Luigi Tessarollo/Rachel Gould Quartet
Volterra (PI), 8 agosto 2004 – Piazza dei Priori
di Michela Lombardi
Sono arrivata nella suggestiva Piazza dei Priori, nel centro di Volterra, con qualche minuto di ritardo rispetto al previsto, perdendomi così il brano d'apertura del concerto del quartetto di Luigi Tessarollo, ben noto chitarrista e compositore torinese, e Rachel Gould, di origini americane ma ormai da molti anni residente in Olanda. Alla batteria c'è il giovane ed esperto
Giovanni Gullino, anch'egli piemontese (di Saluzzo, per l'esattezza), mentre al contrabbasso, diversamente da quanto scritto sul programma (che prevedeva Alessandro Maiorino), c'è l'ottimo Nicola Muresu.
Chiedo allo spettatore seduto accanto a me con quale canzone si fosse aperto il concerto: è straniero, e mi risponde con pronuncia impeccabile che si trattava di
The More I See You. Scritta da Harry Warren e Mark Gordon e già nel repertorio di cantanti dal gusto sopraffino quali Johnny Hartman e Nat King Cole, mette subito in luce una propensione alla quale
do molta importanza: niente in contrario con chi sceglie di cimentarsi con brani arcinoti e strasuonati – un buon piatto si gusta sempre con piacere, mi disse un grande jazzista, anche se è il più tradizionale – ma quando mi imbatto in una scelta che pesca nella tradizione brani un po' meno percorsi e dalle lyrics un po' più ricercate ho la sensazione di un tuffo in acque fresche, e di trovarmi di fronte un'interprete che cerca con particolare consapevolezza e amore.
Seconda in scaletta è la malinconica
I Keep Going Back To Joe's, di Fisher e Segal, che la
Gould racconta di aver conosciuto grazie alla versione di Mark Murphy (è una canzone che è stata anche ripresa dal suo talentuosissimo epigono Kurt Elling), dalla quale sicuramente ha attinto la capacità di tratteggiare con toni bluesy e fumosi la languida e drammatica immagine di un protagonista che continua, dopo la fine della sua storia d'amore, ad andare al vecchio pub dove spera di veder entrare l'amante che l'ha abbandonato, «just in case you miss me too…».
Dopo la saudade jobimiana di
Meditation
(con uno scat lieve fatto tutto di «ya… ye… ya…», quasi senza consonanti) e la nostalgica
The Old Country
di Nat Adderley (canzone che era stata incisa dal fratello Cannonball insieme ad un'altra fine interprete quale è Nancy Wilson), il cuore è traboccato con la toccante e splendida
You Are There,
di Dave Frishberg e Johnny Mandel. Muresu e Gullino lasciano il palco a voce e chitarra per un duetto di estrema delicatezza: un chorus lei, dove la melodia è rispettata in tutta la sua semplice bellezza, uno
Tessarollo ed infine un altro cantato con alcune discrete variazioni, e il pezzo è sfumato dalla chitarra con una progressione discendente su un accordo che richiama poeticamente l'allontanarsi di un sogno. Il lirismo tutt'altro che manieristico di Luigi Tessarollo – che notoriamente attinge da fonti ispirative non soltanto strettamente jazzistiche – e il solido disegno narrativo che sottosta (precedendolo, con grande consapevolezza) ad ogni suo solo ne fanno un solista di prima grandezza nonché, in un simile contesto, un sensibilissimo partner in grado di entrare in forte empatia con la poetica della Gould, come pure di ogni differente mood che via via le singole composizioni hanno incisivamente ricreato.
Il brano seguente,
Dancin' On A Dime, è uno swing sostenuto scritto dalla stessa
Gould (dava il titolo al suo disco con Tamburini, M. Tonolo, Beggio e Testa, uscito per la Caligola Records nel 1999) dove Rachel sfodera un brillante scat con fraseggio bop e dove
Muresu si ritaglia un bel solo giocando su note acute.
Dopo una rilettura bossa di
On The Street Where You Live
(di Lerner e Loewe) dal musical My Fair Lady (e sul tempo latin il drumming fluido e preciso di
Gullino spicca particolarmente) ed una versione in 6/8 della dolcissima
Here, There And Everywhere
di Lennon e McCartney, ecco di nuovo un brano scritto da Rachel, la ballad con reminiscenze ellingtoniane
Do You Feel What I Feel?, che sarebbe piaciuta a Carmen McRae: lo stile è declamatorio, e lo scat fatto quasi esclusivamente di «uo… uo…» ricorda le sonorità di un trombone (o Sarah Vaughan alle prese con
Chelsea Bridge…).
La scaletta si chiude con una versione sostenuta di
Come Rain Or Come Shine: la Gould la annuncia come una delle sue preferite, si scusa se il freddo e l'umidità della notte volterrana hanno fatto un po' cedere le accordature, ringrazia i tecnici del suono e gli eccellenti musicisti che hanno suonato con raffinatezza e tecnica impeccabili («it's a privilege, for me, to play with these guys…», esclama scambiando un'occhiata di gratitudine e complicità con il co-leader
Tessarollo). La canzone si chiude con grande entusiasmo, tra sanguigne frasi bluesy e scoppiettanti scambi – di rito – con la batteria.
L'energia è a livelli alti, e gli applausi richiamano l'affiatato 4tet sul palco. Il bis arriva immediatamente con
It's You Or No One
di Sammy Cahn e Jule Styne: ancora scambi, ancora gioioso piacere di suonare stando presenti alla musica, a sé, agli altri dentro e fuori dal palco. Ancora bell'interplay, insomma.
Il freddo si è inasprito e la band deve ancora cenare, ma Rachel Gould con estrema disponibilità si sistema con me dietro il palco, su due sedie di plastica che mi aiuta ad estrarre dalla pila, e mi concede («I'm pleased… I'm honoured!»)
ancora un quarto d'ora per qualche domanda e risposta.
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l'intervista di Michela Lombardi a Rachel Gould
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Data pubblicazione: 19/09/2004
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