Intervista a
Roberto Gatto
di Filippo Maria
Cazzolla
Incontriamo
Roberto Gatto e Danilo Rea in un bel bar di Matera un'ora circa
prima del concerto. Ringraziamo l'organizzazione dell'Onyx Jazz Club,
nella persona di Michele Cappiello, per aver fornito la collaborazione
necessaria.
JI:
Come deve porsi un batterista in una formazione come questa, cioè in duo con un
piano?
RG: Bisognerebbe considerare il duo in questione. Anche se batteria e pianoforte
sono due strumenti molto complementari, in realtà, da un certo punto di vista, sono due strumenti a
percussione. Il pianoforte è spesso usato a mo' di
percussione anche nella musica contemporanea, intendo dire che è suonato proprio da
percussionisti che ovviamente preparano il pianoforte in maniera da poter
ottenere dei suoni. Quindi il piano è ovviamente uno strumento armonico ma è anche uno
strumento percussivo che in qualche modo rientra, fa parte della famiglia degli strumenti a
percussione.
E quindi devo dire che la mancanza del basso mette
in condizione il batterista di essere ovviamente libero così come è libero il
pianista di svolazzare qua e là senza limitazioni armoniche, senza il perno che
poi determina la base dell'accordo, quello che in gergo musicale si chiama la
tonica o la dominante, quello che costituisce l'andamento armonico del pezzo. E'
chiaro che un musicista come Danilo, riesce a sfruttare questo e si muove perfettamente a
suo agio. Quindi da una parte c'è il ritmo e ... le invenzioni e i cambiamenti
molto repentini che ci sono in questo duo, le idee...
JI: come in un viaggio, si parte...
RG: ...si parte e non si sa dove si arriva, come succede sempre :-)) Nel tempo,
la caratteristica di questo duo, che si basa sulla conoscenza reciproca di anni,
... non è semplice da spiegare, non è semplice molto spesso anche per alcuni che
lo vengono a sentire anche se poi capiscono come funziona. Già quando vedi su un
palco una batteria e un pianoforte pensi: "mah, manca qualcosa", ovviamente il
contrabbasso perchè ci si aspetterebbe il trio. In realtà, come dicevo, io sono
assolutamente libero di fare quello che voglio anche se, chiaramente, fungo da
accompagnatore nel momento in cui si suonano delle cose a tempo.
Poi, ad esempio, la mano sinsitra del pianoforte sostituisce talvolta il
basso. Quindi quello che si chiama walkin' bass nelle parti più ritmiche,
"swing", viene effettuato dalla mano sinistra del piano che può sostituire il basso e quindi la batteria
si lega bene con l'accompagnamento swing. Però succedono anche tante altre cose,
si suona liberi, si suonano semplicemente delle atmosfere, degli accordi, dei
suoni. Spesso Danilo suona ritmicamente sul pianoforte, quindi ogni tanto si
innescano delle fasce ritmiche in cui interagiamo, per così dire, ritmicamente,
senza note. Danilo percuote il pianoforte, io percuoto la batteria e insieme
creiamo degli incastri, con la massima libertà. Con questo duo si può fare tutto
perchè siamo liberi di fare qualsiasi cosa.
JI: Avete fatto già altri concerti di questo genere?
RG: Beh, questo duo esiste dall'87, formalmente,
perchè in realtà noi suoniamo insieme dal '74. Però, sulla carta, ciò che ha
dato ufficialmente avvio al duo, è stato un disco che abbiamo fatto nell'89,
credo, che si chiamava Improvvisi,
al quale è seguito un disco che sta per uscire e che distribuiamo in via
promozianale durante questi concerti. E' stato registrato questa estate e si
chiama
Baci Rubati.
JI: Che cosa significa essere batteristi in italia?
RG: Mah, io mi sono sempre sforzato di difendere la categoria che spesso e
volentieri è un po' maltrattata, perchè i batteristi spesso sono l'ultima ruota
del carro. Nella storia della musica, la batteria è lo strumento per eccellenza
che fa rumore, o comunque il batterista è quello che ne sa meno di tutti in
termini musicali, e devo dire che è stato sicuramente così per anni, anche se
però poi bisogna anche pensare che la batteria è un po' la regia della musica.
E' successo nei gruppi rock, per non parlare nei gruppi jazz, nelle big band, il
batterista è stato sempre un po' il motore del gruppo, dell'orchestra. Quindi
quello che io cerco di fare nel mio modo di suonare ma soprattutto nel mio
pensiero di musicista è cercare di ... elevare il ruolo di questo strumento
suonandolo da musicista, essendo musicista a tutti gli effetti. Io, infatti, mi
dissocio abbastanza dal mondo della batteria, dal mondo delle competizioni,
delle drum battle, da tutto quello riguarda il mondo della didattica esasperato
attorno a questo strumento. Ne sto fuori già da parecchi anni. Mi piace fare
degli incontri con delle persone tipo quello che ho fatto ieri (ndr. il giorno
precedente al concerto Roberto Gatto ha tenuto un seminario) con degli allievi,
degli appassionati di batteria in cui si parla di tante cose, di aneddoti, ma
soprattutto di musica. Soprattutto mi sono imposto, sempre, di affrontare il mio
ruolo al massimo delle possibilità, quindi ho sempre scritto musica, ho sempre
diretto gruppi, ma proprio come esigenza, perchè mi è servito per crescere. Non
mi sono mai limitato ad essere "uno dei migliori batteristi", non mi interessa.
Anche se me lo hanno attribuito spesso questo "ruolo" del "miglior batterista
italiano" o "uno dei primi tre europei". Sono classifiche che mi possono far
piacere da un certo punto di vista, però io faccio altre cose in questo momento.
Se devo studiare qualcosa, studio la musica in senso più generale. Quindi
ascolto, studio, scrivo. Mi piace scrivere, mi piace arrangiare per orchestra
pertanto sto studiando in questo senso. Magari la batteria la suono per quello
che ho imparato in questi anni ... insomma i giochi sono abbastanza fatti anche
se poi il modo di suonare cambia, lo stile ... cerco però di essere sempre al
servizio della musica e questa forse è la caratteristica che mi fa essere magari
apprezzato o richiesto.
JI: Ci sono stati dei musicisti, dei batteristi che ti hanno particolarmente
influenzato?
RG: Tanti, tutti probabilmente! Nessuno escluso, si va dai batteristi del rock,
che è stata la musica con cui ho iniziato a suonare..
JI: davvero?
RG: Sì, sì, assolutamente. Io ho cominciato a suonare
Jimi Hendrix, i Led
Zeppelin ... la mia musica era quella. Sono nato con i Beatles, i Rolling Stones
e tutto quello che c'era negli anni settanta. Ho avuto la fortuna di vedere
dal vivo i
Beatles e anche Jimi Hendrix. Inoltre sono stato coinvolto dalla mia famiglia
da molto piccolo per cui la prima musica che ho ascoltato è quella e insieme
anche il jazz perchè mio padre era un appassionato di musica pertanto avevo vari
dischi a casa.
JI: E' importante che ci sia una persona, un padre, che ti accompagni si dalla
giovane età, che creda in te e non ti ostacoli ma, magari ti stimoli?
RG: Assolutamente sì!
JI: Danilo, e per te?
DR: E' fondamentale se hai un padre che ti lascia fare quello che vuoi...
RG: Il problema è che quando uno da piccolo, magari molto piccolo, minaccia di
avere delle attitudini musicali, il primo pensiero di un genitore è: "aiuto,
questo si mette a fare il musicista...lascerà la scuola, che succederà?". Questo
perchè la musica è sempre stata vista come ... ti chiedono: "che lavoro fai?",
"il musicista", "sì ma poi che lavoro fai?" ... e quindi vedo in effetti grosse
difficoltà da parte di molti nel riuscire ad accettare di diventare musicista,
perchè è difficile piazzare un figlio in un'orchestra, dargli un futuro ...
DR: anche perchè nella musica classica se non sei tra i primi dieci in Italia,
sei spacciato ...
RG: e nel jazz è ancora più difficile ...
DR: ma nel jazz puoi anche insegnare
JI: ma si può vivere di jazz?
RG: si può vivere di jazz, noi viviamo. Certo non vuol dire che abbiamo la
Ferrari ma viviamo, possiamo campare!
JI: Voglio dire, vivere solo di jazz non ti
offre molte possibilità di fare concerti
come invece potrebbe essere in atri contesti, come ad esempio i concerti con
Claudio Baglioni dove ci sono un bel po' di date ... e non è come suonare in un jazz
club.
RG: dipende dai punti di vista, sai...
DR: pensa ai vari cantanti in Italia. Ci sono 20 musicisti che fanno i dischi di
tutti i cantanti, gli altri 1000 ... non lavorano. E nella musica è così, o sei
tra i primi o sei costretto a fare l'insegnante. Il 70% di quelli che vanno al
Conservatorio non fanno i musicisti nella vita. Ed è qui che diventa importante
il ruolo dei genitori che devono darti fiducia e sicurezza.
JI: Chet Baker, che ruolo ha avuto nella tua esperienza
RG: Abbiamo collaborato entrambi con Chet e in particolare io ho fatto varie
tournèe e alcuni dischi con lui. E' un musicista che ha girato tanto in Italia e
per tutti noi è stato importantissimo. E' stato importantissimo soprattutto
dopo, quando poi realizzi ciò che hai fatto. Perchè sai, nel momento in cui sei
lì e suoni, lo vedi come un grande musicista, ma magari non realizzi. A parte
che poi questo sucedeva più di 15 anni fa, in un'età in cui noi eravamo sì
abbagliati dal jazz ma anche da tante altre cose. Non era come ora in cui
abbiamo preso una direzione un po' più precisa. Abbiamo passato il periodo
elettrico ecc...Noi comunque siamo stati fortunatissimi perhè quando abiamo
cominciato a suonare uno dei primi ingaggi fu con Lee Konitz e avevano
solo diciotto anni. E Lee Konitz era un gigante forse così come lo è ora, anche di
più. E accompagnare tanti altri musicisti proprio come Chet Baker era una cosa abbastanza
facile perchè esisteva la possibilità di incontrarli e di suonare con loro. Poi noi,
essendo un trio all'epoca, a Roma, con Enzo Pietropaoli, e suonando insieme
spesso, eravamo proprio assunti in blocco per accompagnare questi grossi
musicisti. Cosa che adesso non succede più, tranne in alcuni rari casi, non ci
sono più queste occasioni di girare l'Europa, l'Italia con questi musicisti e
farsi le ossa. Probabilmente perchè non ci sono più musicisti di jazz, è questo
il problema. Ci sono rimasti pochissimi esponenti illustri di questa musica ma
negli anni in cui noi suonavamo ci siamo potuti permettere il lusso di suonare
con i mostri sacri del jazz che non ci sono più e questa è stata una palestra
per noi. Chet Baker, per quanto mi riguarda, è stato colui che mi ha insegnato
soprattutto ad ascoltare quello che stava succedendo. Era un musicista che con
lo sguardo mi faceva intendere che si doveva ascoltare. Chet era anche un musicista
molto difficile con i batteristi, aveva delle esigenze di dinamiche di un certo
tipo quindi io strada facendo ho un po' capito questo sistema, ho fatto molta
attenzione e poi lui quando veniva in Italia chiedeva spesso di suonare con me,
proprio perchè avevo forse capito la strada da seguire. Ne ho visti tanti
cadere con lui perchè era un musicista con una sensibilità straordinaria,
bisognava assecondarlo molto. Ho imparto a suonare molto con le spazzole, ad
esempio, cosa che non facevo prima, e questo per avere una dinamica adeguata al
suo stile. Quindi, massimo rispetto e ... una grande lezione.
JI: Parlami del progetto "Rugantino"
RG: "Rugantino" è una cosa che è nata da un'idea discografica in modo da
realizzare un disco. Poi è diventato anche un concerto con tutte le
difficoltà di un progetto così, perchè è un gruppo molto grande. Siamo
riusciti comunque, nonostante tutto, a fare una decina di concerti con
un'orchestra abbastanza ingestibile perchè sono 20 persone che si muovono, con
una formazione di archi, prendendo spunto dal jazz ma anche dalla musica
classica. Ed è un'omaggio che io ho voluto fare sicuramente al musical ma
soprattutto ad Armando Trovajoli che l'ha scritto. Un musicista che io ho sempre
amato. E' un lavoro che fa parte del patrimonio romano, ma anche italiano perchè
è proprio il musical per eccellenza. Rugantino è stato il primo vero musical
importante in Italia, con la prima versione nel 1964, con Manfredi e la Vanoni,
al Sistina, regia di Garinei e Giovannini, forse è stato addirittura il primo
musical in assoluto. Quindi per me, che sono romano, quella musica è sempre
stata un punto di riferimento ed ho voluto lanciarmi in questa cosa non facile
perchè ho si è dovuto rileggere in forma jazzistica una musica che parla di tuttaltro, di una
storia durante il periodo dei Papi, a Roma, agli inizi dell'800, quindi con
riferimenti chiari alla musica popolare, agli stornelli romaneschi, a quella
tradizione che col jazz non ha niente a che vedere. Se non che, ad ever scritto
questa cosa è stato proprio Armando Trovajoli che invece col jazz ha molto a che
fare, e dentro al
Rugantino, a parte le canzoni famose, c'erano molti
riferimenti al jazz, sia armonici che ritmici, e questo mi ha fatto riflettere sul
fatto che forse si poteva riuscire a fare una lettura di questo tipo e infatti
credo che ci siamo riusciti. E' stato un lavoro molto apprezzato, molto ben
giudicato dalla critica anche se, purtroppo, come tutti i progetti grandi, ha
vita breve perchè ha i suoi costi e quindi non è facile poterlo portare in giro.
JI: Come vedi il Jazz nel 2000. Che prosepettiva ha?
RG: Mah, sicurmente lo vedo bene. Mi sembra che il jazz, soprattutto In Italia
stia vivendo un bel momento, in Europa in particolare. Noi musicisti italiani
siamo, in questi ultimi anni, un po' nell'occhio del ciclone in Europa. Cioè ci
sono stati musicisti che si sono trasferiti in Francia, come Fresu, Di Battista,
parecchi musicisti che hanno fatto fortuna, tra virgolette, in altri paesi e
questo a testimonianza del fatto che c'è un'ottima qualità, un ottimo livello di
jazz qui in Italia. Se si deve parlare di jazz, spesso si parla di Jazz
italiano, piuttosto che di jazz svedese o di jazz tedesco, perchè evidentemente
c'è un linguaggio, c'è uno stile che è molto apprezzato fuori e questo non fa
certo male. Non fa male per noi uscire fuori dall'Italia e portare la nostra
musica in altri paesi e non fa male per la situazione italiana in generale,
perchè poi alla fine si parla di noi, di musicisti che girano, che hanno
successo comunque fuori, e questa cosa offre l'opportunità di discutere di
questa situazione del jazz italiano. E ciò va bene, qualsiasi cosa succede
attorno a questi fenomeni, aiuta noi a lavorare meglio in questo paese. Anche
se, ti ripeto, il jazz non è una musica di massa, spesso qualcuno ci ha provato
a farla diventare tale, attraverso i grossi festival ecc...ci sono dei festival,
come Umbria Jazz e altri, soprattutto d'estate, che attirano parecchio pubblico
ma alla fine deve rimanere comunque una musica, non dico di élite, ma per un genere di
pubblico veramente appassionato a questa musica. Per cui non sfonderà mai, non
diventerà mai una musica pari alla musica leggera, ad esempio.
JI: Quindi un musicista jazz avrà, in rapporto, poca soddisfazione
economica...Molti musicisti sostengono che se non riescono a trovare altre
situazioni musicali, o didattiche, solo col jazz non possono addirittura pensare
di sopravvivere...
RG: Mah, questo è sicuramente vero. Però è anche vero che esistono vari
musicisti in Italia che da tanti anni fanno questo e lo fanno con coerenza e la
coerenza poi vince, secondo me, e fa vincere il musicista che fa quella scelta.
Certo tu dirai: "a te va bene, però molti altri...". Ho capito, però io ho fatto
una scelta molto coerente e non ho mai tradito questa musica anche se sono stato
chiamato in ambiti leggeri, ho fatto la tournèe con Pino Daniele, ho fatto dei
dischi con Fossati, ma sempre comunque cose di qualità dove io venivo chiamato a
fare Roberto Gatto, non a fare il tournista che va a suonare con loro, anche
perchè non è il mio lavoro. E tutto dipende anche da come uno, crescendo, riesce
a costruire una propria personalità e da come poi mette a disposizione questa
personalità senza falsare quello che poi lui è nella realtà. Poi, spesso può
funzionare, spesso magari no, ma spesso è successo che cantanti del mondo del
pop internazionale, come ad esempio Peter Gabriel, Sting, Joni Mitchel
e tanti altri cantanti hanno usato musicisti
jazz perchè evidentemente serviva loro che sotto ci fosse qualcosa che non era
così convenzionale. Ed utilizzando musicisti creativi, improvvisatori, come i
jazzisti, si possono ottenere spesso dei risultati considerevoli. Però, tieni
sempre presente quello che ho detto prima, bisogna avere il coraggio di fare una
scelta e farla seriamente. Si può dire: "sì però io col jazz non ci campo e
allora devo fare i matrimoni". Benissimo, però poi non ti puoi lamentare. Il jazz
è una musica che non ti regala niente. Se tradisci questa musica, ci metterati
tanto per recuperare quello che in quel momento stai perdendo. Perchè se tu
perdi un'occasione, e non sei in giro a suonare, non fai esperienza, e non
cresci musicalmente, perdi tempo e per recuperare questo tempo ci vuole poi il
triplo di quello che ci hai messo per perderlo. Basta una stagione, bastano
quattro mesi che tu non hai operato in quella musica, che allora perdi lo
stimolo, perdi freschezza, perdi lucidità, perdi preparazione sullo strumento,
tante cose. Il Jazz è una fede, insomma, non vorrei esagerare, è un pensiero, è
una musica che richiede grande concentrazione, grande preparazione ma
soprattutto grande spiritualità. E' veramente l'unica musica che richiede così
tanta attenzione. Uno si deve dedicare parecchio se vuole ottenere dei
risultati.
JI:
Se fossi ministro della musica, tre cose che faresti in favore del jazz
RG: Mmmmh...sicuramente farei una riforma riguardo l'insegnamento della musica
nelle scuole, nelle università, così come in America, nei College, dove esiste un
dipartimento serio. Non dico la lezione fatta col flautino dolce che si fa ai
bambini alle scuole elementari che è un approccio troppo limitato. Voglio dire,
esistono dei dipartimenti di musica dove si studia armonia, solfeggio,
composizione, arrangiamento per orchestra e dove si dà la possibilità a questi
ragazzi di suonare già in un ambito semi-professionale tant'è che, nel periodo
universitario, si creano queste orchestre nei college e
suonano come i professionisti e sono composte da persone che probabilmente poi
andranno a fare il fisico nucleare, l'economista ecc...ma nel momento in cui
suonano in quel contesto, lo fanno come i professionisti, con la stessa
intenzione e la stessa serietà. Cosa che non si fa in Italia dove abbiamo un
Conservatorio, come istituzione, che fa acqua da tutte le parti, quindi anche lì
bisognerebbe mettere mano sicuramente, pertanto farei una riforma seria
sull'insegnamento che non riguardi solo la musica classica ma anche il jazz.
Sono state aperte queste famose cattedre di jazz in Italia che sono ancora un
po' barcollanti. Ci sono una serie di musicisti che sono decenti in queste
cattedre ma ancora è una cosa un po' ... clandestina, non è così ufficializzata,
ad esempio non è riconosciuta totalmente dallo Stato. Insomma, metterei mano a
questo, fondamentalmente, in modo da dare la possibilità a tutti i ragazzi di
studiare. Toglierei molte di queste scuolette private che sono sparse in giro,
gente che insegna ma scuole fatte con dei criteri abbastanza approssimativi.
Metterei dei professionisti seri e farei dei corsi completi di musica, che sia
classica o jazz, ma comunque farei un lavoro abbastanza radicale nel ricostruire
questo. Ed è una risposta ... le altre risposte sono ovviamente legate più agli
stanziamenti, su quanto si spende nella musica in questo paese e dove si spende.
Si spendono tanti soldi nella musica classica, si fanno cartelloni spropositati
investendo tanti di quei soldi, centinaia e centinaia di milioni e magari alle
altre musiche, di questi soldi è destinato un due o tre per cento e quindi ci
sono poche possibilità per alcuni musicisti di proporre dei progetti un po' più
impegnativi, fare delle orchestre, avere una big band stabile. In questo paese è
impossibile avere un'orchestra. Un'orchestra di 25 persone che si muove se non
ha una sovvenzione statale non può esistere. Si sono organizzate delle orchestre
in alcune città italiane che hanno ad esempio vissuto attraverso un fondo che
proveniva da parte di alcuni sponsor, ma sempre cose che hanno avuto vita breve.
Invece, in Francia, esiste un'Orchestra Nazionale di Jazz che è sovvenzionata
dallo Stato e che viene mandata in giro per il mondo e i musicisti vengono
stipendiati mensilmente sia se lavorano che no. Ovviamente ci sono tournèe
programmate ma anche se il musicista rimane a casa 15/20 giorni prende comunque
la sua paga giornaliera. Come terza risposta, vorrei parlare di ciò che riguarda
la pensione del musicista, il cosiddetto vitalizio. Sempre in Francia, la cito
perchè è ben organizzata, non perchè mi sono più simpatici degli altri, esistono
delle forme assistenziali per i musicisti. Qui se uno smette di suonare perchè
magari è anziano, prende una pensione? No, perchè l'ENPALS a me non mi dà
neanche cinque lire. Io sono 35 anni che sto in giro. L'ENPALS in Italia è una
truffa. Per molti anni, almeno nella prima parte della mia carriera, ho lavorato
in ambiti piccoli, nei club dove non esistenvano nemmeno le regolamentazioni
pesionistiche per cui tutto quel lavoro che ho fatto in quindici venti anni è
andato perso perchè nessuno mi metteva in regola. Adesso esiste questa cosa che
anche nei locali bisogna avere una posizione ENPALS, fare un'agibilità, però è
una cosa che è paradossale perchè questa cosa mette in condizione i locali di
non poter più lavorare. Perchè quando si deve lavorare in un club con un cachet
di 100/150 euro, vuol dire che allo Stato si deve dare il 70% di quello che si
va a guadagnare, che vuol dire che il gestore, su 150 euro deve dare 105 euro
allo stato e 45 euro al musicista. Quindi, il musicista non ha una lira e il
gestore paga doppio. Questo è ridicolo. Viceversa in Francia esistono delle
forme pensionisiche con cui il musicista ha un vitalizio in modo da stare più
tranquillo. Vi sono varie forme, addirittura viene ricosciuto il "diritto
all'improvvisazione". Se un musicista esegue un concerto, la SIAE francese, la
SASEM, fa in modo che gli venga riconosciuta una percentuale ed è una cosa che
funziona benissimo. A noi la SIAE ci riconosce il diritto d'autore sulla
composizione mentre i francesi hanno tre forme di SIAE diverse che ricoprono il
diritto d'improvvisazione, il diritto d'esecuzione nei concerti dal vivo
ecc...così il musicista è abbastanza tutelato, in più c'è questa forma di
assistenza a livello pensionistico. Quindi una pensoine regolare di ... un
milione e otto ... senza particolari complicazioni. Noi, per poter usufruire di
una pensione ENPALS, dobbiamo aver fatto, trentacinque anni di anzianità, dopo di
che, mi sembra, a sessantotto, sessantanove anni, cominciano a darci quello che,
rapportato a quanto dichiarato, trentanni prima, cioè poco, come ti ho spiegato,
risulta essere, a settantanni, di cinque, seicento milalire al mese. Queste sono
le cose su cui mi adopererei. Ovviamente non parliamo di aprire nuovi spazi,
teatri, luoghi dove poter fare la musica, adeguati...
JI: Insomma, non per essere pessimisti, ma la situazione non è delle migliori
RG: La speranza è l'ultima a morire. Ad esempio, prendi quanto stiamo vivendo
noi romani in questo periodo. Roma ha un sindaco che è un grande appassionato di
musica pertanto Veltroni sta facendo tante cose nella musica e soprattutto nel
jazz sta dando un contributo in termini di ... seguire dei progetti,
appassionarsi a delle idee, come la Casa del Jazz, portare il Jazz al teatro
dell'Opera, ecc...Ed è una situazione molto positiva. Bisogna poi sperare che
chi gli succederà non distrugga tutto ma prosegua il lavoro fatto che non è
poco. Considera che altre grandi città come Milano, Bologna, Firenze, non
hanno più locali dove si suona, succede molto poco. Succede molto di più nelle
piccole province dove ci sono degli appassionati, come qui a Matera, dove queste
situazioni sono spinte e promosse da personaggi singoli o gruppi di appassionati
che riescono a mettere in piedi una rassegna, attività didattiche ecc...Nelle
grosse città è molto più difficile, c'è molta più dispersione. Roma, adesso,
sicuramente ha spazi sufficienti dove poter fare musica non solo a livello di
club, parlo anche di teatri. Ci sono rassegne che si svolgono in luoghi sacri,
appunto come al teatro dell'Opera come è successo questo inverno, il nuovo
auditorium di Renzo Piano con tre sale di cui una spesso viene utilizzata per
progetti di Jazz. L'ultima rassegna ha visto Uri Caine, Jan Garbarek, stiamo
lavorando con Battista Lena con un'orchestra. Insomma si stanno aprendo molti
spazi, persino l'Accademia di Santa Cecilia. O come anche a La Scala, dove lo
scorso anno Rava ha suonato e noi vi suoneremo ad aprile sempre con lui.
JI: Ah, bello, cos'altro avete in futuro?
RG: Mah, progetti ... qui si vive anche alla giornata. Progetti a lunga scadenza
sono difficili da fare. In questo paese non si ha l'abitudine di programmare con
mesi e mesi di anticipo. Ti posso dire che nei prossimi due mesi faremo molti
altri concerti in duo con Danilo. Sto per iniziare una tournèe con Fresu per
presentare qui in Italia il suo disco appena uscito in Francia. Poi a febbraio
farò un giro col mio quintetto sempre in ambito italiano, dieci-dodici date, e
poi in mezzo varie collaborazioni, qualcosa con Rava, altre cose in duo con
Danilo, prevalentemente concerti.
Si ringrazia Jazzengine per aver gentilmente fornito il materiale direttamente
dal sito www.robertogatto.com
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 13/02/2003
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