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Intervista a Michele Laricchia

marzo 2015
di Alceste Ayroldi

Michele LaricchiaMichele LaricchiaMichele Laricchia
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Michele Laricchia è il direttore artistico del Multiculturita Summer Jazz Festival, che da tredici edizioni si tiene a Capurso, grazie all'eccellente macchina organizzativa dell'associazione Multiculturita, presieduta da Giacomo Santorsola. Nel corso degli anni, il festival capursese ha ospitato nomi celebri quali: Arturo Sandoval, Manhattan Transfer, Pat Metheny, Brad Mehldau, Mina Agossi, Enrico Rava, Roy Paci, Stefano Bollani, Billy Cobham, Robben Ford, Bill Evans, Marcus Miller, giusto per citarne alcuni. Ma ha anche sempre riservato un'ampia vetrina alle novità italiane e, in particolare, a quelle proposte dai musicisti pugliesi



Come nasce l'idea del vostro festival e chi sono stati i promotori?

Multiculturita nasce da una mia "folle" idea. Quella di portare la musica che non trova spazio in radio e televisioni, nel mio paese, posto dove, ascoltare musica, fino a tredici anni fa era già di per se difficile. Ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada, un gruppo di persone altrettanto "folli" da seguirmi in questo ambizioso progetto. Ce l'abbiamo fatta. Con tanti sacrifici ricambiati da tante grandi soddisfazioni.

Come effettuate le scelte artistiche?
Siamo molto attenti alle novità del mercato discografico, ma non solo. Rivolgiamo particolare attenzione alla musica "made in Puglia", ai giovani, vedi il contest under 35, al jazz italiano. Le scelte sono caratterizzate da molto ascolto e non dai nomi da top ten che spesso le agenzie ci propinano.

Si è formato, nel tempo, uno staff e anche la collaborazione con altre realtà associative locali. Sono state sinergie produttive?
Assolutamente si. Multiculturita può contare sul lavoro costante dei soci dell'omonima associazione (ex Porta del Lago), e di diverse associazioni locali disponibili a lavorare in sinergia. Abbiamo costruito tanto e tanto ancora abbiamo desiderio di mettere in campo.

Affiancate l'attività festivaliera con quella divulgativa con seminari, workshop e guide all'ascolto. Potete fare un bilancio di tali attività?
Certo, l'abbiamo fatto spesso. È nata in questi primi mesi del 2015, una rassegna nella rassegna, Play Disc. Presentiamo, con le sassociazioni Young Art Lab e Note di Notte, nuove uscite discografiche della nostra regione. Il risultato dei primi appuntamenti è molto soddisfacente. C'è curiosità, e la curiosità, nel mondo dell'arte e della musica, è cosa molto positiva.

Quali sono le tendenze del pubblico? Quali concerti sono più affollati?
Spingiamo molto sulle novità, su nomi poco conosciuti, ma ovviamente i concerti più affollati sono quelli che vedono sul palco le grandi star internazionali e nazionali.

E' possibile fare un identikit del pubblico? Notate differenze con altre realtà?
I concerti di Multiculturita, sono in gran parte a pagamento. Chi frequenta i concerti è innanzitutto interessato alla musica, altrimenti non pagherebbe. E il prezzo del biglietto serve proprio a filtrare le presenze. Purtroppo non sono tantissimi i giovani che occupano le poltrone, temono la parola «jazz», e non sanno cosa si perdono. L'età media del pubblico è di 40/50 anni. Il jazz a differenza di altri generi musicali trova poco spazio sui media e questo è il risultato. Una diffusa ignoranza che spaventa e di conseguenza allontana dall'arte.

Avete notato che il pubblico ha modificato i suoi gusti nel corso del tempo? Se la risposta è sì, come sono cambiati?
Noto un'attenzione più importante nella fase dell'ascolto. Il silenzio nella piazza nel pieno di un solo di contrabbasso è una grande emozione per chi si danna la vita per organizzare un festival. Non sono cambiati i gusti della gente, bensì l'approccio all'ascolto.

Riuscite a creare partneship di tipo culturale con altre forme d'arte? Ne avete tratto giovamento da questa sinergia?
Certo lo abbiamo fatto spesso. Mostre fotografiche, di pittura, momenti di lettura, hanno sempre viaggiato a braccetto con il festival. A giovarne è sempre l'arte, la cultura.

Il prodotto culturale necessita di un "refreshment" dopo un arco di tempo stimato in cinque anni ma, oramai, anche ben prima. Tu e la tua organizzazione avete applicato questa regola di marketing? Se sì, in quale modo e misura?
Certo che si. Il festival si rinnova anno per anno. Aspettare 5 anni per cambiare in un mondo che viaggia alla velocità della luce sarebbe la fine. Cambia negli stili musicali proposti, nei colori, nelle location, nella pubblicizzazione. Non nell'obiettivo. Divulgare la cultura musicale di matrice afro-americana resta l'obiettivo imprescindibile.

Riuscite a creare sinergie con enti territoriali e/o enti pubblici?
È una missione quasi impossibile. Patrocini e piccoli contributi non mancano. In questi 13 anni abbiamo collaborato in tal senso con Comune di Capurso, Provincia di Bari e Regione Puglia.

E con enti privati? Vi è interesse da parte di istituzioni private verso il jazz?
Andiamo avanti principalmente grazie all'aiuto e alle sponsorizzazioni di privati. Senza di loro non staremmo qui a parlare.

Come giudicate l'attuale scena jazzistica italiana?
Il jazz italiano è, a mio modesto parere, poco in linea con la scena musicale europea e americana. Si inventa poco. E chi ha il coraggio di inventare, è poco gratificato dalle organizzazioni festivaliere.

E quella del "resto del mondo"?
Il resto del mondo è leggermente avanti, ma anche a livello globale leggo le stesse problematiche.

La programmazione delle vostre rassegne quanto spazio dedica ai musicisti italiani?
La quasi totalità.

Nella comunicazione degli eventi, quanto affidate al tam-tam e quanto al battage pubblicitario e/o alla comunicazione?
Non investiamo grosse risorse in pubblicità. Nel nostro caso il passaparola fa molto. In questi anni ci siamo guadagnati la stima di tanta gente che ci raggiunge da ogni parte della Puglia per il festival.

A vostro avviso, cosa dovrebbe-potrebbe fare lo Stato per migliorare la situazione delle attività festivaliere, rassegne jazz italiane?
Basterebbe una programmazione della concessione dei contributi più equilibrata. E sinceramente, anche i contributi ai jazz festival, andrebbero un tantino equilibrati. Sia a livello statale che regionale.

C'è un particolare fermento "istituzionale" che ha mosso diversi animi, tanto da crearsi alcune associazioni. Pensate che sia questa la strada giusta?
Le associazioni sono cosa assolutamente positiva. Sono frutto di passione, e la passione più di ogni altra cosa è garanzia di continuità. La politica va e viene. Ma non basta solo questo. Il fermento "istituzionale" dovrebbe colpire anche radio, carta stampata e televisione. La cultura va divulgata in maniera equa più che commerciale.

Quali sono le linee programmatiche che vorreste discutere con le istituzioni? Quali sono i nodi principali da discutere?
Da assessore alla Cultura del Comune di Capurso, ho aperto le porte ad ogni forma d'arte. I contributi alle associazioni, grazie ad una buona programmazione, hanno perso la loro caratteristica ricaduta "a pioggia", ma hanno rispettato una scala di merito. Chi è bravo viene aiutato, chi bluffa no. Le istituzioni sovra comunale dovrebbero ripartire proprio da questo, dalla meritocrazia. Ma la vedo dura.

Avete già presentato il cartellone della prossima edizione? Quali sono le linee artistiche che andrete a seguire?
Difficile di questi tempi programmare molto in anticipo. Di certo una delle serate del festival sarà dedicata al Contest per giovani band, ed un'altra alla brava pianista napoletana Armanda Desidery. Il resto verrà.








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Data pubblicazione: 06/04/2015

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