C – P MADE IN ITALY 2003
Red Records 123301.2 |
Salvatore Tranchini
Faces
1. Eurostar 05.39 (F.
Bosso)
2. Just a moment 05.29
(F. Nastro)
3. Sad Day
10.29
(D. Scannapieco)
4. Triton
06.28
(F. Nastro)
5. Baires 06.21 (A. Vigorito)
6. Running 04.07
(S. Swallow)
7. Que te pasa 07.26 (A. Vigorito)
8. Nettuno
05.20
(F. Nastro)
9. I Remember Clifford
06.44
(B. Golson)
Salvatore Tranchini
drums
Daniele Scannapieco
tenor saxophone
Fabrizio Bosso,
trumpet
Aldo Vigorito
bass
Francesco Nastro
piano
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Il Line Up di questo CD, al primo e ai successivi ascolti, colpisce per l'immediatezza e sofisticazione della musica, per l'esemplare conoscenza del linguaggio e il livello tecnico, strumentale ed espressivo che sottintende in tutti i suoi componenti. In un
blindfold test qualsiasi appassionato di jazz di buone conoscenze direbbe che questo gruppo mette in piazza una musica che solo delle jazz band americane di eccellente livello sono in grado di produrre.
Invece sono tutti italiani ed è questo un segno del fatto che per produrre del jazz di squisita fattura, calato nella contemporaneità ma rispettoso della tradizione, non è più necessario essere americani ma si deve, come loro, dominare e padroneggiare il linguaggio e piegarlo alla proprie esigenze espressive.
Salvatore Tranchini e i suoi compagni di viaggio si caratterizzano per un insieme di doti che combinate assieme danno vita ad una musica capace di catturare l'ascoltatore dall'inizio alla fine e di richiedere ascolti successivi e ripetuti per il piacere e l'interesse che l'ascolto dona e in cui si rivelano, a poco a poco, non solo le doti musicali dei singoli ma anche una tenuta di gruppo molto rilevante e un
suono che la rende unica nel panorama italiano e internazionale.
Come tutti sanno la batteria è il cuore, il centro di qualsiasi jazz combo. Non c'è gruppo di una certa rilevanza nella storia del jazz che non abbia avuto dei grandi batteristi che erano il motore ritmico che accompagnava e stimolava i solisti. Però non sempre i batteristi si sono dimostrati dei grandi leader quando hanno guidato dei gruppi a proprio nome tranne le eccezioni che tutti conoscono. Salvatore Tranchini, che dice di se stesso che non è un autodidatta ma che ha studiato approfonditamente lo strumento e il linguaggio con il lungo e necessario tirocinio per acquisirlo con solisti di gran nome e oscuri musicisti, ma non per questo meno bravi, in giro per il mondo, dimostra ampiamente di possedere le doti del leader sia in questo disco che in altri a suo nome. Il suono della sua batteria è sempre dove deve essere nel modo giusto. Non c'è ego in questo CD ma una grande conoscenza, amore e rispetto per la musica e per il jazz.
Sui musicisti che hanno dato vita a questa session l'unica cosa che si può dire senza tema di smentite e che sono indiscutibilmente bravi da qualsisis punto di vista. Assieme e singolarmente danno vita ad una musica in cui swing, climx e relax si fondono perfettamente. La front line (Bosso
e Scanapieco) tiene banco sia nelle parti d'assieme che in quelle solistiche con interventi misurati pieno di fuoco e lirismo. La ritmica (Nastro,
Vigorito e Tranchini) accompagna i solisti come meglio non si potrebbe, con grande attenzione sia ai dettagli che alle dinamiche sonore ed espressive del gruppo che dei soli, fornendo il background indispensabile per mettere i solisti a loro agio e nello stesso tempo fornisce degli interessanti spunti solistici e compositivi, che si ritrovano nelle due belle e poetiche composizioni di Vigorito, così come degli altri, dalla linea melodica molto raffinata e aggiornata, e di Nastro che si dimostra anche solista brillante ed efficace accompagnatore.
Ma alla fine ciò che conta è la musica e le emozioni che la stessa trasmette a chi l'ascolta. Crediamo di non sbagliare nell'affermare che questa ha in se tutti i necessari ingredienti per essere ascoltata e molto apprezzata in ogni dove e che possa tranquillamente sopravvivere all'usura del tempo.
F. Nastro, D. Scannapieco, A.
Vigorito, F. Bosso, S. Tranchini
Pomigliano Jazz Festival
Note di copertina:
Il percorso musicale di
Salvatore Tranchini si snoda tortuoso nel panorama del jazz italiano contemporaneo. La sua è una presenza sfuggente, mai invasiva, eppure (come in questo caso), ogniqualvolta viene pubblicato un disco nel quale le bacchette sono tra le sue mani, si avverte il senso generale del cammino "in progress" compiuto da questo artista sensibile e ricettivo, che ha operato anche sul terreno della multimedialità rivelando doti di sceneggiatore e regista. ‘Drummer' per vocazione, già seduto dietro i tamburi negli anni della scuola elementare, figlio della nobile tradizione dei batteristi e percussionisti napoletani, Tranchini ha studiato negli Stati Uniti, tra l'altro con un grande quale
Alan Dawson, e ha incrociato il proprio destino artistico con quelli dell'ultimo Larry Nocella e, soprattutto, Jerry Bergonzi.
L'ascolto di questo album ci propone, pur con le logiche differenze stilistiche e d'espressione, una dimensione poetica comune a tutti e cinque i musicisti di una formazione contemporanea che trae le ragioni della propria attualità dalla feconda dialettica con la storia. In particolare con quella del jazz del quintetto di Miles Davis e del quartetto di
John Coltrane, inesauribili (e imprescindibili) fonti di ispirazione per le nuove generazioni di jazzisti, ma anche con quella tradizione del jazz di fine anni '50 che non appartiene alla linea dell'informale. Senza dimenticare Napoli, perché come scriveva acutamente
Gianni Gualberto nel saggio di copertina di "Radio Suite", le cadenze oscillanti e melismatiche del canto napoletano e il modalismo jazzistico hanno alcune radici comuni, che qui puntualmente affiorano nella coté campana del gruppo e nella ripetitività ossessiva e variata di alcuni temi. L'intensità della musica è rivelatrice della convinzione di chi la suona, la varietà di riferimenti linguistici evidenzia la cultura jazzistica del quintetto, la capacità dei musicisti di dialogare con il passato e metabolizzarne gli atteggiamenti espressivi. In questo contesto, il batterista leader rinuncia alla passerella solistica per dirigere la musica partendo dal ritmo, dai suoi incastri verticali, dalle dinamiche timbriche dei suoi tamburi, suonati con un'originale e articolata concezione ‘orchestrale' dalla quale affiora anche una singolare cantabilità ritmica. Tranchini intreccia organicamente piatti e tamburi per dare vita a cicli ritmici memori di Tony Williams ma assolutamente diversi da quelli del grande artista afroamericano perché meno spezzettati, più corposi, eppure non legati nemmeno agli stilemi del pur amato
Elvin Jones. Nel suo drumming c'è anche qualcosa del senso melodico caldo e avvolgente di Philly Joe Jones, ma senza le sue tipiche frasi, e quando Tranchini affronta i ritmi latini non scade mai negli abusati stilemi della più trita bossa nova, determinando piuttosto un ‘feeling latino' che funge da colore di fondo sul quale far convergere il sound dei suoi partner. " Faces" rappresenta quindi un'altra tappa della vita musicale di un musicista che possiede le conoscenze e il carattere necessari per proporre con autentica consapevolezza una delle linee principali in cui si articola il jazz in questo primo scorcio del nuovo millennio.
Maurizio Franco - Milano, maggio 2003
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Data pubblicazione: 18/01/2004
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