Ishk Bashad, nella lingua dei Sufi
- religiosi dell'Islam - è un saluto, un augurio di pace ed amore: non possiamo
che considerarlo un auspicio. Un ensamble, nato attingendo musicisti appartenenti ad aree geografiche diverse, composto dalla tunisina
Mouna Amari voce e oud (tipico strumento Arabo, una sorta di liuto a manico corto), i siciliani
Enzo Rao al violino e Giuseppe Grifeo al pianoforte (ahimè digitale!) - autore di tre delle sei tracce, ed arrangiatore - e
"l'apolide", poliedrico percussionista, Peppe Consolmagno.
Il disco è frutto di una registrazione live, per l'appunto, al Womand Festival
di Palermo, il cui organizzatore è Peter Gabriel uno dei pionieri delle contaminazioni etniche. L'incontro tra le culture musicali occidentali e quelle orientali da vita a questo disco particolare, non sempre originale, qualche volta stridente nell'accostamento tra la timbrica dell'oud e quella, a tratti cacofonica, del pianoforte - ad esempio nella parte terminale del brano Gianub
-. Eufonicamente contrapposta, invece, la splendida voce di Amari, il violino magico di
Rao e le percussioni di Consolmagno sempre perfettamente incastonate nell'economia della formazione. Pregevoli restano alcuni passaggi per tensione e volontà di fondere atmosfere etniche e new age. Qualcosa di misterioso e meditativo aleggia nel disco, come in Dervish, che prende, intriga, ricorda sapori millenari, ma forse è troppo poco. Indiscutibile il valore dei musicisti tutti e la genuinità dell'esecuzione - senza nessuna alchimia tecnica - probabilmente non sufficienti per far dire: "qualcosa di nuovo sotto il sole", sia esso nordafricano, magrebino o siciliano.
Franco Giustino per Jazzitalia