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 "Suonava come danzano le fiamme": così Chris McGregor salutò per 
sempre l'amico e compagno di tante avventure musicali Mongeza Fezi. Non trovo 
parole diverse e più appropriate per definire il clima di questo disco, vecchio 
oramai di quarant'anni ancora vivo, struggente, ruggente. A suonare le quattro tracce, 
in un piccolo studio a Londra, era un gruppo di musicisti sudafricani che già da 
quattro anni vivevano in Europa, per sfuggire al clima soffocante dell'apartheid. 
Le leggi allora vigenti impedivano ad un gruppo misto (McGregor era bianco) di suonare 
liberamente. In Sudafrica erano conosciuti come "The Blue Notes". Erano un 
quintetto, ma questa incisione vede aggiungersi un altro connazionale, il tenorista
Ronnie Beer. Nei loro pochi anni di attività, i componenti dei BN sperimentarono 
qualsiasi tipo di avventura jazzistica. Memorabile la band degli anni 70 la Brotherhood 
of breath nella quale militarono anche personaggi come John Surman o
Mike Osborne (nel 2006 la Feld' Gling 
ha ripubblicato due episodi della storia di quel magnifico gruppo).  
 Per saperne di più su The Blues Notes e sul jazz sudafricano è 
indispensabile comunque la lettura de "Il jazz e l'Africa" di Luigi Onori.
 In "Very Urgent" i sei musicisti sono 
immersi in una atmosfera prevalentemente free. Il primo brano però comincia con 
una sequenza melodica dolcissima, per sfociare in una lunga fase improvvisata dove 
il piano di McGregor diventa una specie di percussione aggiunta. L'atmosfera 
del pezzo è surriscaldata, ma ancora leggibile. Le frasi sono spezzate, lo swing 
è aspro, ma si possono immaginare dei danzatori che si muovono su quei ritmi. "Heart vibration" è uno di 
quei folli voli tipici della cultura del free jazz. Una battaglia sonora che si 
svolge sul fondale ribollente disegnato dal piano di McGregor (il pianoforte, 
diceva, è il mio tamburo preferito).  Stessa temperie emotiva nella terza traccia nella quale i ritmi appiccano 
un vasto incendio sonoro, alimentato dai venti selvaggi della tromba e dei sax. Il culmine del disco è il quarto titolo, basato su un inno religioso sudafricano. 
Sulle volate del piano e sulle raffiche di basso e tamburi, i fiati accennano la 
melodia. Sembrano una banda che stia scaldando gli strumenti. Una sequenza sospesa, 
come in attesa di uno spirito che debba venire a materializzarsi. Poi il canto esplode 
roco, gridato, si dissolve in mille brandelli infuocati, poi riemerge ardente ed 
affranto. E' una marcia incerta e dolorosa la storia sonora di questo pezzo. Un 
cammino difficile, dentro, a volte contro, le proprie radici musicali ed umane.
 Aleggia il fantasma di Trane su queste quattro tracce, nel primo brano 
risuona la musica di Duke- Ma i Blue Notes avevano una loro, irripetibile, 
cifra emotiva. Il loro free jazz non è una solo esplorazione di nuovi territori 
musicali. E' un racconto ardente, di miti e storie, di paesaggi africani, di battaglie 
per la libertà, di struggente lontananza.Marco Buttafuoco per Jazzitalia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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| Questa pagina è stata visitata 1.570 volte Data pubblicazione: 08/09/2008
   
 
 
 
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