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Intervista a Gaspare Pasini
novembre 2012
di Marco Losavio

in occasione dell'esordio del progetto "Pepper Legacy", incontriamo il sassofonista Gaspare Pasini, promotore del progetto tributo ad Art Pepper e leader del gruppo che riunisce i principali compagni di Pepper.



In un mondo musicale in cui abbondano i tributi, ne arriva un altro che ha però radici molto sentite, quasi "spirituali". Come nasce l'idea di un tributo a Pepper e cosa si prefigge il progetto Pepper Legacy?

Sono nato nel 58 e Art Pepper ha accompagnato i miei esordi di altosassofonista in tempo reale, quando era ancora in vita. Ho iniziato ad ascoltare jazz a 14 anni (all'epoca suonavo la batteria in ambiti musicali diversi e dopo quattro anni ho preso in mano il contralto) motivo per cui mi sono subito imbattuto negli album attuali di quegli anni e quindi della fase finale – purtroppo, visto che è mancato a 56 anni e nel pieno della sua creativita' – del suo percorso. Contemporaneamente a Pepper ascoltavo molto anche Gato Barbieri (quello dei Chapter e dei Bolivia, gli album con quel genio di Edy Martinez con il quale quest'anno ho avuto finalmente l'occasione e la fortuna di suonare ed incidere assieme a Ray Mantilla ed Ares Tavolazzi) che con Pepper condivideva - seppur in ambito e con linguaggio totalmente diverso – una viscerale profondità del suono ed una ricerca melodica mai scontata. Ho vissuto anche l'indimenticabile esperienza di ascoltarlo due volte dal vivo e l'emozione di quei momenti mi e' rimasta scolpita nel cuore ed ancor più nello stomaco; non ricordo come avesse suonato (non sempre le sue performance erano all'altezza delle sue eccezionali capacità) ma ricordo di aver assistito ad una vera e propria offerta di tutto ciò che in quel momento aveva dentro, un donare al pubblico tutto ciò che in musica potesse raccontare di sé. Il termine "spirituale" mi piace perché rappresenta, in questo caso,  l'intenzione" che Pepper ha stabilito e mantenuto con la sua musica nei confronti di se stesso e di chi lo ascoltava: trasmettere energia e quindi amore. Come scritto nel folder di presentazione del progetto, "Pepper Legacy" (ho scelto questo nome perchè il concetto del legame fra i musicisti ritengo sia davvero importante per raggiungere quel quid in più del semplice "suonar bene" che contraddistingue l'autenticità del tributo) vuole essere un sincero ripercorrere, a trent'anni dalla sua morte e dal successivo semi-oblio di lui e della sua musica, le composizioni che nell'ultima parte della carriera hanno maggiormente rappresentato e contraddistinto il suo linguaggio e la sua poetica.  Phil Woods, quando l'anno scorso gli scrissi per sapere cosa pensasse di questo progetto, mi disse che facevo bene a farlo perchè nessuno aveva mai più suonato la musica del suo amico Art; e mi ha spedito il brano (ad oggi inedito) che lui stesso aveva scritto per la scomparsa di Pepper invitandomi a suonarlo. Oggi si fa un gran parlare di progetti perchè, in questo mondo malamente globalizzato in mano ad una comunicazione virtuale spesso manipolatoria, gli operatori di tutti – tutti – i settori devono fare i conti con la cultura (???) del "mordi e fuggi" e dell' "usa e getta" che per nulla si accompagna al significato storico-eziologico-artistico del jazz; lo stesso Phil (ne parlavo anche con Bill Goodwin a Modena recentemente) ha la stessa sezione ritmica da quasi sette lustri e a ottantun anni suona ancora in modo così divino che non ha alcun bisogno di chiamare i suoi concerti "progetto... ". Ma il mio sì, alla fin fine è un progetto (debbo "obtorto collo" ammetterlo): far conoscere i pezzi nei quali uno dei più grandi altosassofonisti di tutta la storia del jazz si è indissolubilmente connaturato e con i quali si è totalmente esposto, pezzi di cuore stomaco e cervello sparsi senza riserve sul grande pentagramma che sta nel cielo di ognuno di noi.

La musica di Art Pepper ha attraversato diverse influenze, ha imprinting che mutano a seconda dei periodi in cui Pepper abbia suonato. Esiste un periodo particolare a cui il progetto si riferisce?
Le influenze che Pepper ha acquisito sono certamente diverse – come per tutti i musicisti, peraltro – e sono rimasto stupito quando ho letto uno stralcio di una sua intervista che ricordava la sua totale adorazione per Coltrane, con il quale passava ore a parlare di musica: ripensandoci bene, ho capito che il fraseggio di Pepper sembra essere lontano anni luce dalle costruzioni armoniche che Trane inanellava con ingegneria quasi maniacale, ma un grandissimo senso del blues era quello che li univa nel profondo e li divideva poi nella costruzione dei soli. Quello che ha sempre contraddistinto i soli di Pepper – anche quando era un giovane talentuosissimo front-liner nelle orchestre esponenti la West Coast più ortodossa e "pulita" - è una interiorità che fuoriesce nell'immediato, senza compromessi di sorta pur nel rispetto di una totale conoscenza dell'armonia sempre dimostrata attraverso il controllo magistrale del suo splendido suono. Dopo l'oblio degli anni sessanta, come ben sappiamo coinciso/dovuto a pesanti esperienze di vita personale oltre che ad un periodo nel quale il jazz tonale negli USA arrancava, il rientro sulle scene è stato strepitoso per il fatto che Pepper era sempre Pepper ma era un altro Pepper: il suono ancora più scuro in basso, ancora più tagliente in alto, ancora più groovy nelle ballads. Le frasi - a volte confuse, nella ricerca di costruzioni modali (tanto ammirate in Trane) eseguite a velocità impossibile – raggiungevano vette di lirismo altissime, siderali. Il distillato di tutta la sua enorme sapienza tecnico-armonico-strumentale era stata convertita completamente e senza vincoli di sorta all'emotività pura, a quella famosa "urgenza espressiva" - locuzione tanto usata dai critici nel periodo del free jazz che spesso mascherava gravi carenze dei musicisti – che ha contraddistinto l'Art dell'ultimo periodo; periodo nel quale si è potuto circondare di musicisti straordinari che gli hanno dato la possibilità di esprimersi in assoluta libertà mentale, incrementando sempre più il modus espressivo che lo rendeva immediatamente riconoscibile ed inconfondibile. In quest'ultimo periodo ha anche scritto molto e molto bene, nel senso che questi suoi pezzi sono indissolubilmente legati alla costruzione del suo personalissimo linguaggio. E' a questo ultimo periodo che Pepper Legacy pone maggiormente attenzione; in primo luogo per il fatto che la sua musica sarà raccontata da tre dei suoi stessi protagonisti – e, a più di trent'anni di distanza, la cosa è già di per se' un avvenimento più unico che raro -, e poi perchè è quello che più risuona nelle mie intime corde.

Hai convinto facilmente Cables, Magnusson e Burnett?
La domanda e' interessante, e la risposta non e' semplice: potrei dire sì, no, forse, abbastanza. In realtà prima di convincere i musicisti ho dovuto convincere me stesso ad affrontare questa impresa che, pur essendo effettivamente "il sogno della mia vita", senza una dose di sana incoscienza (evidentemente ne ho parecchia, e comunque non sempre sana...) non avrei potuto affrontare. In questo senso è stata decisiva la risposta di Phil (ha scritto lui le note di copertina del mio primo CD "Philing" a lui dedicato) alla mia mail speditagli dopo aver parlato con Cables e David Williams – con il quale avevo suonato ed inciso con Cedar Walton più di vent'anni fa – in cui gli chiedevo se secondo lui fossi stato in grado di affrontare questa sfida (con me stesso, non certo con Pepper); le sue semplici ma bellissime parole hanno dato il via definitivo al mio convincimento che questa cosa la dovevo fare per me ma anche per il jazz - che si era perso per strada la memoria di un pezzo così importante della sua storia -. Andiamo per gradi: dei "sopravvissuti" di Pepper (intendo quelli con lui ha effettivamente fatto i concerti e i tour per il mondo, non quelli che con lui hanno saltuariamente inciso soltanto in studio) rimanevano il geniale batterista Carl Burnett, i fortissimi contrabbassisti Williams, Bob Magnusson e Tony Dumas, i pianisti George Cables – il preferito di Pepper in assoluto – e Milcho Leviev.
1) In aprile dello scorso anno Ray Mantilla mi accompagnò ad un appuntamento che mi aveva gentilmente fissato con Cables subito prima di una sua performance all'Iridium: non sapevo con chi avrebbe suonato, e solo successivamente alla sua risposta positiva avrei incontrato l'amico Williams per condividere il progetto. Dopo aver esposto l'idea ad un Cables molto gentile ma sostanzialmente guardingo poichè ignaro su colui che gliela stesse proponendo – benchè Mantilla fosse lì' come una sentinella - arriva David Williams (!) che molla il contrabbasso alla sua adorabile moglie esclamando "Gaspar !!!" e mi abbraccia davanti allo sbalordito Cables: incredibile strepitoso inizio.
2) Entrambi mi dicono però che nessuno sa più nulla di Burnett, che all'apice della sua magnifica carriera (Pepper, Silver, Hubbard...) ha smesso di suonare dopo essere diventato musulmano una ventina d'anni prima. Non ci volevo credere, mi pareva impossibile che un mostro del genere non toccasse più una batteria. Tornato in patria, inizio le ricerche. Google: niente. Youtube: YOUTUBE! Carl Burnett trenta chili dopo, nel gruppo di Henry "the Skipper" Franklin, che suonava ancora come un dio! Riprovo con Google, riniente. Allora provo con Franklin: sito, mail, richiesta implorante di un contatto con Carl. Risposta: telefono e mail. Impazzito di gioia, scrivo. Dopo settimane senza risposta che nulla di buono lasciavano presagire, dopo aver riparlato con Williams mi decido a telefonargli: certo che ha letto le mail (continua tuttoggi a dirmi che lui le mail per ora le legge, ed in futuro imparerà anche a rispondere...)! E la cosa la trova molto interessante! Sì sarebbe bello! Ma George cosa dice? Quanti infarti silenti ho accumulato nella mia vita...
3) Nel frattempo contatto anche la vedova di Art, quella Laurie che, ancora giovane ed in grande forma, è stata una parte imprescindibile per la rinascita del sassofonista: sostegno psicologico, moglie, manager. Art, che con lei e grazie a lei ha pubblicato la sua autobiografia "Straight Life" (le ho proposto di pubblicarlo in italiano) non ha mai nascosto il suo amore per lei e io lo vivo di riflesso mediante un grande rispetto ed ammirazione: ancora si dedica con grande impegno a tenere alta la sua immagine e ha pubblicato dei CD delle ultime inedite performances, l'ultimo dei quali un paio di mesi or sono.
4) Nel novembre 2011 vado prima a New York e poi a Los Angeles, con Burnett che viene a prendermi con il suo pick-up, mi porta in un albergo e si ferma a chiacchierare di tante cose della musica e della vita come se fossimo sempre stati amici: ero stordito. Tre sere dopo finalmente incontravo Laurie – con Carl e sua moglie – al Crown Plaza dove si esibiva proprio Hernry Franklin con bravissimi e noti musicisti dell'area. Dopo un abbraccio con Laurie, ci sediamo al tavolo e lei mi porge una borsa di tela con un grande pacco di spartiti: tutti i manoscritti di Art - vecchi e nuovi, in bella e in brutta copia, editi ed inediti - erano nelle mie mani. Nelle mie mani un tesoro pesante; ma anche un affidamento, una responsabilità, forse una gratitudine. Il mio stato d'animo va oltre l'emozione, oltre la soglia della comprensione e coscienza del se': ancora oggi non lo so descrivere. Poi Laurie scappa via e io, che ho portato il contralto (usato con Mantilla per la maratona di New York) sperando di fare finalmente un pezzo con Burnett, mi ritrovo invece nella mischia ma senza Burnett, che alla fine della corrida mi sorride e mi abbraccia come un amico ritrovato: ho capito che non ha suonato perchè voleva ascoltarmi e decidere se Pasini poteva suonare Pepper.
5) David Williams è stato il più entusiasta fin dal primo minuto – lo è per natura e avevamo già condiviso delle gig, ma era veramente felice del progetto -. Purtroppo il periodo in cui ho potuto fissare queste date – la prima settimana di dicembre - coincide esattamente con il tour che il trio di Cedar avrebbe dovuto fare assieme a Piero Odorici ma che da poco è slittato a febbraio. Nel frattempo ho pertanto dovuto contattare Dumas e Magnusson: il primo non può muoversi da LA per la madre gravemente malata, il secondo dopo un po' di tentennamenti per dei problemi ai polsi ha dato il suo ok. E questa credo sia un'ulteriore chicca per gli appassionati perchè mi risulta che Bob abbia suonato con Pepper e Burnett ma solo con Leviev al piano: Burnett, Magnusson e Cables assieme sarebbe quindi una novità, pur nel rispetto del progetto.
Ho voluto raccontare tutte queste cose per chiarire che in definitiva i musicisti che ho coinvolto sono tutti contenti di ritrovarsi e condividere una grande stagione della loro carriera, e questo al di là dell'incognita Gaspare Pasini: oltre che per il fatto di essere riuscito a rendere credibile il progetto, un altro mio grande motivo di orgoglio è riportare Burnett – che oltre ad essere un genio del drumming è anche una persona meravigliosa – in Europa dopo vent'anni (gli era anche scaduto il passaporto... altro infarto...). La mia sensazione, seppur vissuta solo "a distanza", è che questo progetto - benedetto da Phil e vegliato da Laurie - sia il frutto di una vera ed appassionata voglia di rendere omaggio a Pepper: e ciò, al di là del fatto di essere professionisti e quindi suonare per lavoro.

Non hai avuto alcuna esitazione o soggezione a suonare con musicisti che hanno condiviso la scena con Pepper? Com'è stata l'intesa?
L'esitazione l'ho avuta nella gestazione del progetto per un mio scrupolo di coscienza (e necessariamente di autostima) per la consapevolezza del rischio enorme di cadere nella trappola di fare la brutta copia di Pepper; e conseguentemente subire inevitabili ed impietosi paragoni che tanti potrebbero fare - e probabilmente in ogni caso faranno - alla fine dei concerti (anche se di questo ultima considerazione non mi preoccupo, è giocoforza in preventivo). Un paio di amici musicisti ora più che mai alla ribalta dei riflettori europei, mi hanno detto che avrei dovuto proporre la cosa in modo diverso dal semplice ripercorrere i brani in quartetto acustico così come li ha sempre suonati Pepper: avrei dovuto modificare quantomeno gli arrangiamenti, forse allargare l'organico o cambiare il mood ritmico. Ne parlai con Williams a casa sua lo scorso novembre: lui mi rassicurò dicendomi che i pezzi erano belli così, che Pepper li suonava bene come Pepper e Gaspar li avrebbe suonati bene come Gaspar, e che il senso dell'operazione era fare semplicemente della bella musica che potesse riportare Pepper nella mente e nel cuore degli appassionati. Il fatto di realizzare questo progetto con i suoi musicisti è sempre passato nella mia testa come un percorso obbligato e necessario per evitare di fare una "cover" dei brani di Art o, peggio, una jam session travestita da tributo: per cui la soggezione non la provo verso i musicisti (nella mia vita ho avuto la grande fortuna di suonare, incidere, o semplicemente esibirmi con personaggi davvero importanti) ma verso il delicatissimo compito del quale mi sono fatto carico. L'intesa con i "ragazzi" a livello personale è sempre stata ottima ed il fatto che Laurie sia molto contenta della cosa è un collante efficacissimo.

Qual è il brano in cui senti maggior coinvolgimento e perchè?
"My Friend John" nella versione live al Village Vanguard con George Mraz ed Elvin (l'altra, quella semi-funk con Hank Jones, Ron Carter e Al Foster non mi piace proprio): è un brano tutto a se', con una costruzione assolutamente unica per tema, struttura e concezione armonica. Ho sempre pensato che questo sia il suo testamento musicale, la bibbia di tutta la sua vita di uomo e di musicista, il suo definitivo regalo all'umanità. Voglio parlare con Laurie del perchè l'abbia suonata così poco ma una sensazione forte ce l'ho: quando ascoltare te stesso ti fa male perchè sai che hai raggiunto contemporaneamente il centro del tuo stomaco, del tuo cuore e del tuo cervello, riuscendo ad esprimere energie che salgono talmente in alto da non sapere più se ne sei il mittente o il destinatario, allora ti spaventi e ti guardi allo specchio per sapere chi sei veramente. L'assolo che ha costruito parte dal centro della terra per raggiungere galassie sconosciute, spazi inimmaginati ed irraggiungibili per noi umani; Elvin – che è dentro il brano con tutto se stesso - lo ha portato lassù dove nessun altro avrebbe potuto accompagnarlo, creando una sinergia che non si può quantificare ma solo subire in un vortice amico che può però spaventare (il pubblico alla fine del brano rimane scioccato, applaude senza rendersene conto e capire perchè: a differenza dei musicisti che subito hanno compreso di essere andati tanto tanto lontano...). Dopo centinaia di volte che ho ascoltato "My Friend John" oggi più che mai mi emoziono e, a volte, mi ritrovo a piangere.

Inciderete un album?
Naturalmente l'idea c'è, ed il desiderio anche (non ho programmato sedute in studio, vedrò se registrare live). Quello che mi preme è che la registrazione abbia un senso e non sia una copia - certamente non all'altezza dell'originale - di ciò che ha fatto Pepper: motivo per cui ha senso farlo con un repertorio non battuto. Laurie mi ha mandato, su mia richiesta, alcuni inediti di Art; c'è poi "Our Song", una magnifica ballad registrata solo una volta in quartetto con orchestra d'archi, che mi piacerebbe registrare in duo con Cables; c'è il brano che mi ha mandato Phil; c'è "King Arthur", un brano che ho scritto per Art trent'anni fa (e non ho mai suonato: che sia la volta buona?). A queste condizioni una traccia discografica avrebbe un significato musicale autentico, che va oltre la semplice testimonianza di un tour - seppur memorabile, sicuramente per quanto mi riguarda -.  A me preme ora di mettere in piedi squadra e repertorio per poter poi portare "Pepper Legacy" ovunque ci sia un pubblico che voglia ricordarsi di Art e dei suoi bellissimi brani. C'è in pentola un altro tour per la primavera perchè più di qualcuno in Italia mi ha confermato un grande interesse per ospitare un nostro concerto, e credo che un'eventuale registrazione potrebbe essere programmata meglio per quell'epoca.

Pepper aveva uno spettro espressivo molto ampio, a quale ti senti più vicino?
Direi a tutti, anche se le ballad rappresentano l'ambito nel quale credo di immedesimarmi maggiormente nel mood e nell'intenzione emotiva di Pepper.

La musica di Pepper è sempre sata associata alla società di quel tempo e a come lui la viveva. Quindi, in senso più ampio, un parallelo tra la musica jazz e la contemporaneità della società. Come vedi oggi questo parallelo?
In generale vedo uno scollamento tra il jazz come prodotto globalizzato per necessità commerciali (alla pari di un qualsiasi altro articolo vendibile, dal calzino alla penna) e quello che effettivamente il jazz rappresenta da quando è nato, e cioè una palestra di emozioni sonore prodotte non dagli strumenti ma dagli uomini attraverso gli strumenti. Oggi ci sono milioni di musicisti strepitosi in tutto il mondo, e attraverso i canali mediatici in rete – youtube in testa – siamo in grado di vedere autentici fenomeni di tutte le età e le razze che sono completamente sconosciuti al mondo. Credo la cosa possa essere da un certo punto di vista normale, ma è l'approccio acritico che non lo è: anche da parte di musicisti che conosco vedo una certa riluttanza all'ascolto attento e consapevole, una superficialità che segue il mare magnum del menefreghismo necessitato dai bombardamenti di ogni genere dai quali dobbiamo quotidianamente difenderci. Ma questo è un discorso lungo che probabilmente non porterebbe da nessuna parte, se non al punto di partenza: chi sono e donde vengo (… !)

Consigliaci tre "must have" album di Pepper...
Premetto che sono un musicista e non un collezionista - per cui di album di Pepper ne ho tanti ma non tutti (ne ha fatti un'infinità, quasi come Chet), e che mi esprimerò secondo i miei gusti personali: penso che "Pepper meets the rithmic session" rappresenti bene ed in modo compiuto il suo sound di quegli anni, con un suono limpidissimo ed un fraseggio chirurgicamente lucido e stringente (forse doveva far vedere alla ritmica di Miles che anche là nella West Coast sapevano suonare...). "Thursday night al Village Vanguard" e' il mio delirio pepperiano, una notte unica magica strabiliante irripetibile frutto di una sinergia tra musicisti in stato di grazia: il Pepper migliore che il mio cuore e le mie orecchie possano desiderare. Poi aggiungerei "The last concert" registrato live due settimane prima della sua morte, un album prodotto da Laurie che vede al piano Roger Kellaway (è stato il suo unico tour con Art), David Williams e Carl Burnett: "Over the rainbow" e "Straight Life" da urlo, con un suono che lascia un segno amorevolmente indelebile.

In quali città vi sarà il tour?
Per ora Ferrara, Sacile, Villa San Giovanni, Catania, Siracusa, Scicli, Lamezia Terme, Messina. Ma ci sono ancora due day off, chissa'...







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Data pubblicazione: 01/12/2012

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