Intervista a Fabrizio BOSSO
Palermo, 20 maggio 2003
di Antonio
Terzo
A.T.: Giusto per partire menzionando le autorità cui ti sei affiancato, hai suonato sotto la direzione di George Russell, Mike Gibbs, Kenny Wheeler, Dave Liebman, Carla Bley, Steve Coleman, più di recente Phil Woods: di chi tra questi hai un aneddoto da raccontare…?
F.B.: Forse la severità di Gorge Russell, il quale non dava il tempo di guardare le parti, staccava il tempo e si doveva andare. E le sue partiture sono difficilissime, ci ha messo in difficoltà più di una volta…
A.T.: Quindi richiedeva una lettura all'impronta …
F.B.: Sì, assolutamente. Io ho sempre avuto
la dote di leggere bene a prima vista, ma non tutti ne sono capaci, non avendo
studi classici alle spalle avevano più problemi…
A.T.: Durante un'intervista
che pubblicheremo su questi sito ha parlato di te un grande senatore della tromba, Kenny Wheeler, menzionandoti tra i non molti giovani musicisti italiani a lui noti e che in qualche modo segue: che te ne pare?
F.B.: Con lui è stata una bellissima esperienza. Ho lavorato sotto la sua direzione prima da corsista, al Paese degli Specchi a Bologna nel '93, e successivamente ci siamo rivisti dopo 6-7 anni per un progetto con un decimino, tutti professionisti, con musica scritta da lui. Mi ha trovato maturato, è rimasto molto colpito…
A.T.: Ti ha contattato lui?
F.B.: Si trattava di una cosa organizzata da Maurizio Giammarco, che ha messo su questa band con me, Marco Tamburini, Roberto Rossi, ed altri, e abbiam fatto due giorni di prove ed un paio di concerti, a Termoli se ben ricordo.
A.T.: Invece sembra che per motivi logistici la tua esperienza con Salvatore Bonafede, tra le tue più riuscite (tu hai suonato nel suo
Ortodoxa, lui ti supporta in
Fast Flight, entrambi RedRecords), sia, se non conclusa, ormai rimasta affidata a situazioni più contingenti e non stabili: quindi la particolare intesa musicale che vi conduceva a lavorare insieme non è riuscita a far superare le difficoltà della distanza?
F.B.: Inizialmente, quando è nato il mio gruppo, ho voluto che Salvatore suonasse nel disco, e poi da lì lui ha messo su questa formazione per il suo disco ed è capitato di girare a nome suo, come capita ancora. Ma purtroppo nulla di stabile, perché è difficile: lui ha anche degli impegni al conservatorio, poi c'è la distanza…. E' difficile organizzare giri così, però c'è sempre una grande stima, ovviamente, e quando ci si ritrova a suonare è sempre un piacere.
A.T.: Adesso c'è Giovanni Mazzarino …
F.B.: Sì, con Giovanni c'è più continuità, nonostante lui stia qua, forse ha uno spirito un po' più manageriale, quindi riesce ad organizzare. A Salvatore non va tanto di star troppo in giro… Invece Giovanni riesce ad organizzare queste settimane di concerti: per esempio oggi suoniamo dopo un giro di una settimana, poi il 24 faremo un'altra serata a Genova. Con Giovanni Mazzarino ho già fatto due dischi, il primo
Evening in Blue e quest'ultimo,
The Cyclone, che presenteremo stasera… Giovanni suonava già da più anni in quartetto con questi stessi musicisti… Circa sette-otto anni fa ho sostituito Flavio Boltro, a Giovanni son piaciuto e dopo qualche tempo mi ha chiamato ed il suo quartetto è diventato quintetto.
A.T.: Altro brillante progetto in cui si registra la presenza dei tuoi pistoni è quello con il pianista Luigi Martinale, con il cui quartetto hai registrato sia Eyes and Stripes (2000) che il recente
Urka
(2002): sembra tu abbia riscontrato terreno fertile nelle composizioni di Martinale per esprimere al meglio la tua verve interpretativa.
F.B.: Luigi ha una bella scrittura, in effetti non facile a livello armonico: per non entrare nel dettaglio, a differenza di altri che scrivono musica originale,
che si fa pure molta fatica a suonare e magari alla fine non è neanche bella, con Luigi invece c'è un po' di difficoltà iniziale ad imparare gli assoli, a causa dei giri armonici non semplici… Per alcuni aspetti mi ricollegherei proprio a Kenny Wheeler come atmosfera…
A.T.: Sicuramente Martinale è più ironico…
F.B.: Sì in alcuni pezzi sì, ma in quelli più d'atmosfera c'è un po' quel tipo di sonorità… Alla fine lui ha un bel senso della melodia, costruisce bene la musica, secondo me, e ha un bel modo di concatenare gli accordi: mi diverte! Anche con lui, purtroppo, poi non suoniamo tantissimo. Si esce se riesce ad organizzare questi piccoli giri…
A.T.: Pensi allora di aver finalmente trovato in questo
quartetto la giusta dimensione espressiva, così da smettere di "girare" e
finalmente fermarti almeno per un po'?
F.B.: Mah, in Italia purtroppo non funziona come in America dove se hai un progetto ti aiutano a spingerlo e con quello puoi andare avanti: qui sei costretto ad essere molto cauto… Da una parte è una fortuna esser chiamati da tanta gente e poter suonare in diverse formazioni, perché comunque è stimolante. Poi si arriva ad un certo punto nell'arco di un anno che si è un po' saturi: io ieri ho suonato con
D'Andrea, stasera suono con
Mazzarino, domani sono con
Cammariere… Allora a volte diventa difficile gestire questa cosa qua, non solo a livello fisico, perché i viaggi distruggono, ma anche psicologico, perché dover entrare ogni sera nella musica di un musicista diverso, ognuno con un proprio taglio, una propria dimensione concettuale… Per dire: ieri ero con
Franco D'Andrea e
Gianluca Petrella, abbiamo suonato in trio una cosa particolarissima, un progetto molto bello, di cui è appena uscito pure un disco,
Round Riffs & More, per la Philology… Io sei mesi fa ho messo su un quartetto, ho fatto tre date e con tutti gli impegni che ho non riesco a gestirlo: avrei dovuto fare il disco già quattro-cinque mesi fa, ma ho dovuto rinviare tutto ad ottobre, sperando di calmarmi un po'. Questo è un momento in cui mi capita di andare avanti suonando un po' con tutti, mi sta bene... Per altro devo dire che negli ultimi due anni ho fatto tutte cose di qualità, potendo eliminare quelle peggiori…
A.T.: Tra le tue collaborazioni, oltre a quelle fin qui ricordate, si registrano anche delle sortite nell'ambito della musica più propriamente leggera:
Concato, Baglioni, Cammariere…
F.B.: Beh, per me è una esperienza bellissima, perché mi trovo a suonare in contesti pop… Con Sergio è la dimensione ideale, perché alla fine io suono jazz, faccio i miei soli ottenendo grande popolarità con poca fatica rispetto ad un concerto di jazz come può essere quello di stasera. Anche la musica di Giovanni è infatti molto impegnativa, e quindi magari si fa una fatica pazzesca per avere un riscontro finale che è un quarto di quello che posso avere quando faccio un solo con Sergio, dove ci sono tremila persone che impazziscono, e uscendo dal palco faccio un mucchio di autografi… E' una dimensione nuova per me, no? Semmai la cosa bella è che inizio ad avere un riscontro anche ai miei concerti o quando suono da solista: viene la gente che mi ha visto con
Cammariere, la quale, quindi, si avvicina al jazz… Ed è questa per me la cosa importante, perché comunque stiamo attirando una fetta di pubblico che magari non si sarebbe mai avvicinata al jazz. Con Sergio alla fine facciamo il bis e magari suoniamo Caravan,
Estate, e la gente coglie tutto, perché è più predisposta. Secondo me questo è un bel momento per il jazz, anche se c'è tanta gente che si lamenta… Ma è un po' una mania degli Italiani quella di lamentarsi! Io poi mi ritengo in una situazione privilegiata perché lavoro tanto, godo di una certa considerazione.
Ci son tanti bravi musicisti che dovrebbero avere più spazio, ma questo dipende anche da sé, dal carattere: se posso vantarmi di un pregio è quello di essermi dato molto da fare sin da quando avevo quindici anni, sacrificando parte della mia adolescenza perché credevo veramente nella musica. Infatti mi sono diplomato presto, ho preso la mia tromba a spalla e mi son fatto due anni e mezzo di liscio, perché andando via di casa presto, dovevo pur mantenermi… Non rinnego nulla, anzi adesso mi trovo a raccogliere un po' i frutti di quanto ho fatto allora.
A.T.: Ma non temi di tradire o comunque corrompere la tua natura jazz in queste situazioni pop?
F.B.: No, lotto sempre contro questa cosa. Per esempio, un mio carissimo amico e musicista che stimo, il mio collega Marco Tamburini, è sempre stato criticato da tanti musicisti che si ritengono "puristi" perché suonava con Jovanotti. Sono pretesti: se si sa suonare, lo si fa bene in qualsiasi contesto, e poi il lavoro è lavoro. Inoltre questi "puristi" sono poi gli stessi che si lamentano di non avere mai una lira! Trovo questo ragionamento molto provinciale: in Italia ci sono i "puristi", poi quelli che fanno il free che odiano quelli che fanno il bop, ed infine gli altri che facendo pop non sono più considerati dei buoni jazzisti! Però Herbie Hancock che suona con Giorgia gli va bene! Uno che è molto avanti in queste cose è Stefano Di Battista, che ha fatto un disco con Niccolò Fabi, ma, anche se lui è uno fortissimo, c'è sempre qualcuno che giudica negativamente… Ma se lui può dare il suo contributo, quello che sente, il suo jazz, se può regalarlo anche alla musica pop, che c'è di male?
A.T.: E poi come dicevi, c'è il riscontro in cui tali situazioni possono veicolare il jazz stesso!
F.B.: Esatto! Per me la gioia più grande è vedere le diciottenni-ventenni che impazziscono per un mio solo su una ballad…! Fra qualche anno magari le stesse andranno a sentire un concerto di jazz, diventeranno appassionate di jazz e compreranno dischi di jazz!
A.T.: C'è pure un progetto inverso, per così dire,
Italian Songs
(2002) con Paolo Di Sabatino: come vi è venuto in mente?
F.B.: E' stata un'idea venutaci così, l'abbiamo fatto in un paio d'ore: eravamo in giornata di grazia, abbiam preso tutte le prime takes… Più che altro ci siamo divertiti ed abbiamo fatto anche qualche concerto in giro.
A.T.: Pensate di fare una seconda uscita?
F.B.: Ma, non so, potrebbe anche essere… L'idea era nell'aria, ma con i nostri mille impegni diventa difficile ritrovarsi… Si vedrà!
A.T.: Ancora un po' di aneddotica: com'è avvenuto che nel '97 tu abbia sostituito Randy Brecker e Lew Soloff nel tour italiano della Carnegie Hall Big Band?
F.B.: Quella è stata un'esperienza fantastica: mi ha chiamato Randy Brecker, che nutre una grande stima nei miei confronti e con il quale avevo lavorato qualche anno prima, e mi ha detto che sarebbe mancato lui due giorni ed altri due giorni Lew Soloff: così li ho sostituiti…Ho vissuto la loro atmosfera, perché in America hanno un'idea di big-band molto diversa dalla nostra: per noi big-band significa volume, suonare forte, massa di suono, mentre loro curano molto più le dinamiche, guadagnandone molto più la precisione, i colori, gli attacchi… Sono rimasto subito affascinato. Poi Jon Faddis, che è il direttore, anzi era perché la
Carnegie Hall è stata sciolta per mancanza di fondi - è rimasta solo la Lincoln Center, quella diretta da Wynton Marsalis - Faddis,
dicevo, è uno molto severo, e nonostante Randy Brecker gli avesse parlato bene di me, mi ha fatto comunque l'esamino: sono arrivato là a fare la prova prima del concerto, e come primo pezzo mi ha messo davanti una cosa allucinante, un unisono a quattro trombe, giusto per vedere… Io l'ho letto bene, tanto che alla fine Lew Soloff mi ha dato una pacca sulla spalla dicendomi: "L'hai suonato meglio di me che lo faccio da un anno…". E a quel punto Faddis s'è rilassato, e da lì è nato anche un bel rapporto…
A.T.: Torniamo a te. Sono trascorsi circa quattro anni da quando nel '99 sei stato designato "Miglior Nuovo Talento" dal referendum di Musica Jazz: come ti sei sentito allora?
F.B.: Questa nomina è arrivata veramente a sorpresa, perché non era ancora uscito il mio disco, e di solito si viene premiati quando tiri fuori qualcosa… Pur non avendo ancora fatto un disco mio, però ho avuto la fortuna di aver iniziato a lavorare con musicisti importanti come Enrico Pieranunzi o Enrico Rava, che diceva bene di me… Infatti, altra cosa negativa che devo purtroppo dire dell'Italia è che finché non c'è qualche musicista importante che parli bene di te non ti si filano nemmeno! Mi dispiace che qui non esista la figura del talent-scout, come invece in America: i talent-scouts sono produttori, giornalisti, persone che girano per le jam-session, vanno a sentire i giovani nelle scuole… Perché Roy Hargrove, Nicholas Peyton, Joshua Redman hanno avuto modo di diventar famosi, avere un contratto con la Verve o la BlueNote a vent'anni? Con questo non voglio dire che anch'io avrei meritato simile trattamento, però secondo me in Italia ci sono elementi che meriterebbero più attenzione… Là, se vali qualcosa ti danno la possibilità di tirarlo fuori, anche in Francia già più che in Italia. Qui un giornalista, prima di scrivere di qualcuno, deve avere delle segnalazioni da parte di qualche musicista di peso, oppure si deve fare un disco che gli piaccia…
A.T.:
Tu comunque rappresenti un'eccezione, perché alla fine molti parlano bene di te, indipendentemente da tutto. Quindi detto da te magari questo ha un peso maggiore, va apprezzato di più… Ma da quella premiazione, nel frattempo cosa è cambiato?
F.B.: Mah, io lavoravo parecchio già prima… Magari nel primo periodo sono subentrati gli approfittatori, per esempio il trio non particolarmente bravo, che non riuscendo a suonare in giro prende la data con il tuo nome, ti chiama, paga un po' di soldi in più e in questo modo becca le serate… Il risultato è concerti poco più che mediocri, in cui si è costretti a tirare la serata e si suona ad un livello molto più basso rispetto alle proprie possibilità: questa è stata la prima conseguenza… Tuttavia, se si accorgono di te le cose cominciano ad andare, ma devi esser tu a farle funzionare, dipende da come ci si muove… Purtroppo vedo musicisti di gran talento che però non sanno sfruttarlo, di contro ad altri che, magari con meno talento, fanno più cose perché sanno gestirsi… Non mi va di far nomi, ma conosco musicisti straordinari che però tirano bidoni, non sanno gestirsi professionalmente… Ecco, manca la professionalità: in America invece è la prima cosa. L'aver fatto musica classica è stata una fortuna per me, mi ha insegnato la disciplina. Poi, nonostante io sia presto approdato al jazz, dopo aver suonato per anni molta musica classica, è stato piuttosto difficile sganciarmi da quell'impostazione, ho dovuto trovare il modo di applicare la tecnica classica al jazz…
A.T.:
Un po' d'ironia: oggi ti senti meno "Nuovo" come talento?
F.B.: Sì! Perché inizio a vedere in giro musicisti molto più giovani di me: per anni sono stato il più giovane in qualsiasi posto mi trovassi a suonare… L'obiettivo adesso è la maturità, riuscire a raggiungere qualcosa… Tecnicamente c'è sempre da migliorare, basti prendere ad esempio Wynton Marsalis: mi piacerebbe fare la metà delle cose che riesce a fare lui, anche perché migliorarsi tecnicamente consente anche di poter esprimere quello che si ha dentro. Più mezzi tecnici si hanno, meglio ci si riesce ad esprimere… O si è Chet Baker, che con due note riusciva a trasmettere sensazioni straordinarie, oppure i mezzi tecnici sono veramente indispensabili…! Adesso sto puntando di più ad una maturità, una ricerca, un suono mio, ma non ho neanche il tempo per rimettermi a studiare, cercare cose nuove: spero di averne più in là. Adesso suono un po' per inerzia, mi lascio trasportare dall'istinto, dall'energia che mi danno gli altri musicisti, cercando di dare comunque sempre il massimo.
A.T.:
Nel 2002 sei stato insignito del francese "Django d'Or" con l'High Five Quintet (con Scannapieco, Mazzariello, Ciancaglini, Tucci), per il cd
Jazz for more… (Via Veneto Jazz)…
F.B.: Sì, è un gruppo costituito da tutti giovani che mi dà molte soddisfazioni: abbiamo fatto questo primo disco e a settembre-ottobre dovremmo registrare quello nuovo. Quest'estate abbiamo diversi appuntamenti importanti, Umbria Jazz, poi Clusone e poi il 6 luglio Park Floral a Parigi, un grande festival con seimila persone, in cui suoniamo prima di Joe Lovano, una cosa che davvero ci onora.
A.T.:
Insegni sempre?
F.B.: Ho lasciato una settimana fa, facevo lezione ogni quindici giorni a Vicenza, in una Scuola di jazz, ma con la tournée di Cammariere e le altre cose non riuscivo più ad andare…
A.T.: Jazzitalia, come forse saprai, si occupa anche di didattica, avvalendosi della collaborazione di vari musicisti disposti a "trasmettere on-line" la propria esperienza: per quel che ti riguarda, qual è una delle cose più importanti che cerchi di dare ai tuoi studenti?
F.B.: Avendo avuto un approccio molto istintivo al jazz, cerco di trasmettere questa impostazione:. credo poco nello studio delle scale, anche se non può che far bene. Tanti Americani m'han detto la stessa cosa: se vuoi studiare le scale, l'armonia, studiale bene, ma quando suoni dimentica tutto quello che hai studiato! Quindi, secondo me l'aspetto più importante è sensibilizzare l'orecchio, ascoltare molta musica e trovare un proprio approccio a suonare sui giri armonici difficili… Ritengo che il jazz sia un genere così aperto che sarebbe restrittivo obbligare ogni musicista ad applicare lo stesso metodo per affrontare una determinata forma. Per suonare un giro di blues io posso avere i miei riferimenti, un altro avrà i suoi… Altro elemento importante è il tempo: la prima cosa è lo swing, l'approccio al levare, la differenza tra tempi binari e tempi ternari. Ho sentito musicisti completissimi che non sbagliavano una nota, ma se non si ha swing non si può suonare jazz! La pulsazione del contrabbasso ed il ride del piatto sono le due cose fondamentali: se si riesce a percepire questo, si può suonare jazz, tutto il resto si può migliorare… Poi il suono!
A.T.:
Ultimo cd acquistato…?
F.B.: Quello di Flavio Boltro, che doveva regalarmelo ma non ci vediamo da tantissimo… Siamo carissimi amici, anzi devo moltissimo a lui, perché se suono come suono, bene o male che sia, lo devo a lui… Ho avuto questa folgorazione quando da piccolo l'ho sentito suonare: pensa che mio padre, trombettista a livello dilettantistico, studiava da lui, a Torino! Sono andato a sentire il saggio di mio padre, io suonavo già la tromba, e mi son detto: voglio suonare come questo qua!
A.T.:
Quanto tempo fa?
F.B.: Avrò avuto dodici-tredici anni… Non ho mai studiato da lui, ma dopo essermi trovato a fare un paio di jam-sessions con lui è come se l'avessi fatto: mi hanno aperto la mente! Adesso, quando ci troviamo a suonare insieme è una gioia, non esiste la competizione, lui mi adora come io adoro lui: sono andato su la prima volta a Parigi e mi conoscevano tutti perché non faceva altro che parlare di me… C'è un rapporto bellissimo, purtroppo ci vediamo poco perché Flavio adesso vive a Parigi.
A.T.:
Oltre Jazz for more…, fra le ultimissime c'è l'album con Irio DePaula, che ti definisce "un vero talento anche dal punto di vista umano": due parole e quando esce.
F.B.: Questa non la sapevo e mi fa piacere: non leggo molto e non navigo tanto in Internet, non ne ho il tempo. Con Irio è stata un'esperienza bellissima, abbiamo fatto un disco in duo, anche lì tutti i pezzi alla prima take, c'era un relax pazzesco… Il disco dovrebbe uscire in settembre, ho registrato con lui e la sua Gibson due dischi, uno in duo ed un'altro in quartetto con Manzi e Moriconi: è stato bellissimo soprattutto sentire i pezzi brasiliani con gli accordi giusti…!
A.T.: C'è ancora qualcosa di più recente? Tuoi progetti futuri?
F.B.: Le cose importanti le farò con gli High Five, poi con Sergio Cammariere il Festival di Lucca, molto importante… Infine da settembre-ottobre spero di fermarmi un po' e pensare al mio quartetto, per poi riuscire a registrare.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 28/06/2003
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