Bopcentric
del Mike Melillo
Trio è un omaggio esplicito al Bop (soprattutto nella sua variante Hard-bop) attraverso due personalità tra le più rappresentative e importanti: Herbie Nichols e Thelonious Monk. Ma non solo.
Bopcentric rappresenta anche un omaggio alla musica jazz che, nella sua ricerca stilistica ed espressiva, non accetta compromessi con le mode e le vie facili che il mercato discografico offre e impone ai musicisti. Sia Nichols che Monk, infatti, per difendere la propria libertà artistica e l'esigenza dell'innovazione, hanno scelto di condurre un'esistenza musicale ai margini del mercato. E se, seppur tardivamente, il genio di Monk è stato riconosciuto prima di tutto dai jazzisti e poi anche dal mercato discografico, Nichols, anche per una vita bruciata troppo presto dalla leucemia, ancora oggi non occupa nell'Olimpo del jazz il posto che gli compete. Non a caso l'eredità di Nichols è stata raccolta, piuttosto che dal mainstream, dalle avanguardie. Questo è il messaggio che Melillo lascia nella nota a Bopcentric, che può essere letto anche in senso autobiografico. Infatti, nonostante le eccellenti collaborazioni, tra gli altri, con Sonny Rollins, Chet Baker e Phil Woods e nonostante una tecnica e una sensibilità decisamente fuori dal comune, è grazie alla etichetta italiana Red Records che Melillo ha potuto registrare da solista e con formazioni a proprio nome. Dunque, Bopcentric è sicuramente un omaggio a una grande tradizione, ma anche e soprattutto un tributo alla libertà espressiva nel jazz. Infatti, l'omaggio a Nichols e Monk a livello musicale non ha nulla di celebrativo perché l'interpretazione di tali classici è assolutamente originale, filtrata dal mood di Melillo e del suo trio.
Bopcentric si compone di tredici tracce, in cui il tributo a Nichols e Monk è equamente diviso in sei brani ciascuno, più un pezzo a firma dello stesso Melillo,
Monking business
(che non rompe affatto la continuità stilistica del lavoro), che segna il passaggio da una prima parte dedicata a Nichols a una seconda a firma Monk. L'ascolto di Bopcentric lascia senza fiato, per quanto il ritmo sia sostenuto dalla prima all'ultima traccia, il pianismo di Melillo è un susseguirsi quasi senza pause di note, idee e citazioni, a segnare, in particolare rispetto a Monk, uno stile del tutto personale che non teme affatto il confronto con quello del maestro; basterebbe soltanto confrontare l'interpretazione che Melillo propone di
Introspection
con un'esecuzione dello stesso Monk per verificare come l'intimismo e l'inquietudine di questa composizione, invece che con le pause che in Monk ne scandiscono l'esecuzione, sono resi da Melillo con l'ansia di riempire ogni silenzio con più note possibile. Si tratta di un'impressione che, tuttavia, vale per ogni brano: sembra quasi incredibile come Melillo riesca a mantenere entro la durata canonica dei pezzi nel Bop anni cinquanta (tre-cinque minuti) una tale quantità di note suonate. L'unica traccia in cui il ritmo cala è una toccante versione di
Lady sings the blues, che Nichols ha scritto per Billie Holiday e che la grande signora del jazz ha reso famosa, in cui le note del tema sono suonate da Melillo in modo chiaro e nitido, profondendo al brano una notevole forza espressiva. Altra esecuzione degna di nota è quella di
The Third world, sempre di Nichols, dove le dissonanze del piano di Melillo e il suo interplay con la batteria di
Ascolese ne determinano un'esecuzione ai limiti dell'avanguardia. Inoltre, per la loro sincera partecipazione emotiva, due veri e propri gioielli sono i solo piano che Melillo dedica uno a
The Gig
di Nichols e l'altro a Crepescule with Nellie
di Monk. Una menzione a parte certamente merita il contributo di Massimo Morioni
al contrabbasso e di Giampaolo Ascolese alla batteria per la capacità, che dimostrano in ogni traccia, di assecondare perfettamente – cosa non facile vista l'inquieta e costante creatività di Melillo – la poetica del pianista.
Bopcentric è un disco imperdibile per verificare quanta capacità espressiva riescano ancora a trasmettere i classici della tradizione del Bop, se a farli suonare è la stessa esigenza e urgenza emotiva dei loro ormai celebri compositori.
Dario Gentili per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 26/06/2004
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