Già prima di andare a scorrere le note biografiche di
Kapedani,
dopo aver ascoltato il suo tocco e la sua vena compositiva, avevo attribuito lui
natali aristocratici. Tanto è. Il pianista di Shkoder ha un'antichissima e coronata
famiglia alle spalle e ciò conferisce al suo tocco un'esistenziale diversità di
linguaggio, di certo più forbito, a tratti poetico, sicuramente multiforme, denso
e dall'invidiabile pronuncia.
Il "principe"
Kapedani,
complice la consueta lungimiranza ed il buon orecchio di Sergio Veschi, patron della
Red Records, dà voce
alle sue composizioni in solipsistico dialogo con il pianoforte. Ne viene fuori
un lavoro vibrante, aurato di storia, schiumante di vitalità e consistenti scansioni
ritmiche.
Quattordici composizioni che raccontano la storia della musica investendo
la tradizione balcanica immergendola nel jazz (o viceversa), sgorgando nella classica
contemporanea, attraverso movimenti armonici che supportano un fraseggio largo e
ben smaltato. Di tale fusione di suoni e di stili, vessillo più alto è la vigorosa
Valle. Ma anche allorquando Kapedani affronta di petto la tradizione albanese, lo
fa a modo suo, con appunti tristaniani, florilegi stride, beccate à la Bartok
e accenti jarrettiani (la danza epirota Fustanin që ta
solla mbrëmë, oppure il canto tipico dei matrimoni dell'Albania settentrionale
"Sa bukur na doli nusja" – "Wedding dance"
e la danza di origine popolare bizantina "A kan ujë atò
burime" – "River water").
Il pianista di Shkoder (ma oramai sedente in Italia) ha nel suo carniere
numerose opzioni stilistiche, frutto di appassionati studi e dell' aver respirato
da sempre musica (il padre, Gjon è uno dei più importanti compositori albanesi).
Per il che il suo repertorio si abbellisce dei ritmi andalusi e con
Por Pablo conia un nuevo palo divaricando
la forbice mediterranea fino ad ora costruita.
Il jazz balcanico si arricchisce di una nuova perla e conferma il suo
grande stato di salute già sottolineato da
Dusko Goykovich,
Pejovski, Bojan Z, Renzdov, Bregovic, solo per citarne alcuni. Sicuramente la fusione
degli stili qui implicati non sarà un hapax, ma è una rarità un lavoro così
ben articolato e ricco di sfumature.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 16/06/2009
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