato nel suo valore solo se le diverse realtà come anche quelle musicali riescono
a coesistere, se sono basate sul rispetto di ciascuna, su come interagiscono tra
loro. Questo processo di integrazione rimane più facile se ogni realtà inserisce
la sua vera forma, la sua vera originalità. Si parlava tempo fa in musica di contaminazione…una
parola che di per sé sa di sporco, di infetto, di inquinante, si dovrebbe parlare
di confluenza, di commistione, no? Secondo me ognuno deve essere se stesso e saper
confrontarsi con chi ha davanti. Rimanere autentici, rispettando e facendosi rispettare.
E' un fatto di distanze, di spazio, per poi confluire uno nell'altro. Se una brasiliana
cucina un suo dolce tipico e per accontentare i suoi ospiti italiani, mette meno
zucchero, indebolisce i sapori, ecco che non è più un dolce brasiliano, gli ospiti
sono apparentemente contenti ma nella loro memoria rimarrà ben poco di quella esperienza.
Allora cosa serve? Non è meglio che cucina in maniera autentica, sapendo che troverà
nell'immediato non troppi apprezzamenti e tante critiche, ma a lungo andare l'autenticità
rimane nel codice delle persone, pian piano matura e si affina nel tempo e prima
o poi quelle stesse persone saranno veicolo di quello che hanno conosciuto.
Cosa ne pensi dei tentativi musicalmente "polimorfi" di
Peter Gabriel o di David Sylvian o, in tempi passati, del jazz di
John Coltrane, Mongo Santamaria, Miles Davis, Keith Jarrett,
Art Ensemble of Chicago, Ahmad Jamal e via dicendo?
Per certi aspetti sono stati tentativi molto validi. Quelli di Peter Gabriel hanno
dato molta visibilità a tanti musicisti e questo è un lato positivo, dall'altro
costringendoli ad aggiungere un "bit" accattivante, più rock se vuoi, più popolare,
meno. Nell'ambito jazzistico invece c'è più purezza, più eleganza, più voglia di
confronto. Un musicista ha bisogno di entrambe. Certo, dipende quale è il suo punto
di partenza. Io preferisco stare e mi sento più legato all'ambito jazzistico per
poi ampliare il mio bagaglio e la mia voglia di sentirmi mentalmente più "libero".
Miles Davis come anche Joe Zawinul, sono state vere scuole. Aver suonato
con loro ha dato veramente visibilità. Spesso sono stati veri momenti frenetici
e convulsi, mi riferisco all'aspetto umano e non di riuscita musicale, dove il musicista
sapeva cosa voleva dire accettare l'incarico in termini di notorietà, ma doveva
essere ben preparato a stare a contatto con il "fuoco".
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
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Data pubblicazione: 08/02/2009
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