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Le mani infuocate di Mantilla
maggio 2009
di Franco Bergoglio

Ray Mantilla, con oltre cinquant'anni di attività ha contribuito più di tutti a trasportare l'ancestrale suono delle percussioni nel nuovo millennio, strumento di prima grandezza non solo per quel colore latino, -il latin tinge, lo si definiva un tempo- o per guidare i movimenti dei ballerini di salsa e derivati. Ha suonato jazz con i migliori sulla piazza da Charles Mingus a Gato Barbieri, ma oggi descrive la sua musica semplicemente come latin jazz con autentici ritmi latini. Una affermazione semplice e nello stesso tempo sottile, che lui stesso completa con dovizia di particolari. Di passaggio in Italia con un tour europeo per celebrare il suo 75° compleanno ha chiacchierato volentieri come suo solito. Così spiega la sua carica umana sopra e dietro il palco: suono per rendere felice la gente. La musica ha lo scopo di portare felicità e gioia. La musica deve dare piacere, è un messaggio di dio.



I
nterrogato sulla musica contemporanea e sui musicisti delle nuove generazioni si dilunga invece in una premessa che spiega poi il suo atteggiamento nei confronti del jazz e della variante latina. Tutto il discorso ruota sul tema della tradizione che Ray declina però in maniera più ampia di quanto solitamente sia usuale per l'America. Il jazz è la forma d'arte americana per eccellenza. All'inizio c'erano solo i neri: grandissimi musicisti come Blakey, Roach, Freddie Hubbard, Fathead Newman. Oggi ci sono molti validi musicisti ma pochi suonano la pura tradizione. Ieri era la musica degli afroamericani, di Max Roach e Dizzy Gillespie; oggi è di tutti, appartiene a tutti: possono suonarla un russo o un giapponese ugualmente bene.
Il bebop lo si può suonare in tutto il mondo insieme ad altri generi e fondere tutto insieme, insomma creare un misto. Dalla mescolanza può sempre nascere qualcosa di buono. La musica infatti è un melting pot, un arcobaleno multicolore…

E' vero che Ray ha suonato con jazzisti importantissimi, ma senza nulla togliere a questi mostri sacri del pantheon jazz ha anche incrociato i suoi tamburi con il meglio del meglio dei musicisti latini, in uno spettro di stili e nazionalità davvero ampio, dal citato Barbieri a Barretto, Eddie Palmieri e Tito Puente.

Io non suono be bop, suono una musica con dentro il mio ritmo, che è frutto della tradizione. Blakey, Roach hanno la loro tradizione di percussioni che è essenzialmente una tradizione nord americana. C'è però anche tutta una tradizione di percussioni e di musiche afro-caraibiche. Anch'io seguendo le musiche del Porto Rico o di Cuba posso rifarmi ad una tradizione che ha anch'essa tantissimi anni sulle spalle. E anche queste sono tradizioni differenti tra loro, il ritmo di Cuba non è lo stesso di Porto Rico. Ci sono la salsa il reggae. E sono tradizioni differenti che arrivano dall'africa ma poi si modificano e cambiano di paese in paese. Quindi Cuba, Puerto Rico, ma si potrebbero portare tanti altri esempi, come il Messico…In Argentina -per citare un altro caso- c'è il tango e c'è un tango jazz, cioè un tango suonato in maniera jazzistica. Io faccio lo stesso, suono il mio ritmo e insieme suono del jazz.

Oggi con i gruppi Space Station e Jazz Tribe porta avanti un discorso personale. Queste band suonano un gran numero di sue composizioni e gli standard non sono quasi mai quelli della tradizione jazzistica, in onore ai princìpi sopra esposti. Ma come è iniziato tutto quanto? Mantilla è un ragazzo quando a New York la musica, anzi le musiche invadono ogni strada, ogni quartiere. Negli anni Quaranta la grande mela divenne la mecca della moda cubana. Parker e Gillespie che ascoltavano con attenzione le orchestre cubane in città inventarono il cubop, l'unione tra il loro bebop e i ritmi centroamericani, suonando con Machito. Proprio questo ambiente in fermento ha visto i primi passi di Mantilla. Ma come si è appassionato Ray alle percussioni, lui newyorchese del South Bronx di nascita?

Ho iniziato a suonare le conga ascoltando i dischi, collezionando musica cubana e ballandola. A New York era pieno di musicisti afro-cubani. Poi ho preso lezioni dai musicisti della band di Machito. Dopo un po' ho iniziato a suonare anch'io nel giro di New york, dove ho avuto la fortuna di conoscere Ray Barretto. Ci siamo intesi subito e abbiamo iniziato a suonare insieme in jam session. Lui applicava le sue conga al be bop, però mi ha anche insegnato il rispetto per la clave, ad avere sempre la clave in mente. (La clave è il fondamento dei ritmi latini). Abbiamo suonato anche insieme in Descarga moderna. Ray mi ha aiutato a incidere il primo disco: lui suonava le congas e io i bongos. Con questa formula mi ha portato alla prima vera grande incisione, con Herbie Mann. Con lui nei primi sessanta avevamo l'agenda piena di date, suonavamo al Village, e nei locali di New York e poi incidevamo tantissimi dischi.

Le parole di Mantilla riportano a un periodo in cui il jazz a New York aveva ancora appeal nelle sue forme commerciali, magari addolcite dal morbido flauto di Herbie Mann. Anche la comunità afrocaraibica della città, la Spanish Harlem cantata con successo da Ben E. King, finalmente otteneva una visibilità con il fenomeno commerciale del Boogaloo, una fusione del R&B afroamericano, del rock and roll e del soul con il mambo e il son montuno, il tutto mescolato allo scopo di far ballare e conquistare le classifiche. Mantilla sicuramente è partito da quei suoni e dal cubop per tornare verso le radici e farle suonare in un contesto meno commerciale. Il mambo era quello conosciuto dal pubblico ma nella tradizione (e non solo quella cubana) c'erano anche altre musiche: il son montuno, la guajira e la guaracha e tante altre tradizioni di ritmi, in tutti i paesi latini.

Nella sua lunga carriera da session man, prima di acquisire statura da leader, Mantilla ha collezionato collaborazioni a incisioni storiche, come Freedom Now Suite, il grido di lotta per i diritti civili voluto da Max Roach con a fianco la cantante Abbey Lincoln, allora moglie del batterista. Con lo stesso Roach farà poi parte del MBoom Re: una band composta dal gotha dei maestri percussionisti americani. Un altro momento "storico" è sicuramente quello del tour cubano voluto nel 1977 da Gillespie. Per primo Gillespie insieme a Stan Getz e Mantilla, aggirando l'embargo imposto dal governo americano, visitarono l'isola e suonarono con i musicisti locali (tra gli altri Arturo Sandoval e Paquito D'rivera, poi emigrati negli States per seguire Dizzy) in concerti e jam senza fine.. Un'esperienza esaltante che Ray ricorda ancora con commozione: un gran numero di percussionisti, almeno sette sul palco i musicisti erano tutti bravissimi, il feeling era altissimo ma si suonava davvero rilassati.

E la situazione nell'America di oggi? In America abbiamo davvero un grosso problema con l'economia. E per chi suona jazz è anche peggio. Per il tipico musicista di jazz le cose vanno male oggi…Ce ne sono tantissimi che non trovano lavoro e ingaggi in America. E gli americani sono spaventati. Ma ora… grazie a Dio! E' arrivato Obama. Ora che Obama è presidente le cose andranno sicuramente meglio. La gente poi lo ama davvero, almeno tanto quanto ultimamente odiava Bush.

Domanda di rito sull'Italia, ma con una sorpresa: a parte la stima per il sassofonista Piero Odorici, compagno di mille concerti, il personaggio più amato non è un musicista e nominandolo Mantilla si emoziona: Alberto Alberti, ora scomparso, è stato il creatore, insieme a Carlo Pagnotta, di Umbria Jazz e di alcuni tra i principali Jazz-Festivals italiani. Ho trovato un paese che davvero ama la mia musica. Ci vengo da almeno 25 anni con i miei gruppi. E poi…Alberto Alberti! Uno dei miei migliori amici, l'ho conosciuto grazie a Cedar Walton. E' lui che l'ha portato nella mia vita. Una persona può di solito contare al massimo cinque amici veri e Alberto è stato uno di questi, per me. Grazie a lui sono stato in tour in tantissime città: Pescara, Ancona, Brescia, Bologna….

Il resto è storia, dove anche l'Italia gioca un ruolo fondamentale. Alberti coinvolge Sergio Veschi, il patron della Red Records e Ray, finalmente leader, incide i suoi dischi più belli per l' etichetta nostrana, come Hands of fire, (Red Records, 1984).

Nel 2002 fifty years of mambo, segna un ritorno al passato, con un omaggio discografico a Pérez Prado, il re -e l'ambasciatore- del genere tra gli anni Quaranta e Cinquanta; qui ritrova alcune glorie della percussione afro-cubana: Cándido Camero, Paquito Hechevarría e Tony Barrero.

Contemporaneamente suona con maestri d'ancia come Steve Grossman e in numerosi dischi con Bobby Watson, conosciuto ai tempi della militanza con Blakey. Un'esperienza unica, anche dura, perché Blakey ha sempre tenuto in band solo i migliori. Il concerto di Ray rimane una esibizione istrionica e energetica, Spiega: chi suona latino deve suonare molti brani veloci, tirati. E i musicisti devono sentire le mie congas, sono loro il centro. Ma in questo non ci sono problemi: Edy Martinez, il pianista è un grande maestro ed è anche un arrangiatore esperto, come bravo è anche Cucho Martinez al basso, dice parlando dei ragazzi che suonano con lui in tour. Forse la parte spettacolare corre il rischio di mettere in secondo piano la musicalità di Mantilla e a questo punto bisogna prendere in mano una delle incisioni su Red Records per farsi un'idea corretta. Watson, recentemente intervistato da una radio americana, ha detto di lui: non ha solo la capacità di fare show, come molti congueros, ma suona la melodia alle congas. Vero. Ray oltre a comporre dirige con le sue congas i brani, ne stabilisce il tono, il clima. E i brani sono carichi di significato, di soul e di un ritmo che tira fuori l'anima della musica.

Pubblicato su Alternate Takes di maggio
http://www.jazzclub.torino.it/index.php?/ln/it/id_p/14.html







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Data pubblicazione: 31/05/2009

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