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2008 - FLEDG ‘ LING RECORDS – 50 SSTROUD GREEN ROAD LONDON N4 3ES
Chris Mcgregor's Group
Very Urgent


1. Marie My Dear/Traveling somewhere
2. Heart' s vibration
3. The sound's begin again / White lies
4. Don't stir the beehive

Chris Mcgregor - piano
Dudu Pukkwana - alto
Mongeza Fezi - pocket trumpet
Ronnie Beer - tenore
Johnny Dyani - basso
Luois Moholo - batteria



"Suonava come danzano le fiamme": così Chris McGregor salutò per sempre l'amico e compagno di tante avventure musicali Mongeza Fezi. Non trovo parole diverse e più appropriate per definire il clima di questo disco, vecchio oramai di quarant'anni ancora vivo, struggente, ruggente. A suonare le quattro tracce, in un piccolo studio a Londra, era un gruppo di musicisti sudafricani che già da quattro anni vivevano in Europa, per sfuggire al clima soffocante dell'apartheid. Le leggi allora vigenti impedivano ad un gruppo misto (McGregor era bianco) di suonare liberamente. In Sudafrica erano conosciuti come "The Blue Notes". Erano un quintetto, ma questa incisione vede aggiungersi un altro connazionale, il tenorista Ronnie Beer. Nei loro pochi anni di attività, i componenti dei BN sperimentarono qualsiasi tipo di avventura jazzistica. Memorabile la band degli anni 70 la Brotherhood of breath nella quale militarono anche personaggi come John Surman o Mike Osborne (nel 2006 la Feld' Gling ha ripubblicato due episodi della storia di quel magnifico gruppo).



P
er saperne di più su The Blues Notes e sul jazz sudafricano è indispensabile comunque la lettura de "Il jazz e l'Africa" di Luigi Onori.

In "Very Urgent" i sei musicisti sono immersi in una atmosfera prevalentemente free. Il primo brano però comincia con una sequenza melodica dolcissima, per sfociare in una lunga fase improvvisata dove il piano di McGregor diventa una specie di percussione aggiunta. L'atmosfera del pezzo è surriscaldata, ma ancora leggibile. Le frasi sono spezzate, lo swing è aspro, ma si possono immaginare dei danzatori che si muovono su quei ritmi.

"Heart vibration" è uno di quei folli voli tipici della cultura del free jazz. Una battaglia sonora che si svolge sul fondale ribollente disegnato dal piano di McGregor (il pianoforte, diceva, è il mio tamburo preferito).

Stessa temperie emotiva nella terza traccia nella quale i ritmi appiccano un vasto incendio sonoro, alimentato dai venti selvaggi della tromba e dei sax.

Il culmine del disco è il quarto titolo, basato su un inno religioso sudafricano. Sulle volate del piano e sulle raffiche di basso e tamburi, i fiati accennano la melodia. Sembrano una banda che stia scaldando gli strumenti. Una sequenza sospesa, come in attesa di uno spirito che debba venire a materializzarsi. Poi il canto esplode roco, gridato, si dissolve in mille brandelli infuocati, poi riemerge ardente ed affranto. E' una marcia incerta e dolorosa la storia sonora di questo pezzo. Un cammino difficile, dentro, a volte contro, le proprie radici musicali ed umane.

Aleggia il fantasma di Trane su queste quattro tracce, nel primo brano risuona la musica di Duke- Ma i Blue Notes avevano una loro, irripetibile, cifra emotiva. Il loro free jazz non è una solo esplorazione di nuovi territori musicali. E' un racconto ardente, di miti e storie, di paesaggi africani, di battaglie per la libertà, di struggente lontananza.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia







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Data pubblicazione: 08/09/2008

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