Lo sviluppo dell'organizzazione concertistica
e dei festival jazz dagli anni ottanta ad oggi
(seconda parte)
di Alceste Ayroldi
foto di copertina (E. Marrone)
(prima parte)
I festival e le rassegne di jazz lievitano in numero e ogni regione
se ne assicura almeno un paio. A metà degli anni Novanta il Veneto si rinforza con
New Conversation-Vicenza Jazz, affidando la direzione artistica a Riccardo Brazzale.
E nel 1998 per mano di Gabriella Piccolo Casiraghi,
anche Padova fa la sua apparizione nella mappa del jazz italiano con Padova suona
jazz.
Così Milano mette in campo due inossidabili rassegne:
la prima organizzata dall'associazione Secondo Maggio: una rassegna che dal
1994 traccia con accuratezza un percorso tra le musiche
del XX secolo. La seconda nasce alla fine del decennio sotto l'egida di Musica oggi,
all'interno dei Civici Corsi di jazz, si accomoda al Piccolo Teatro di Milano (teatro
Strehler), dove la Civica Jazz Band di Enrico Intra incontra ospiti solisti,
direttori, compositori.
Si fanno largo i concorsi che assumono la veste di vetrina per i «giovani leoni».
Camerino nel 1996 fa decollare quello che è, ancora
oggi, il più ambito dei contest italiani: il Premio Internazionale
Massimo Urbani,
diretto da Paolo Piangerelli.
Alla curva del decennio (1996) la Campania scende in
campo con il Pomigliano Jazz Festival (a Pomigliano d'Arco, provincia di Napoli),
con le linee artistiche disegnate da Onofrio Piccolo.
Il jazz si colloca sempre più d'estate ed è sempre più un corollario per le vacanze,
tanto da assumere il ruolo di volano turistico. Nel 1995
nasce I Suoni delle Dolomiti, che abbraccia un considerevole territorio e offre
spettacoli d'assoluto valore in ambienti lì dove un concerto non si sarebbe altrimenti
previsto. Rassegna che trova, qualche anno dopo, la compagnia del festival Dolomiti
Ski Jazz, che s'acconcia nel tardo inverno/inizio della primavera.
E' il tempo dell'hinterland milanese, con il jazz riunito sotto l'insegna dell'associazione
Bollate Jazz Meeting, che ha progressivamente ampliato la sua attività con alcune
collaborazioni, come quella con il festival di Villa Arconati a Castellazzo e con
il comune di Arese.
La capitale risponde alla chiamata alle armi del jazz e sfodera nell'estate del
1995 Villa Celimontana Jazz. Una rassegna, spalmata
tra luglio e agosto, che ha subito una brusca battuta d'arresto dal
2014.
Nello stesso anno, in provincia di Salerno, esordisce Baronissi Jazz, munito pure
di un concorso che diventerà ambito. Dopo anni di onorato servizio, con l'edizione
del 2013, anche Baronissi si è fermato.
Non sono molti i festival tematici, dedicati a uno strumento: rara avis è
Percfest a Laigueglia dal 1996, con la direzione
artistica di Rosario Bonaccorso, festival che ha a cuore le percussioni (con
il Memorial Naco), ma non solo.
Nel 1996 in Emilia, grazie a Roberto Bonati,
vede la luce ParmaJazz Frontiere, in controtendenza: perché è l'autunno la sua stagione
e perché le scelte artistiche sono versate sul fronte europeo. La sua fortunata,
e meritoria, evoluzione ha generato anche la casa discografica omonima.
Il binomio festival e didattica prende sempre più piede, così anche Merano che inizia
con gli spettacoli al crepuscolo degli anni Novanta e nel nuovo millennio apre l'academy.
In coda al Novecento (1998) la Puglia mette un altro
tassello nel suo mosaico del jazz con l'apertura del Fasano Jazz Festival. E dall'altra
parte d'Italia s'incomincia più seriamente ad apparentare il jazz con il vino; accoppiata
che metterà su famiglia con altri cibi, bevande e leccornie varie, rendendo ancor
più gradevoli le note sincopate (si veda Zola Jazz & Wine e Jazz & Wine Montalcino).
A Cormòns c'è il circolo Controtempo con il festival Jazz & Wine of Peace che ne
2014 ha battuto le diciassette primavere. E' lo stesso
sodalizio che dall'inizio del Duemila promuove a Trieste Le Nuove Rotte del Jazz,
a Sacile Il Volo del jazz e, da ultimo a Pordenone Piano Jazz.
C'è anche Moncalieri che in coda al XIX secolo festeggia la sua prima edizione.
E fa capolino nel 1999 anche il Lovere Back to Jazz,
organizzato dal Jazz Club Bergamo.
Con il passar del tempo lievita il numero di rassegne e festival, ma si fanno sentire
anche le prime geremiadi degli organizzatori in debito di ossigeno (leggasi denari);
organizzazioni sempre più in mano ai musicisti che assumono la direzione artistica,
innescando un pericoloso sistema di coinvolgimento diretto e in alcuni casi, quasi
inevitabilmente, mettendo in atto lo schema «do ut des», alias: io suono da te,
tu suoni da me; pratica che Luca Pavanel afferma essere già in uso da tempo
nel blasonato mondo della musica classica.[1]
Gli albori del terzo millennio sono prodighi di nuove nascite: da Ciampino a Rimini,
passando per la Calabria del Peperoncino Jazz Festival di Sergio Gimigliano,
rassegna diffusa su più comuni; c'è la Puglia che rinforza le schiere con il Multiculturita
Summer Jazz di Capurso con la direzione artistica di Michele Laricchia e
il Beat Onto Jazz Festival di Bitonto di Emanuele Dimundo, che dal
2000, nei primi giorni di agosto, riempie di jazzofili
la piazza antistante la Cattedrale; non solo, perché si avvia anche la prima edizione
di Bari in Jazz con l'organizzazione del centro culturale Abusuan; c'è il Locus
Festival di Locorotondo, più orientato al soul. Nel Salento ci sono il Locomotive
diretto da Raffaele
Casarano e l'Otranto Jazz (che ricomprende anche Maglie) con la direzione
di Edmondo Canonico. Anche Milano rinfoltisce le schiere con l'Ah-Um Jazz
Festival ideato da Antonio Ribatti, che ha dalla sua anche un'interessante diversificazione
temporale e degli spazi coinvolti. A Santa Teresa di Gallura dal
2005 è avviata la suggestiva kermesse Musica
sulle Bocche, che coinvolge, in coda al mese di agosto, piazze, strade e vicoli
dal tramonto all'alba. Concerti e workshop dal 2004
anche per il Gezmataz di Genova.
Nel 2000 prende vita il progetto Ubi Jazz a Salzano.
Ci sono gli Itinerari Jazz di Trento con la consulenza artistica di Enzo Costa.
Nasce Novara Jazz, diretto da Corrado Beldì, che ha una consistente forbice
temporale. C'è la Toscana, con la Fondazione
Siena Jazz,
baluardo della didattica jazzistica, con i suoi allievi e docenti impegnati in performances
e jam tra le contrade e piazza del Campo. Dal 2005
anche Foligno si trova a fare i conti con la musica afroamericana grazie a Giovanni
Guidi che dirige il Young Jazz Festival.
Poi c'è Stresa che dedica un capitolo al jazz con Midsummer Jazz Concerts e la fresca
e giovane Ostinati! promossa dal Centro d'Arte di Padova.
Il terzo millennio ha portato anche due grandi novità capitoline: il Parco della
Musica e la Casa del Jazz; quest'ultima croce e delizia dei jazzisti e dei jazzofili
e spesso all'onore delle cronache più per le polemiche, che per i concerti.
Un'altra grande novità è data dai sodalizi, dai network per dirla con il gergo dei
nativi digitali. Marche Jazz Network, Crossroads Emilia Romagna hanno come obiettivo
quello di creare un'azione sinergica per fare da collante tra varie realtà locali
e coordinare un cartellone ampio e articolato: esperienza che Sandra Costantini
con Crossroads ha, tra mille travagli, sempre magistralmente condotto.
Nel 1997 ha inizio l'avventura di TAM- Tutta un'altra
musica a Grottazzolina, con a capo Gianbattista Tofoni, che promuove un circuito
di concerti nei vari comuni del Fermano, nelle Marche.
I-Jazz, invece, si pone un obiettivo più grande e più complesso: quello di essere
la voce di un settore da considerare come un'attività che occupa risorse umane ed
economiche. Senza contare l'Europe Jazz Network che tiene in relazione un vasto
numero di realtà di tutta Europa.
Dal numero – e dalla qualità – di festival e rassegne, sembra che il jazz sia la
musica prediletta dagli italiani, ma a ben vedere le cose non stanno proprio in
questi termini, perché le doglianze degli organizzatori sono proprio legate allo
scarso pubblico, fatta eccezione per gli eventi gratuiti. Insomma: «se si paga non
vado, se è gratis un salto lo faccio!». A questo paradigma fanno eccezione dei concerti
delle star (purtroppo sono da annoverarsi in tal senso anche coloro i quali hanno
ottenuto la «grazia» di passaggi televisivi che li rendono – d'emblée - «trasversali»,
ovvero seguiti anche da chi il jazz non lo avrebbe diversamente considerato.
Si sono registrati flop senza precedenti, artisti che hanno suonato davanti a una
manciata di persone, platee deserte, concerti annullati o rinviati. V'è che il pubblico
italiano, nei tempi delle vacche grasse, è stato abituato (male) a non pagare per
i concerti jazz o pagare un prezzo politico: tanto le provvidenze economiche arrivavano
comunque; perché se è vero che il jazz nel FUS conta quanto il due di picche, è
anche vero che gli enti regionali, provinciali (un tempo) e comunali, sono sempre
stati politicamente ricettivi e hanno erogato a man bassa. Ora che i patti di stabilità
hanno fatto stringere i cordoni delle borse, la situazione è cambiata: ma non le
abitudini del pubblico, che gira alla ricerca (e soprattutto l'estate l'offerta
è vasta) del duty free concert.
Nell'evoluzione del sistema festivaliero jazzistico, si deve fare i conti con i
management, che hanno acquisito sempre più potere contrattuale tanto da entrare
con tutte le scarpe in diversi cartelloni rendendoli molto simili tra loro e, di
conseguenza, poco appetibili.
Il processo evolutivo, poi, mercé la «televisione cattiva maestra » ha fatto sì
che i palinsesti di alcuni festival si siano sfaldati, lasciando entrare sempre
più musiche lontane non solo dal jazz, ma dal linguaggio musicale afroamericano,
o ingioiellandosi con paccottiglia frutto del meticciato tra cantautori in disuso
e jazzisti rampanti. La parola jazz finisce un po' dovunque, anche lì dove di jazz
ce ne è poco quanto niente: siamo alla devolution del jazz.
Alla scena festivaliera si affiancano i parecchi club, più o meno blasonati. Nel
recente passato ve ne erano di più, molti hanno abbassato le saracinesche per motivi
vari, soprattutto economici; altri hanno dovuto tirare un po' i remi in barca, assottigliando
le programmazioni, anche perché ben pochi possono vantare aiuti, privati o pubblici,
che consentano loro una dignitosa esistenza.
Un evoluzione c'è stata, e ciò è fuor di dubbio. Bisogna chiedersi se, però, ne
è valsa la pena e, soprattutto, se la musica, il jazz ne abbia guadagnato.
[1] Luca Pavanel, Il Corriere Musicale 14 aprile 2012
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Data pubblicazione: 24/07/2016
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