Intervista con Jonathan Kreisberg
giugno 2011
di Stefano Clemente
Abbiamo incontrato Jonathan Kreisberg per la prima volta nel
2007 a New York in un piccolo club chiamato
"La Lanterna", di fianco ad un ristorante italiano come ce ne sono tanti nella Città.
Nessuno faceva caso al superbo interplay o alla scelta dei brani in scaletta del
trio che si esibiva. Quello che arrivava attraverso le vibrazioni dell'aria era
una storia, una storia condivisa e tutti eravamo partecipi dello stesso evento ed
accomunati dalle stesse emozioni. Nonostante adesso sia famoso e suoni in locali
molto più grandi e per ingaggi molto più importanti, Jonathan Kreisberg continua
ogni mercoledì a suonare a "La Lanterna" (tour permettendo) per poco più del prezzo
del taxi che lo riporta a casa.
Jonathan raccontaci come tutto ha avuto inizio.
I miei genitori avevano una collezione infinita
di dischi ed ascoltavano tanta musica da Coltrane a Betty Carter, da Ray
Charles a John Williams, dai Beatles alla world music. Dopo aver ascoltato
Eruption
di Van Halen intorno ai dieci anni ho deciso di suonare la chitarra ed ho iniziato
a studiare con un maestro. Non ero molto interessato alla teoria o alla lettura
quanto a scrivere canzoni e ad improvvisare. Mi piaceva il Jazz ma lo ritenevo ancora
troppo complicato per me. Il linguaggio classico e rock e blues era più facile.
Solo al College ho trovato un insegnante di Jazz che mi ha messo nella giusta direzione
e da lì ho iniziato a studiare dieci ore al giorno. Della chitarra mi piace l'idea
di potersi accompagnare da solo. Con la chitarra puoi avere il controllo armonico
e puoi manipolare il suono. Posso suonare gli accordi come un pianoforte e la melodia
come i fiati. Inoltre sulla chitarra puoi suonare la stessa combinazione di quattro
note in punti differenti per cui puoi essere molto personale.
Quali musicisti hanno avuto più impatto nella tua formazione?
Non sono stato ispirato da chitarristi jazz quanto piuttosto da musicisti
jazz come Miles, Coltrane,
Bill Evans.
Amo il Jazz ed amo la chitarra. Considero la chitarra jazz solo un tipo di chitarra,
mentre io amo la chitarra in tutte le sue forme, adoro persino la chitarra flamenco
anche se non ne possiedo la tecnica, ma mi piace il suono.
Dai tuoi dischi traspare una profonda conoscenza del linguaggio e della
tradizione.
Quando ero al liceo ho vinto una borsa di studio per il College ed il
mio insegnante di chitarra mi aveva detto che l'esame di ammissione avrebbe richiesto
la conoscenza a memoria di almeno 300 standard in tutte le tonalità e questo mi
ha fatto studiare come un pazzo per tutta l'estate. Quando arrivò il momento dell'audizione
mi fu chiesto quanti standard conoscessi a memoria. Risposi che purtroppo ne conoscevo
solo 250 e tutti mi presero per un marziano ridendo di me. Era chiaramente uno scherzo
che il mio insegnante mi aveva fatto perché sapeva che lavoravo bene quando ero
sotto pressione. Grazie a questa palestra però ho sviluppato un mio sistema per
imparare le "song" velocemente. Ancora oggi ringrazio il mio vecchio insegnante
per quello scherzo. Il resto del lavoro l'ho fatto negli anni grazie all'ascolto
dei dischi ed soprattutto avendo la fortuna di suonare con alcuni maestri della
vecchia scuola.
Il tuo background comprende stili e generi apparentemente diversi con
eroi di infanzia come Holdsworth, Scofield, Coltrane, quando hai deciso di dedicarti
completamente al Jazz.
All'inizio suonavo anche la Strato oltre alla "175". Quando abitavo a
Miami mi capitava nella stessa settimana di avere diversi ingaggi come chitarrista
rock, bossa, pop, funky perché non c'era molta concorrenza, ma a NYC la situazione
è diversa. Ci sono mille chitarristi che vogliono essere il miglior chitarrista
Jazz, mille che vogliono essere il miglior chitarrista bossa, mille che vogliono
suonare al "Tonight Show" e così via, per cui non puoi rilassarti molto. Dovevo
scegliere cosa volevo fare ed io ho scelto il jazz ma nella mia maniera. Devi lavorare
duro per raggiungere un certo livello.
Shadowless è il tuo settimo disco da leader ed è un disco interamente
di inediti. Qual è il tuo approccio alla scrittura?
Ogni persona funziona in maniera diversa riguardo alla scrittura. Non
esiste un metodo universale. Sono sempre stato creativo nello scrivere melodie.
Una melodia può arrivare in maniera naturale mentre per il resto ci vuole lavoro
duro. Bisogna avere il proprio istinto in allerta. Mentre si sente qualcosa nella
testa bisogna fermarsi e registrarlo ed avere la pazienza di lavorarci su. A volte
scrivo una melodia di getto, altre volte ho bisogno di tanto tempo per elaborarla.
Quali differenze trovi nel lavorare su brani appartenenti alla tradizione
del Jazz rispetto ai brani originali?
Il disco precedente era di ballad e standard. Amo fare dischi come "Night Songs" dove entri in studio con la tua band, scegli delle song che ti ispirano,
schiacci il tasto REC ed alla fine della session hai un prodotto puro e connesso
con la storia del Jazz. Per l'etichetta Criss Cross volevo assumermi il rischio
di fare un disco di ballad, ma dopo questo sentivo di dover tornare in studio per
un progetto basato sugli originali che sarebbe uscito per la mia etichetta. Sapevo
che era il momento giusto per fare da solo. Posso essere più diretto con i fans
tramite il mio sito web e con i social network per cui mi piaceva l'idea di avere
il controllo totale della musica e di tutto il resto. Questo disco è molto importante
per me e ne vado fiero. Dopo Night Songs volevo un disco più immediato e più diretto.
Presti molta cura al suono della chitarra ed in questo album si nota
l'utilizzo delle varie possibilità timbriche che lo strumento ti offre oltre al
suono acustico, inoltre l'album presenta dei picchi molto forti alternati a momenti
più riflessivi e morbidi.
Il momento che stiamo vivendo è molto stimolante. Dopo il jazz classico
è stato il momento della fusion ma da allora le cose sono cambiate. L'idea di fusion
è cambiata. All'inizio si pensava che la fusion dovesse essere aggressiva e con
la dinamica sempre al massimo. Il linguaggio era differente. Adesso con i ritmi di
tutto il mondo e la tradizione Swing e Bebop, c'è più bilanciamento. In questo lavoro
c'è molta cura sulla dinamica e ci sono momenti più duri alternati a momenti più
riflessivi. Anche con Dr. Lonny Smith succede la stessa cosa. Ci sono un paio di
momenti nel disco dove si sentono i Rage Against The Machine e, contestualmente,
il Bill Evans
delle ballads. Adesso ci sono musicisti realmente in grado di mischiare tutto e
renderlo attuale pur con le basi nella tradizione. E' importante che tutti nella
band siano in grado di suonare diversi stili fondendoli insieme. Non si deve per
forza di cose denigrare altri generi musicali per rimanere attaccati al proprio.
Bisogna ascoltare di tutto purché sia onesto, perché la musica va al di là dei generi
e delle divisioni. Bisogna rispettare tutti i gusti musicali. Io suono jazz ma sono
aperto alle influenze che altri generi possono portare nella mia musica.
Oltre alla tua attività da leader tu vanti una serie notevole di collaborazioni
importanti tra cui Dr Lonnie Smith, Joe Locke ed altri.
Le collaborazioni sono molto importanti per me e mi aiutano a crescere
ed a maturare il mio suono. Sono molto contento perché in questi giorni ho ascoltato
il mix del nuovo disco di
Stefano
Di Battista. E' un grande disco e sono fiero di aver collaborato
con lui. Dr Lonnie Smith appartiene all'old school, lui viene dal blues,
dalla tradizione orale e dalla voglia di comunicare attraverso la musica. Penso
che noi due siamo molto simili e, anche se abbiamo due background molto diversi,
il punto di arrivo è lo stesso.
Parlaci del tuo primo incontro con Dr Lonnie Smith.
Quando l'ho incontrato la prima volta per una gig lui mi guardava
storto perché non era sicuro di me. Lui ha suonato con George Benson. Io
amo George Benson ma sono molto diverso dalla sua maniera di suonare la chitarra.
Mentre suonavamo mi accorgevo che oltre alla tradizione ed alla vecchia scuola lui
aveva anche una "wild side". Ascoltava con molta attenzione le cose che facevo,
mi guardava e sembrava apprezzare. Adesso il trio con lui è ormai consolidato ed
abbiamo registrato un disco che si chiama "Spiral".
Il tuo stile sembra influenzato molto dai pianisti. Melodia e parti armoniche
si susseguono spesso come se ci fossero due chitarristi.
Ho sempre amato il piano trio ed amo ascoltare
Bill Evans,
Hancock, Jarrett e Mehldau. Preferisco le piccole band ed il trio in particolare
perchè ho il controllo armonico. Ho iniziato a suonare in trio per ragioni economiche
e poi ho capito che mi divertivo particolarmente. Inoltre trovo che l'interplay
ne giova. Quando suono una melodia sento la mano sinistra del pianista nella mia
testa. Bisogna conoscere bene l'armonia per suonare in questo stile. La melodia
può essere suonata in diverse parti della chitarra per cui bisogna imparare ad improvvisare
anche delle parti cordali. Suono ormai da anni con Mark Ferber e Matt
Penman. Mark è come un fratello per me. Per istinto ho sentito che la mia chitarra
e la sua batteria suonavano in perfetta simbiosi. Matt ha un grande orecchio ed
il suo basso a volte suona con un effetto contrappuntistico.
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Data pubblicazione: 19/08/2011
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