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Certamente l'idea di costruire un progetto sulla musica di Monk pensando
di realizzarlo con una formazione "pianoless" ha già una propria peculiare originalità.
Il complesso suono monkiano è di per sé di difficile riproduzione ed un delicato
processo di reinterpretazione e di rielaborazione della sua musica difficilmente
potrebbe essere immaginabile senza la "voce" del piano. Un Monk senza Monk è chiaramente
un ossimoro ma un Monk pensato, rivisto e riprodotto senza lo strumento che ne caratterizza
il linguaggio musicale ed estetico può apparire poco più di una semplice intenzione
velleitaria. L'idea del progetto è dunque singolare e si presterebbe in linea teorica
a rischi notevoli. Eppure il lavoro che
Lorenzo Tucci,
nella sua veste da leader, ci presenta è non solo interessante ma davvero bello.
L'intenzione di ripensare la musica di Monk abbandonando il piano di Monk – che
è un unicum nella storia del jazz, e in questa sua singolarità apparentemente
ancora più indisponibile a radicali rivisitazioni – è un'operazione assolutamente
ben riuscita. Non può certo sorprendere che l'interplay con il basso di
Ciancaglini
e la tromba di
Bosso funzioni egregiamente. I tre si conoscono benissimo e suonano
con un affiatamento invidiabile. La facilità e la fluidità con cui riescono a dialogare
ed a costruire, ognuno per suo conto, il proprio discorso musicale è straordinaria.
È indubbio che la qualità e l'estro dei singoli musicisti incida in larga misura
sull'esito del lavoro, considerando che ad ognuno è richiesto di dare ampiamente
spazio alla propria creatività. Una particolare considerazione merita, su questo
piano, la tromba di
Fabrizio Bosso.
La sua qualità di musicista è fuori discussione e segna in modo decisivo la sua
caratteristica versatilità che lo spinge ad elaborare ed a proporre linguaggi stilisticamente
molto diversi. In questo progetto monkiano la sua tromba, lontana anni luce dal
modo in cui potrebbe lavorare un ottone in un idealtipico combo gestito da Monk,
ha un approccio che potrebbe essere definito come un vero e proprio "polimorfismo
musicale". Al suo caratteristico suono dal timbro chiaro e nitido, dalla voce
adamantina ma che gli permette di proporre – volendo utilizzare degli abusati stereotipi
– con indifferente valore (eccelso) tanto un lirismo tipicamente cool quanto
un virtuosismo da bopper,
Bosso
unisce un umorismo frizzante, talvolta canzonatorio (si pensi al modo in cui viene
puntellato il tema di Tea for two, unico pezzo
non monkiano del disco), esplosioni da jungle ellingtoniana ed effetti da
musica elettronica (pensate all'incipit di Ask me now
o al vigoroso solo su Straight no chaser). Ma
il grande spessore di
Bosso
non finisce per mettere in ombra la sezione ritmica del trio che lavora, come detto,
con affiatamento e fantasia. Ascoltate per questo Rhythm-a-ning
o la bellissima rivisitazione di Bemsha Swing,
dove il duetto iniziale
Tucci-Ciancaglini
– con il basso suonato con l'arco e una batteria "rumorofona" a sostegno – assume
i tratti stilistici del linguaggio free fino all'avvio dell'ostinato che
fa partire il pezzo su binari più regolari e permette a
Bosso
di entrare sicuro e deciso come è del resto sua consuetudine.
Per quanto possa apparire sorprendente l'opera riesce, pur in un quadro
decisamente originale, a restituire, in un certo senso, lo "spirito cubista" monkiano.
In particolare il modo in cui sono stati ripensati i temi va, a parere di chi scrive,
in questa precisa direzione. Il tema sezionato e rallentato di
Evidence, quello scomposto, interrotto, ancora
rallentato e poi ripreso di Nutty costituiscono
esempi luminosi di come si possa radicalizzare anche una scelta interpretativa senza
perdere il significato e, appunto, lo "spirito" di un autore o di un'opera. Anche
l'andamento ripetitivo del tema di Friday the 13th
su cui Bosso
sovraincide la sua tromba fino a creare un effetto da "sezione di ottoni" è un'operazione
felice che, ancora, conferma la validità innanzitutto della questione più problematica:
la scelta interpretativa. Un lavoro autentico, degno di un'attenta considerazione
e uscito fuori – ad ascoltarlo – con estrema semplicità, nonostante l'operazione,
nella sua stessa progettazione, fosse tutt'altro che semplice.
Alessandro Giamatti Fubini per Jazzitalia
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 11/08/2007
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