Nel 2004 cade il decennale delle prime elezioni libere che segnarono la fine ufficiale dell'apartheid sudafricano.
Questa ricorrenza è l'occasione giusta per ricordare che la lotta contro la segregazione razziale non è stata combattuta soltanto con le armi della politica e della diplomazia, ma anche con la musica. In particolare con il jazz, dato che l'apartheid era nato per impedire quel dialogo culturale fra bianchi e neri che ha trovato in questa musica una delle espressioni più alte. Del resto il jazz, nato dalla volontà di riscatto della comunità afroamericana, non poteva restare muto davanti al regime razzista di Pretoria. Se lo avesse fatto avrebbe negato le proprie origini: come un organismo che avvertiva il ritorno di un pericolo già noto, la musica afroamericana doveva lottare contro l'apartheid.
A questa lotta parteciparono musicisti bianchi e neri, sudafricani ed europei, che proprio suonando insieme intendevano rappresentare una sfida permanente al regime che vietava lo scambio culturale fra gli artisti di colore e quelli di origine europea.
Uno dei casi più interessanti è quello di Chris MacGregor, pianista e direttore d'orchestra bianco, che nel
1964 lasciò il Sudafrica
perché non poteva più tollerare l'apartheid. Si stabilì a Londra, dove iniziò una fruttuosa collaborazione con i jazzisti inglesi e con altri esuli sudafricani: artisti di valore come
Elton Dean, Marc Charig e Dudu Pukwana, animatori di una stagione musicale entusiasmante. L'orchestra originaria di MacGregor si chiamava Blue Notes, ma dopo l'arrivo in Gran Bretagna venne ribattezzata
Brotherhood of Breath. Questo nome ("confraternita del respiro") sintetizzava in maniera perfetta la volontà di suonare insieme, bianchi e neri, con il massimo dell'energia vitale.
Un ottimo esempio della sua musica ci viene fornito da questo disco doppio, registrato in tre concerti europei che ebbero luogo fra il
1971 e il 1975. In questo magma pulsante confluiscono i ritmi
xhosa, le tipiche sonorità della big band e quelle dell'improvvisazione britannica. Merita un plauso sincero l'etichetta
Cuneiform, che da vari anni sta ristampando materiale prezioso ormai introvabile.
Alessandro Michelucci per Jazzitalia